Lancette avanti di un’ora

oralegaledit

.

Lentamente, uno dopo l’altro, gli anni scorrono, e volano via.
Ne sono passati ormai diversi da quell’incontro, e addirittura due e mezzo da quando ne parlai, già una volta, sul blog.

Era un po’, anzi decisamente, scapestrata, nonostante l’aspetto e le maniere distinte; fumava sempre, fianchi larghi, bionda, sorriso aperto e un po’ malinconico.
Al seguito un bambino difficile, morbosamente capriccioso, disperatamente in cerca di attenzione. Una storia balorda, oltre il limite della legalità, di custodia segreta e clandestina di un nipote, sottratto consensualmente alla giovane sorella tossicodipendente. Una storia di generosità, per una trentenne italiana, settentrionale, che sbarcava a fatica il lunario, grazie all’assegno mensile dell’ex-marito, residente altrove, e divideva un minuscolo monolocale in centro con quel nipotino che la chiamava mamma.
Fui generoso anch’io con lei, le offrii un po’ d’amicizia e più di un trasporto a credito, nei primi tempi della mia nuova attività. Qualche volta accettai una fetta di cocomero, piaceva a tutti e tre, al chiosco vicino alla Salara, in via Don Minzoni.
Era la disperazione dei metronotte: all’una e mezza, l’orario di chiusura del lavasecco a gettone di via Irnerio, spesso li obbligava a ripassare più volte, prima che fosse finito il suo bucato.

Da allora, vuoi per esperienza vuoi per le mie successive personali vicende di vita, ho preso abitudini decisamente più caute nei confronti di persone e storie che incrociano casualmente il loro cammino con quello della mia vettura.
Dopo le ferie estive la persi completamente di vista; mi riesce difficile e penoso immaginare come diavolo sia proseguita la sua esistenza.

Passo all’una e mezza davanti al lavasecco a gettone, e non c’è nessuno ad intralciarne la chiusura. Come spesso mi succede provo un certo senso di vuoto.
Ma non c’è spazio per strane nostalgie, in questo sabato notte, una notte corta, per il cambio dell’orario che avverrà precisamente fra mezz’ora, una notte piena di lavoro: non faccio in tempo ad azzerare il tassametro che il nuovo terminale mi segnala altre richieste.

Come ogni sabato notte sono tutti ragazzi e ragazze, di solito a piccoli gruppi, che migrano fra un locale e l’altro prima di rincasare.
Tuttavia poco dopo le due, che sono improvvisamente già le tre, nell’accettare una chiamata da una via ben nota del quartiere Pilastro, il sospetto mi viene, che la serie di ospiti giovani non sia interrotta dall’ormai noto ubriacone catarroso, anche se sembrerebbe improbabile a quest’ora.
E infatti è proprio lui: dà un ultimo tiro alla sigaretta e come un pachiderma entra pian piano.
“Buonasera signor S.”.
“Buonasera”, rantola a stento, mentre cerca di introdurre l’altro piede, ribelle, nell’abitacolo.
Per agevolare l’operazione si inclina come il Titanic, e sento il suo affanno vicino alle orecchie. E’ spaventoso: la brevità del suo ritmo di respiro mi fa temere che stia tirando gli ultimi proprio adesso, qui sul mio taxi.
Finalmente tutto il corpo è dentro.
“Dove andiamo, signor S.?”.
“Stazione centrale”, gracchia lento ma deciso.

‘Sta volta è arrabbiato, aveva già avuto la conferma di un altro taxi che non si è fatto vedere, dopo di che ha perso mezz’ora in tentativi a vuoto prima che accettassi io la corsa.
“Un’altra volta chiamo il centotredici e vi denuncio tutti. Non lo faccio perchè vi conosco da trent’anni”.
“Lo so, che è un buon cliente, io l’ho già trasportata almeno cinque volte, si ricorda, vero ?”.
Si calma, fra uno e l’altro di quegli schiarimenti bronchiali che mi fanno tremare per la tappezzeria.
“Non c’è niente, di notte al Pilastro,” mi fa, “se uno vuole andare a divertirsi”.
“Certo, è un po’ un quartiere dormitorio”.
“Ecco”, scandisce lentamente, “ha detto bene: un quartiere dormitorio”.
“Comunque mi sembra molto tranquillo, anche se ci abitano tanti stranieri: una volta era considerato la sede principale della malavita, mentre ora certe vie del centro sono molto peggio”.
Anche su questo mi dà ragione, mentre lo sento ormai del tutto tranquillizzato.
Le strade sono già molto scorrevoli, a parte le assurde attese per lunghissimi inutili semafori rossi.
Nei pressi della stazione mi chiede di lasciarlo al bar Bianco, quello sempre aperto, di fronte all’entrata principale. E’ lì che ha deciso di andare a “divertirsi” a quest’ora, ormai le tre e un quarto della notte.
Le forti luci e le poche strane creature notturne che stazionano a qualsiasi ora dentro e fuori dal bar della stazione fanno da sfondo, mentre estrae lentamente il portafoglio dalla tasca per pagare la corsa.
“Ci vediamo, signor S., buona domenica.”
Dai polmoni malati estrae lentamente un “arrivederci” e faticosamente, com’era salito, scende dalla vettura.

La stanchezza si fa sentire, ma cerco di resistere: di questi tempi bisogna far tesoro di notti di lavoro intenso come questa.
Ancora gruppi di giovani, per fortuna neanche troppo alterati da alcool e droghe.
Sono ormai le quattro quando lascio a destinazione un paio di trentenni maschi in cerca delle ultime avventure della serata e decido che per me è finalmente l’ora di rincasare.
Una giovane signora, graziosa a dispetto di un’espressione un po’ stranita, mi si fa incontro chiedendomi con un gesto se sono libero.
Non si può dire di no. Non ho tempo e voglia di sistemare la coperta che tengo precauzionalmente distesa sul sedile posteriore, tutta stropicciata dagli ultimi ragazzi trasportati.
Quando mi dice la destinazione, sono così stanco che ho bisogno di indicazioni per ricordarmi dove si trova.
Con la solita confusione fra destra e sinistra (è impressionante come risulti difficile questa elementare distinzione), la giovane donna mi dà le dritte per procedere.
Ho il sospetto che sia un’altra persona in crisi, mi sembra di sentirla piangere, ma è solo un’impressione.
“Lei ha dei cani, vero ?” mi fa.
“No, perché ?”.
“E’ un tipo di coperta che di solito si usa con i cani”.
Un po’ colpito nel decoro professionale, le spiego che genere di sorprese ho a volte trovato in eredità.
Mi ascolta con interesse e sorpresa.
“D’altra parte”, dico, “chi fa il mio mestiere deve aspettarsi di tutto”.
Dice di no, che non è possibile, poi alla fine si lascia convincere.
Fra un’indicazione e l’altra, piuttosto sommarie e confuse, alla fine mi aiuto da solo facendomi venire in mente l’ubicazione della strada.
Non so più a che proposito, mi dice che è piuttosto stressata.
Poi, quando siamo in zona, ma non ancora arrivati, mi chiede di fermarmi, che è sufficiente che la lasci lì dove siamo, sulla via principale.
Mi giro per ricevere i soldi: ha uno sguardo strano, un po’, come dire, fuori quadro, ma un viso grazioso, nonostante il visibile affaticamento.
Poi mi saluta augurandomi buon lavoro e, stranamente, mi allunga la mano.
Gliela stringo per alcuni secondi, è un po’ fredda, ma il contatto è dolce ed intenso.
“Grazie, ciao, come ti chiami ?”
“Io M., e tu ?”.
“Io Francesco”.
Poi abbandoniamo quel contatto.
Le sorrido ancora, ricambiato, prima che apra la portiera ed esca nella notte della periferia.

Prendo, questa volta davvero, la via di casa.
Non le ho lasciato il mio recapito, quasi neanche ci ho pensato: rispetto ai primi tempi ho ormai abitudini decisamente più caute.

.

.

.

——–
Immagine da:
http://equoecoevegan.blogspot.com/2007/10/avete-tirato-indietro-le-lancette.html

Informazioni su Franz

Per una mia presentazione, clicca sul secondo riquadro ("website") qui sotto la mia immagine...
Questa voce è stata pubblicata in Tutti gli articoli e contrassegnata con , , , , , . Contrassegna il permalink.

6 risposte a Lancette avanti di un’ora

  1. superfragilistic ha detto:

    Gli anni passano e ci trovano uguali nel profondo ma le storie che ci pesano sulle spalle finiscono per renderci piu cauti e meno istintivi. Ma va bene così. Notte Franz

    • Franz ha detto:

      Va bene così, cara Super, finchè la stanchezza (e non dico quella di una notte di lavoro), non avrà spazzato via ogni residuo di curiosità.
      Grazie. E un abbraccio.

  2. ReAnto(Antonio) ha detto:

    Non riuscirò mai a scrivere un post così lungo ..è certo.

  3. Giovanna Amoroso ha detto:

    La “poetica” della quotidianità…

    Bello questo tuo nuovo post!

    Saluti

    Giovannawordpress stats plugin

    • Franz ha detto:

      Davvero la guida di un taxi è una ricca e quotidiana sorgente di spunti di osservazione, poesia, avventura, riflessione, condivisione.
      Ancora un grazie per i complimenti.
      Ciao !

Commenti:

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.