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Balsamo sulle ferite, ninna nanna che ti acquieta, voce materna che ti consola.
Tutto questo è ritrovare l’azzurro della sera, di questi cieli fra il tramonto e il crepuscolo che improvvisamente decidono di illuminare le strade nell’ora in cui t’incammini per andare a cena, un azzurro profondo come l’oceano, alto come un cielo infinito, struggente come un’antica canzone che culla i tuoi pensieri.
E la malinconia ti pervade, ti fa tutt’uno con quel cielo ancora un po’ luminoso e azzurro.
Allora, nei primi anni di taxi, in quel largo viale dove le auto riposano a motore spento, via Gramsci, da Piazza dei Martiri verso la stazione, così come oggi, in una sera di questo presente, nelle strette strade ortogonali della Bologna romana, dove anche i portici stentano a trovare il loro spazio.
E’ nel momento della consolazione che sgorgano le lacrime; è quando cieli così limpidi, latori di vita nuova, cercano di cicatrizzare le ferite di un altro inverno, di massaggiarti le tempie e il viso su cui di notte, davanti allo specchio, scopri qualche nuovo piccolo solco.
In quella striscia di cielo scorgi un rondone volare silenzioso, e ripensi che da quando hai festeggiato il loro arrivo forse non hai più avuto tempo, voglia, predisposizione, per alzare ancora una volta gli occhi al cielo, e che così facendo forse hai buttato via un altro pezzetto di vita.
Dopo la cena vegetariana al Centro natura, da parecchio tempo mia frequente e ben più rilassante alternativa all’ormai mitica mensa dei ferrovieri, ripercorro quelle strade ad angolo retto, dove rare auto passano a fatica, quando il giorno ormai si è spento del tutto e, discreta, illumina il cielo una placida luna scettica.
Ormai sono di casa, è uno dei pochi bar aperti a quest’ora, frequentato da studenti e studentesse dell’università, in numero molto variabile ma mai eccessivo.
“Il solito caffè alto, senza il bicchiere d’acqua ?”, mi fa il giovane boss dall’accento napoletano.
“Bravo, hai buona memoria”.
Ci sono due schermi piatti, alle pareti dell’oblungo locale; di solito diffondono la registrazione di famosi concerti rock. Stasera sono sintonizzati su MTV proprio mentre viene trasmesso il brano dedicato ai terremotati, “Domani 21 aprile 2009”, voluto da Jovanotti e cantato, in stile “You are the world”, da tutti (davvero tanti) i principali cantanti italiani. L’ho già sentito per radio tre volte in due giorni, e subito mi ha afferrato al cuore, subito ho capito che è un brano importante, e ho giocato a riconoscere le voci più o meno amate, più o meno storiche del panorama musicale italiano. E ho notato nel testo, fin dal primo ascolto, un verso di grande efficacia e lirismo:
“E aumentano d’intensità le lampadine
una frazione di secondo prima della fine”.
Tanto di cappello signor Cherubini in arte Jovanotti, se l’ha scritto lei, lo stile è abbastanza inconfondibile.
Chissà se ritrovo il video su youtube, mi dico mentre il cantautore scandisce quattro volte la frase finale: “domani è già qui“.
Anche la mia malinconia è un lusso, penso, in confronto con chi in Abruzzo ha perso la vita, o quella di persone care, o la casa, o l’attività, o tutto ciò che aveva, in cambio di una tenda e della processione di ministri primattori e tiranni dalla promessa facile.
Ma anche in cambio dell’autentica solidarietà di tutta la nazione, che non ha esitato a mostrare il suo cuore e la sua generosità.
E poi penso che pure nella partecipazione alle disgrazie ci sono strane gerarchie, e mi verrebbe voglia di chiedere a Jovanotti perchè non fa anche una canzone sulle condizioni degli immigrati, quelli palleggiati con Malta, o con la Libia, quelli nei centri di prima accoglienza, o nei centri d’identificazione e di espulsione, dove sono ormai all’ordine del giorno i tentati suicidi, ovvero quelli davvero compiuti, come, proprio ieri nei pressi di Roma, da una quarantanovenne tunisina.
Perchè i cantanti italiani non si mobilitano allo stesso modo per le vittime delle guerre recenti o in corso, per quelle dell’AIDS, o della fame e della sete, e parlo di flagelli biblici, al cui confronto (puramente numerico) la tragedia degli abruzzesi sembra quasi una piccola cosa ?
“The day before”. Non mi sembra che l’abbiano ancora fatto, mi viene da pensare, il film che racconta il mondo il giorno prima, e non quello dopo, dell’autoannullamento dell’umanità; forse potrebbe essere molto più reale, mi viene da pensare.
Ma poi chissà, magari salta fuori l’inventore del millennio che ti scopre la soluzione al surriscaldamento del pianeta, magari salta fuori una nuova filosofia, e un modello economico e sociale riesce ad imporsi inaspettatamente e a rimediare a tutti i flagelli ambientali compiuti dalle nostre più recenti generazioni, ad onta dei catastrofisti cupi e negativi come a volte finisco per essere.
La luna mi osserva silenziosa, mentre raggiungo il taxi parcheggiato in via Indipendenza.
Estraggo la chiave ed apro la portiera.
Nelle periferie, ad ogni curva, enormi, silenziosi, rassicuranti, sorridenti faccioni illuminati si danno strenua battaglia per conquistare il governo della città.
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Immagine tratta da:
http://surfanta.blogspot.com/2008/04/surfanta-ieri-e-i-suoi-pittori-oggi.html
scorci vitali deliziosi, non concordo solo sulla canzone pro-terremotati che considera una pacchianata ipocrita e fintamente buonista
Ti ringrazio dei complimenti, oltre che della visita.
Per quanto riguarda la canzone, probabilmente al quinto o sesto ascolto finirò per concordare con il tuo tagliente giudizio, di cui intuisco la validità, soprattutto per quanto riguarda le finalità più vere (che puzzano di ipocrisia) di quell’operazione; non sarei sincero però se non ammettessi che ancora adesso ha qualcosa che mi acchiappa. Probabilmente mi sto rincoglionendo con il passare degli anni.
Maggio è il mese più bello dell’anno per me, per i profumi penetranti delle rose e dei fiori , per il verde intenso delle piante e il senso di aspettativa che si crea con queste premesse. C’è voglia di essere diversi, almeno per me, e di avere sorprese e cose nuove dalla vita. Anche malinconia, elemento fondamentale per chi è sensibile e si accorge di queste cose. Poi per me è l’inizio della bella stagione e con il sole rinasco e butto le malinconie in attesa dell’autunno. Ciao Myrta
Penso che tu abbia ragione, che la bellezza di maggio sia insuperabile; il problema può essere che a volte il cuore ci arriva quasi a corto di allenamento, e manifesta proprio in questi momenti, come nelle doglie di un parto, tutte le fatiche accumulate.
Auguri di luce e di vita !
Il “Dolce color d’oriental zaffiro…” pare si riferisca alle ore subito prima dell’alba. A me viene in mente invece a sera inoltrata di primavera, davanti al nitore azzurro che sovrasta e che man mano si fa più profondo. Deve essere la stessa luce che accompagna la tua sera di maggio e che a me non dà malinconia, raccoglimento sì, ma non malinconia, e mi commuove. Per me è una rinnovata meraviglia dopo l’uniforme grigiore invernale, una visione per me e per tutti i viventi, progressivamente sul globo terrestre, come s’avanza il tramonto.
E se al termine della giornata mi capita di alzare la testa e regalarmi quell’azzurro, trovo che sia stata la mia e quella degli altri una buona giornata.
saluti crepuscolari
Non solo è la stessa luce, caro Filippo, ma penso siano le stesse sensazioni che descrivi tu: raccoglimento, commozione, meraviglia. Diciamo che la malinconia, per me, ne è un effetto collaterale (devo ammettere, frequente), scatenato dal senso di consolazione di tutto questo.
Un saluto luminoso a te, e auguri di una splendida stagione di pienezza.
Sento la tua malinconia nel tempo del bilancio personale e quel sentimento lo faccio mio perché quella malinconia mi mi appartiene e credo appartenga a tutti coloro che come te non vivono una vita egoisticamente anonima. Ci tocca è il prezzo un abbraccio.
Cara amica mia,
è bello saperti e ritrovarti vicina, accomunata dallo stesso sguardo sul mondo che ci circonda, e da sensazioni simili.
Non c’è dubbio che la capacità e la scelta di coinvolgersi e di spendersi, giorno per giorno lungo il cammino, abbia contropartite sia di gioia che di dolore, ma penso che la malinconia sia soprattutto l’eredità delle ferite ricevute negli anni del proprio passato, e soprattutto in quelli fondamentali della formazione.
E’ un prezzo anche quello, forse ingiusto, sicuramente più caro.
Un abbraccio a te.