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Quarant’anni, da quella notte.
“Ecco, sì, lo si vede chiaramente, sta scendendo dalla scaletta verso il suolo lunare”, inconfondibile, la erre moscia, il timbro fortemente scandito, a tradire una smisurata sicurezza di sé, e come deformata da un megafono.
La voce di Ruggero Orlando, dagli Stati Uniti. E Tito Stagno, in studio, ciuffo luminoso, sguardo luminoso dietro occhiali quadrati, viso quadrato, grigio chiaro su sfondo grigio scuro, non lo contraddice, benché le immagini via satellite un po’ sbiadite stiano mostrando tutt’altro, e in maniera tanto evidente che finalmente arriva la smentita:
“No; sono i marinai”, si corregge tranquillo (come a dire: “ovvio, cretini che non l’avevate capito”), lo storico inviato RAI.
Quante volte l’avremmo poi ripetuta, Claudio ed io, quella frase, “No; sono i marinai”, storpiando la nostra voce, ormai quasi da grandi, nella facile imitazione.
I veri astronauti del ricordo sono loro, Tito e Ruggero, bianchi e grigi come la luna.
O forse siamo poprio noi, giovani bestiole un po’ complessate ma cariche di vita, i visi abbronzati dal sole delle Dolomiti, la nonna di Claudio a dormire nella nostra camera e noi due seduti sul suo letto nella cucina abitabile, e quel piccolo televisore a noleggio di fronte, ad aspettare che Neil Armstrong si decidesse a scendere da quella scaletta per fare il suo “piccolo passo per un uomo” in una notte che sembrava non finire mai.
Quarant’anni di viaggio nel cosmo della vita, come in assenza di gravità, nella gravità delle rispettive esperienze, anno dopo anno, un entusiasmo, una delusione, un’aspirazione, un compromesso, un palpito, un dubbio dopo l’altro.
L’estate disperde e dirada il palpito, quello della città, in una notte piacevolmente rinfrescata, quarant’anni dopo, evidenziando storie di solitudini, di quotidianità, di adattamenti urbani più o meno felici.
La mia astronave è ora, e già da qualche anno, una ‘station-wagon’ bianca con scritto sopra “TAXI”.
Ma proprio come quella notte, bisogna aspettare pazientemente che succeda qualcosa, assaporando da questa navicella l’amaro sovrapporsi dell’incombente depressione per la scarsità di lavoro, sulla scoperta di nuove costellazioni e straordinarie esperienze, come i ceci a colazione o il benessere di un’ora di corsa nella prima campagna di buon mattino.
“Tocca a te ? La signora ha un cane, la carichi lo stesso ?” mi chiede il collega fermo nell’altra corsia, nel posteggio della stazione.
“Sì sì, va bene”.
“Guardi che lo tengo in braccio, e comunque è pulito e poi gli ho insegnato a non far la pipì in macchina”.
“Complimenti”, penso fra me e me, “ha mai provato a farsi assumere dal Circo Orfei ?”
E’ un barbone di media taglia, dà pochissimi segni di vita, sembra quasi un ingombrante fagotto, e assomiglia in maniera impressionante alla sua padrona, anch’essa arruffata e un po’ trascurata.
“Io lo dico sempre che ho un cane, perché so che molti di voi non li vogliono, e allora è giusto che mi adatti alle regole”.
“Lei signora è molto corretta, fossero tutti come lei. A volte, sa, chiamano col radio-taxi senza avvertire; una volta ho avuto a che fare con una coppia di punkabbestia e gli ho detto di no e lui è andato in escandescenze e si è messo a gridare come un pazzo, mentre la sua ragazza cercava di calmarlo, quelli hanno il culto del loro cane, e ha svegliato tutto il quartiere, ma io non li ho caricati, e anzi avrei potuto chiedergli il risarcimento della corsa a vuoto, ma mi sarebbe saltato addosso, lui e il suo cane”.
“E’ una questione di educazione, ma non tutti ce l’hanno. Sa, c’è un giardinetto per i cani, vicino a casa mia, e io ho sempre la mia paletta e i miei guanti per raccogliere la cacca, sa, fa una cacchina piccola, ‘sta bestiola, e invece c’è uno che ha un cane grande e grosso, e fa due o tre caccone enormi, e l’altro giorno gli ho detto scusi vedo che non ha la paletta, vuole che le presti la mia, e lui ha pulito, ma non posso sempre essere io, l’ho detto anche agli altri”.
Di racconto in racconto, di cacca in cacca, arriviamo a destinazione del breve tragitto; mi indica dove accostare.
“Sono sette euro e dieci, se non ha il diecino fa lo stesso”.
Accendo la luce, mentre lei comincia a dare i primi segni d’affanno.
“Li devo avere, sa, ma sono sparsi nei miei tre portamonete e dentro la borsa”, che comincia a rivoltare spostando anche, nell’ansia della ricerca, la silenziosa bestiola contro il sedile.
“Perché poi se manca qualcosa vado un attimo su in casa”.
La ricerca si fa frenetica, finchè saltano fuori i primi due o tre euro.
“Ecco, quanti sono ?”
“Siamo a due e mezzo, ora a tre e mezzo”.
Cerco di tacere, di non metterle fretta, e piano piano sgorgano dai mille anfratti di quella borsa delle altre monete e monetine, fino a coprire del tutto l’ingente somma.
Sollevata, si ricompone, forse si accorge di non aver tenuto fede all’impegno di tenere in braccio il suo fedele compagno, lo riagguanta con fare un po’ furtivo, quindi saluta e si accinge ad andarsene.
Una volta uscita, mi allungo dietro per controllare se è rimasto del pelo, ma per fortuna sembra di no.
Poi mi riavvio verso il centro.
La luna, una sottile falce di luna calante, sorgerà fra poche ore in un cielo ora stellato, quarant’anni esatti dopo aver ospitato i goffi silenziosi saltelli dei primi due suoi visitatori.
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Immagini da:
http://www.televideo.rai.it/televideo/pub/articolo.jsp?id=1968
Sono passata anche ieri ma mi sono trattenuta, ora proprio non riesco te lo devo dire: io avevo un anno! Non ti sentire vecchietto dai mi raccomando eh eh eh eh eh ( comunque 1 più 40 fa 41 e dunque dovrei stare zitta……)
No, proprio non mi sento vecchietto, anche se mi viene da chiamare “ragazze” quelle della tua età, eh eh eh eh eh.
Una vera Miss come te comunque non ha età, è sempre una ragazza.
🙂
Ciao Franz, che dire di quella ormai lontanissima notte, non ho grandissimi e particolari ricordi, avevo 19 anni, e forse ero troppo occupato a viverli, difficilmente in quegli anni restavo una sera in casa, la televisione oltretutto non mi piaceva, in quel periodo tra il lavoro e le uscite nessun terremoto mi avrebbe colto sotto le mura di casa, se non in quelle veramente pochissime ore concesse al sonno, ho un ricordo di quell’evento molto sporadico, forse vidi qualcosa in Tv a casa di un amico, ma si trattava di un evento così lontano dal mio modo di vivere che non gli ho concesso l’onore e l’attenzione che giustamente avrebbe meritato, onore e attenzione che gli ho concesso in anni successivi, quando il vivere mi concesse capacità di attenzione ed interessi maggiori.
Certo che il pensare che il tutto è “probabilmente” avvenuto con una tecnologia così misera e agli albori ha del fantastico e del miracoloso, un nostro moderno telefonino è più potente dei computer che gestivano l’evento, questo fatto mi porta a ricordare l’inizio della mia carriera meccanografica, presso una società multinazionale, dove, con uno dei primi minicomputer (nulla a che vedere con i personal di moderna concezione ) gestivo l’intera contabilità ed il magazzino aziendale, si trattava di un IBM SIST/3 mod. 6, che fisicamente era composto da una scrivania con una stampante ed una macchina da scrivere incorporata (unica forma di input) e un piccolo armadietto laterale con le memorie, sotto il ripiano della scrivania un mobiletto contenente due cassetti contenenti un disco fisso da 2,5 MB (sist. operativo) e da uno pari capacità removibile a disposizione degli utenti, la memoria era composta da una ram di 12KB di cui solo 9 Kb a disposizione degli utenti, preistoria…..nulla a che vedere con i terabytes gestiti dal computer che gestivo prima di concedermi il giusto e meritato riposo quando sono poi finalmente andato in pensione…
Come al solito forse mi sono perso nelle parole, porta pazienza, ti lascio con il mio solito ciaooo neh!
Anch’io, come sai, ho vissuto da vicino l’evoluzione tecnologica, in campo informatico, degli ultimi quarant’anni o giù di lì, di una portata letteralmente fantascientifica.
Ripercorrere e rivivere oggi le tappe che, a ritmi forzati, hanno portato uomini sulla Luna, con le tecnologie di allora, dà un’impressione pionieristica ed avventurosa che non aveva a quei tempi, in cui si era portati a sopravvalutare le capacità americane da super-eroi indiscutibili.
Nello stesso tempo dona a quell’avventura dei connotati straordinariamente umani ed epici.
Quando si dimentica per un po’, anche solo in parte, di fare la guerra, l’uomo è capace di grandi imprese.
Ciao, alla prossima, neh.
Io non lo vissuta in diretta, ma mi ricordo gli occhi affascinanti del nonno ogni qual volta mi raccontava di quella diretta.
Evviva, mi hai fatto sentire nonno. Prima o poi doveva succedere…
🙂
La mia nonna Mariarosa, allora aveva il lume ad olio con lo stoppino e dormiva sui materassi scrocchianti di floglie di granturco. Abitava nel vicolo appartato senza luce pubblica in quegli anni. Le vacanze estive ritornavo al paese e di notte raggiungevo la sua porta alla luce della luna. Il plenilunio illuminava tutto, vicolo muri siepi selve e montagna, come era sempre stato.
Lei continuava a chiedermi: ma davvero è possibile abbiano camminato sulla luna? Io rispondevo: ma certo! ed ero convinto che un giorno saremmo tutti andati sulla luna. Lei non se ne capacitava, e tornava a chiedere: ma son proprio arrivati proprio sulla luna?
L’immagine del paese della tua nonna sembra provenire da secoli lontani, per non dire proprio dalla luna, e aggiunge incanto a quello insito nei ricordi un po’ sfumati dell’epoca.
Sono certo poi, che, a persone come te, suscita anche molti punti interrogativi sugli sviluppi del cosiddetto progresso.
E non tanto per il fatto di non poter andare a piacimento anche noi sul nostro satellite naturale…
Io avevo sette anni, ero sull’appennino tosco-emiliano, e mi ricordo ancora le emozioni che serpeggiavano in casa, e come si era coinvolti tanto che sembravamo dovessimo metterci piede tutti noi.
Le voci “in bianco e nero” di Stagno e Orlando erano perfette per l’avvenimento, anche nelle contraddizioni.
Ci sono varie tesi che illustrano il come e perchè l’allunaggio sia stata una grandiosa bufala della Nasa, ma, tutto sommato, non mi interessa molto che siano vere o meno; il sogno, il mito della luna e dell’uomo ha consegnato e conservato emozioni vere.
Io sono una “viaggiatrice” di taxi, sono disponibile a chiaccherare e raccontare se vedo che il compagno di viaggio lo fa volentieri, altrimenti taccio e mi perdo nei miei pensieri e nelle mie fantasie.
E’ curioso ed intrigante supporre che ci si sia incontrati e viaggiato nelle strade e nelle meravigliose notti bolognesi senza neppure immaginare di avere dialoghi nell’etere.
Ciao Silvana
Cara Silvana, hai ragione nel dire che nessuna tesi complottistica potrà mai togliere fascino e poesia al sogno dell’avventura lunare. Ma siamo anche persone appassionate della verità, per cui è bene approfondire logicamente i punti della questione.
Come accennavo nella mia risposta al commento di Riri52, l’astronauta italiano Umberto Guidoni l’ha fatto, in questa puntata della serie “Alle otto della sera” su Radio2, smentendo con molte ragioni scientifiche, o quanto meno razionali, la tesi “dietrologica”, che, come lui stesso dice all’inizio, fa breccia soprattutto sui giovani che non hanno vissuto quelle ormai lontane giornate.
L’ascolto dei racconti e delle considerazioni di Guidoni è un vero e proprio piacere; l’indice delle puntate riascoltabili si trova qui.
Per quanto riguarda il taxi, dato che hai propensione a conversare, se ti avessi trasportato non mi sarebbe sfuggita l’occasione di farlo, e con la sorpresa di condividere tanti aspetti della nostra visione della realtà. Magari, in rari casi lo faccio, ti avrei parlato di questo blog, colmando così quella strana frattura fra comunicazione telematica e dal vivo.
Ciao, grazie e a presto !
Carissimo,siamo forse tra i più giovani che possono dire di aver seguito in diretta lo sbarco sulla Luna,dubito che tra gli spettatori ci fossero allora molti ragazzini di età inferiore ai nostri 12-13 anni.Noi infatti avevamo salutato ben prima gli amici con cui avevamo seguito dall’unico televisore disponibile le prime fasi dell’allunaggio;poi la lunga maratona con il battibecco tra Stagno e Ruggero Orlando(..”Ha toccato!”….”No,mancano ancora 10 metri…)e quel piede che non si decideva a calpestare il suolo lunare.E quando finalmente l’uomo comincia la sua passeggiata sulla Luna io che faccio? Esco in cortile per ammirare l’alba sulle Dolomiti!Può sembrare strano ma se ci pensi anche quella,per la mia ancora giovanissima vita,era un’esperienza inedita.Oggi,purtroppo,non lo rifarei…A presto.
E forse, caro Claudio, siamo gli unici al mondo che si ricordano il qui pro quo di Ruggero Orlando sull’immagine dei marinai, avvenuto molti minuti (ore?) prima di quel più famoso scambio di battute, ormai proverbiale, con Tito Stagno.
In quelle serate, seduti a conversare sulla “panchina filosofica”, vedevamo il 2000, il nostro futuro da grandi e sempre più anziani, come una cosa ipotetica, irreale e di là da venire.
Oggi, quarant’anni e due giorni dopo, daremmo chissà quanto per ricuperare l’ “esperienza inedita” di un’alba in montagna.
Ma in fondo bisogna essere grati del cammino fatto, e magari capaci ancora un po’ di stupore.
Un abbraccio e a presto.
Meno male che il cane era educato!
Avevo 17 anni ed ho seguito affascinata la telecronaca e quel saltello che passerà alla storia. Mi piace l’idea di seguito l’evento unico, posso dire ho visto anche io, anche se poi qualcuno ha mandato in giro strane voci. Ma la poesia non si è persa comunque. Riri52
Avevi un’età un po’ più matura della nostra, che nella prima adolescenza ci lasciavamo suggestionare, più che dall’evento in sé stesso, dalla sua risonanza nei (tele- /) giornali e nei discorsi della gente.
Umberto Guidoni, che è stato due volte nello spazio, ha fatto una splendida rievocazione, informata e meditata, di tutta l’epopea spaziale dagli anni ’60 ad oggi, su Radio2 “Alle otto della sera”; durerà credo fino a venerdì 24. Fra l’altro ha confutato con molti validi argomenti quelle “strane voci” a cui alludi. L’impressione che più mi ha lasciato è di una grande rischiosità di tutte le missioni del progetto Apollo, dovuta alla necessità di raggiungere l’obiettivo in tempi molto brevi, cioè prima dei Russi.
La poesia non si è persa, certo, anzi il passare del tempo l’ha amplificata.
Ciao !