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Superato il trauma della piccola svolta rappresentata nella mia vita quotidiana da quella curva e da quel gard-rail, su cui ho indugiato fin troppo con racconti e memorie, vorrei ora riprendere il tema di cui parlavo nel post immediatamente precedente.
Ho almeno un paio di motivi per farlo.
Il primo mi è offerto, tanto per cambiare, da Beppe Grillo e da una sua ennesima nuova idea, che, come un piccolo sasso gettato nell’acqua stagnante di questi canicolari giorni di agosto, potrebbe generare un’espansione di piccole onde virtuose, al contrario dei soliti macigni leghisti e berlusconiani che meritano solo un silenzio più sdegnato che pietoso.
Si tratta di “un’iniziativa permanente dal nome: ‘Mamme 2.0′ per consentire alle mamme di scambiarsi vestiti, giocattoli, scarpe, passeggini dei figli. Film e libri e tutti gli articoli che durano pochi mesi e poi bisogna comprarne subito di nuovi. Perchè comprarli quando si possono scambiare? Il PIL crollerà e chi se ne frega. Nasceranno mille nuove amicizie tra mamme, si migliorerà il bilancio famigliare e si consumerà un po’ di meno il pianeta in cui i bambini dovranno vivere.”
Clicca qui per saperne di più.
La lettura di Maurizio Pallante e della sua “Decrescita felice”, che ho già citato un sacco di volte nel corso di questi tre anni di blog, mi aprì nuove prospettive, comunicandomi fra l’altro una sorta di sacro entusiasmo verso l’attenzione agli impatti ambientali ìnsiti nei miei gesti quotidiani, e ad ogni possibile loro contenimento.
In un secondo tempo, pur mantenendo questa consapevolezza, la ragione mi ha forzatamente indicato i limiti, di una rivoluzione così solitaria, ad un’efficace salvaguardia e salvezza dell’habitat planetario dell’intera specie umana.
Tutti i risparmi e le efficienze che posso realizzare nel resto della mia vita sono probabilmente annullati, nel bilancio globale, anche da un solo viaggio aereo intercontinentale effettuato per le vacanze di una sola persona, giusto per fare un esempio.
La trasformazione dello stile di vita, per avere effettive opportunità di salvezza, dev’essere collettiva, condivisa, prima di tutto nella coscienza di quei princìpi, per me così entusiasmanti.
E dunque priorità assoluta alla diffusione di una rivoluzionaria quanto urgente consapevolezza.
Beppe Grillo ha un patrimonio di seguito popolare, sia pur prevalentemente telematico, che rende un’iniziativa piccola e semplice, come questa sua ultima, un fenomeno di carattere, appunto, sociale, pubblico, condiviso, e soprattutto trainante come esempio di nuove abitudini quotidiane. Il che si aggiunge al valore intrinseco, di simili scelte ecologiche, non più solitarie ma moltiplicate per il numero di chi viene raggiunto dal suo messaggio e dal tam-tam che ne viene e verrà fatto, proprio come in queste righe.
Nel mio post citavo poi, forse in modo un po’ stringato, il diffondersi di una molteplicità di iniziative di vario genere, comunque assimilabili nel principio ispiratore della decrescita, e il loro apporto al graduale mutamento della percezione collettiva della realtà ambientale, anzi della realtà nel suo complesso.
Ne avevo sentito parlare di sfuggita alla radio dalle mie amiche “Povere ma belle“, poi un recente messaggio ricevuto dalla “mailing-list Decrescita” mi ha fatto approfondire un po’ l’argomento, che ha attinenza con quanto dicevo, cioè con l’approccio sociale al cambiamento: una nuova etichetta nata pochi anni fa e che comincia ora a vedere le prime realizzazioni anche qui da noi.
L’etichetta è quella della “transizione”; ad introdurci alla conoscenza di questo movimento è un professionista nel campo della comunicazione pubblicitaria che risponde al nome di Cristiano Bottone, in particolare in questa pagina del suo blog, da cui estraggo i seguenti passaggi:
“Transition è un movimento culturale nato (…) in Irlanda dalle intuizioni e dal lavoro di Rob Hopkins, un guru davvero improbabile.
(…) I progetti di Transizione mirano (…) a creare comunità libere dalla dipendenza dal petrolio e fortemente resilienti (elastiche, adattabili; nota del sottoscritto) attraverso la ripianificazione energetica e la rilocalizzazione delle risorse di base della comunità (produzione del cibo, dei beni e dei servizi fondamentali) (…) con proposte e progetti incredibilmente pratici, fattivi e basati sul buon senso. Prevedono processi governati dal basso e la costruzione di una rete sociale e solidale molto forte tra gli abitanti delle comunità. La dimensione locale non preclude però l’esistenza di altri livelli di relazione, scambio e mercato regionale, nazionale, internazionale e globale.”
Del fenomeno si è occupata anche pochi giorni fa “La Repubblica” on-line in questo articolo, da cui ho appreso (con un pizzico di orgoglio campanilistico) che in Italia esiste già una cittadina riconosciuta dalla ‘rete internazionale della Transizione’ ed è Monteveglio, a pochi chilometri da Bologna, e che altre città hanno già un ‘gruppo guida’ costituente: Granarolo (pure a due passi da Bologna), L’Aquila, Lucca e Carimate in provincia di Como.
Non solo, ma “altri (gruppi guida) si stanno organizzando in decine di comuni italiani tra cui Ferrara, Firenze, Mantova, Perugia, Reggio Emilia, Bologna, Bari e anche Palermo, Torino e Roma perché la ‘Transition town’ non è una filosofia adatta solo a piccoli centri. Un esempio? Il quartiere di Brixton a Londra e l’intera città di Bristol.”
Ogni gruppo guida è dotato di un blog. Se volete mettere il naso e spiare che cosa si dicono questi neo-carbonari di Monteveglio, potete cliccare qui.
La citata pagina di spiegazione di Cristiano Bottone, poi (che torno a linkare qui), contiene a sua volta il link ai blog di Granarolo, L’Aquila, Lucca e Carimate.
Mi sembra che queste nuove acquisizioni confermino la mia impressione di un diffondersi abbastanza rapido di movimenti a base popolare finalizzati ad una trasformazione sociale e culturale.
In fondo l’idea di essere una voce più o meno solitaria nel deserto ha qualcosa di presuntuoso: pur continuando più che mai l’impegno per la diffusione degli argomenti in questione, è tempo di abbandonare questo atteggiamento, ed è giusto e normale che sia così, vista l’implicita forza trainante contenuta dalla verità delle tesi di ecologia, decrescita, ed ora transizione, a me più care.
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L’immagine iniziale è tratta da:
http://www.edilbaraldi.it/Strutturaaziendale.htm
Quella di Rob Hopkins da:
http://transitiontowns.org/Lewes/Bulapr07
Caro Franz, sì mi ero accorta del lapsus, ma non l’ho rimarcato perchè non vorrei mai che a taluni personaggi malati di megalomania venisse l’idea di farsene uno (anche se c’è da dire che se fosse solo andata….)
Ciaaaaao! 😆
Come immaginavo sei stata gentile.
Quanto al biglietto per Saturno e Plutone senza ritorno, la mia lista d’attesa sarebbe lunga, e penso anche la tua…
Bye bye ! 😆
Ciao franz, come vedi il mio neurone (uno dei due ancora vivi) quello logorroico è insoddisfatto e vuole dire ancora la sua circa il discorso “Mamme 2.0”, quindi perdonami se ti riempio i tuoi spazi di parole forse non sempre messe nel posto e nell’ordine giusto;
“Mamme 2.0′ per consentire alle mamme di scambiarsi vestiti, giocattoli, scarpe, passeggini dei figli. Perché comprarli quando si possono scambiare? Il PIL crollerà e chi se ne frega.”
Discorso bellissimo, auspicabile, sicuramente l’antitesi dello spreco, ma come per il concetto sulla decrescita, anch’esso rasenta quasi l’utopia, al di la del discorso che i nostri governanti faranno di tutto per andargli contro, già ora il nostro beneamato premier ci spinge a spendere tutto quello che abbiamo per aiutare la CRESCITA, quindi tutto sta remando in direzione opposta, sicuramente la mentalità delle masse è portato sicuramente verso concetto opposto, chi si accontenterebbe di un telefonino di seconda scelta, magari di una generazione tecnologica precedente, chi metterebbe il proprio pupo su di un passeggino usato, magari macchiato da tracce di vita precedente, chi metterebbe vestiti usati ai propri pargoli o peggio ancora addosso a se stesso, anche il giocattolo usato è guardato e visto come un qualcosa di profanato e di quasi inservibile, come se fosse incapace (perché usato) di svolgere le proprie attività didattiche, senza contare il grande senso di povertà che un discorso di questo tipo si porta dietro, come verrebbero viste dalla società in generale queste persone che si adattano a questo tipo di scambio, diverso e ricorre al mercatino delle pulci dove magari si trova e si compra cose rotte, usatissime al limite dell’inservibile, ma capaci di dare quel senso kitch al gesto, gesto che è capace di redimerlo.
Un gesto di questo tipo viene ancora troppo ricordato ed assimilato ad abitudini simili che c’erano fino a qualche decennio fa, famiglie “italiane” povere che si rivolgevano alla San Vincenzo per avere cose che non potevano permettersi di comperare ne nuove ne usate, è ancora troppo comparato ad un senso di povertà e non come dovrebbe ad un senso di RISPARMIO E DI NON SPRECO.
In tempi molto recenti si è assistito ad un qualcosa di molto simile in Argentina, dove per la nota situazione di crisi e la totale mancanza di soldi ha fatto ingegnare le persone che hanno riattivato una vecchissima quasi ancestrale usanza, ossia quella del baratto, mancando i soldi si è reso necessario ricorre all’ abitudine di “io do una cosa a te e tu ne dai un’altra a me”, questo modo di mandare avanti le cose assomiglia molto a quello del discorso di mamme 2.0 anche se la spinta è sicuramente diversa, da una parte c’è la ricerca del non spreco, dall’altra la necessità e la sopravvivenza (che è sicuramente una cosa ben diversa e più grave).
Comunque lo vedo ancora un discorso molto futuristico, perché siamo ancora troppo legati all’apparire e al bisogno di appagare il senso della propria agiatezza nella società, come se fosse l’unico nostro vero senso di appagamento.
Ciao perdona la mia lungaggine, ciaooo neh!
Alla fin fine si torna sempre a quel punto: o la decrescita è felice e volontaria, o sarà infelice ed imposta, come nel caso della crisi in Argentina, e magari anche traumatica, o cruenta.
E’ vero tutto quello che dici, ma senza il coraggio di immaginare un cambiamento di mentalità, avremo già accettato la sconfitta.
Perché farlo ?
Ciao e buon fine settimana, neh.
Ciao Franz, bellissimo argomento, anche se non riesco a coglierne per intero l’arcano ne il senso, talmente e grande e complesso il suo insieme, sai io amo attaccarmi ai dettagli, sono loro che mi colpiscono e che mi stuzzicano, anche se onestamente molto spesso mi portano a rispondere cose che infine rischiano di esulare dal contesto che le hanno generate, quindi mi soffermo unicamente sul senso del termine DECRESCITA.
Decrescita, una parola che mi affascina anche se non riesco a configurarla completamente ne a contestualizzarla dovutamente nel nostro quotidiano, ho sempre avuto un senso di fastidio nell’osservare che la nostra società ha sempre spinto verso la CRESCITA insulsa e compulsiva, come unica strada percorribile, un’azienda che non avesse prodotto e guadagnato di più dell’anno precedente è sempre stata intesa come in una situazione deleteria e deficitaria, ora io non sono un esperto, e le mie parole bene lo evidenziano, ma ho sempre avuto netta la insostenibilità di questo tipo di ragionamento, non si può sempre essere in condizioni di migliorare e di aumentare, il trand non può sempre essere positivo ed in aumento, ma tutta la società si è autoimposta questo tipo di ottica in tutte le sue sfaccettature, ci hanno imposto di credere che bisogna sempre aumentare tutto per poter sopravvivere, se oggi guadagni 100 domani devi guadagnarne di più, se oggi produci 100 domani devi produrre di più, un solo figlio non basta, devi farne molti di più perché così più braccia potranno mantenere la popolazione che intanto invecchia, si ma aumentano anche i bisogni le necessità, più figli corrispondono ad un numero in aumento esponenziale anche dei bisogni e delle esigenze che anche loro aumentano in proporzione tanto per non perdere il flusso, e domani chi darà un lavoro a tutti queste braccia così troppo facilmente auspicate, dove verranno trovate le risorse per donare loro anche solo la speranza di una vita decente ed accettabile.
Tutto questo mi ricorda una tematica arcaica, un’usanza contadina, più braccia per lavorare la terra più speranza di sopravvivenza del nucleo familiare, ma qualcosa finiva sempre per inceppare il sistema, è vero più braccia significava più produzione e più raccolto, ma anche più bocche da sfamare ed esigenze da realizzare e quindi ecco ricadere sempre in quel vortice perverso del maggior fabbisogno, anche l’alta mortalità non riusciva a far tornare i conti di questo procedimento sbagliato all’origine.
Ora non riesco ad immaginare e neanche ad ipotizzare a cosa può portare un vero discorso di decrescita, non so quanto possa essere effettivamente sostenibile da una società di tipo occidentale, quello che so e che sento e che il discorso della perenne CRESCITA non ha funzionato e non potrà funzionare in un prossimo futuro, quello che è evidente che una ipotetica tendenza all’inversione di marcia è un discorso estremamente complicato da pensare, figuriamoci da attuare, ci vorrà molto tempo e molta conscia partecipazione delle masse che sicuramente difficilmente accetteranno sacrifici se non obbligati, e non vedo neanche soluzioni legate all’imposizione politica, quindi non spero in un cambiamento repentino ne in un cambiamento consapevole e compartecipato dalle masse, per ora lo vedo quasi come un pensiero utopico, anche se come ho detto in precedenza so con certezza che così non potrà più durare a lungo, forse saremo tutti obbligati dalle circostanze, ma prima di imparare a rinunciare a qualcosa vivremo tempi di puro sciacallaggio, prima di cedere alla bisogna arraffo tutto l’arraffabile, quindi non vedo soluzioni praticabili nell’immediato, però è assolutamente salutare che se ne inizi a parlare, che si inizi a creare i presupposti, quindi ben vengano queste persone che si prendono il mal di pancia di iniziare a cercare di dare e di vedere un nuovo futuro .
Perdona la mia logorroicità i miei innumerevoli voli pindarici e gli errori….ciaooo neh!
Ciao Alanford. Il tuo lungo intervento affronta i veri problemi in campo, in particolare l’utopia rappresentata da una volontaria retromarcia, o comunque radicale trasformazione in gran misura da inventare, da parte della società capitalistica come si è (voracemente) strutturata dalla rivoluzione industriale in avanti.
E’ verosimile che, con l’acuirsi dei problemi ambientali e della crisi delle risorse fondamentali, si vada incontro a tempi di ‘sciacallaggio’.
Ma questo non può che incentivare l’immaginazione e l’impegno delle persone coscienti e di buona volontà.
Latouche parla di una “pedagogia delle catastrofi” al fine del diffondersi di una coscienza adeguata ai problemi; anche senza catastrofismi, tuttavia, ogni “cantiere” che nasce oggi, e prima possibile, servirà come esempio e come prototipo per una nuova società in cui sia ancora possibile la vita associata, e magari con un maggior tasso di pace, di qualità di vita, di fantasia, di felicità dell’attuale.
Un grazie per il tuo contributo, neh !
Ciao.
Dal numero di agosto de Le Monde diplomatique:
http://www.monde-diplomatique.fr/2009/08/DUPIN/17702
Una corrente di pensiero influente ma poco organizzata
La decrescita, un’idea che cammina sotto la recessione
di Eric Dupin
Con la crisi ecologica si impone a poco a poco la necessità di definire il progresso umano in modo diverso che attraverso il produttivismo e la fiducia cieca nell’avanzamento delle scienze e delle tecniche. In Francia, i pensatori e i militanti della decrescita che raccomandano un modo di vita più semplice e più ricco di senso, vedono così crescere i loro ascoltatori, sia tra i partiti della sinistra antiliberale sia tra il grande pubblico. Rappresentano però sensibilità politiche e filosofiche molto diverse.
Bisognerebbe vedere l’aria interlocutoria di François Fillon. Il 14 ottobre 2008, Yves Cochet difendeva la tesi della decrescita dall’alto della tribuna dell’Assemblea nazionale. Diagnosticando una «crisi antropologica», il deputato verde di Parigi affermava, tra le esclamazioni della destra, che «la ricerca della crescita è ormai antieconomica, antisociale e antiecologica». Il suo appello ad una «società della sobrietà» non aveva possibilità di raccogliere l’adesione dell’emiciclo. In ogni caso, l’idea provocatoria di «decrescita» aveva forzato le porte del dibattito pubblico.
C’è stata nel frattempo la recessione. Ovviamente la decrescita «non ha niente a che vedere con l’inverso aritmetico della crescita», come sottolinea Cochet, il solo uomo politico francese di peso che difenda questa idea. La messa sotto esame della crescita appare in ogni modo come una conseguenza logica della doppia crisi economica ed ecologica che scuote il pianeta. I pensatori della decrescita sono presto ascoltati da un orecchio più attento. «Sono molto più sollecitato», replica Serge Latouche, uno dei suoi pionieri. «Le sale sono piene ai nostri dibattiti», gli fa eco Paul Ariès, un altro intellettuale di riferimento di questa corrente di pensiero.
La stessa parola «decrescita» viene sempre più ripresa, ben al di là dei circoli ristretti dell’ecologia radicale. «Nel momento in cui gli adepti della decrescita vedono le loro argomentazioni confermate dalla realtà, c’è un’alternativa tra la decrescita subita o non detta, com’è la recessione attuale, e la decrescita consapevole? », si domandava durante la campagna europea, Nicolas Hulot, pure regolarmente qualificato come «ecoipocrita» da parte degli obiettori della crescita. Sostenitore di Europe Ecologie, l’animatore ammetteva di dubitare della «crescita verde» e contemplava piuttosto una «crescita selettiva superata da una decrescita scelta». «Solo la decrescita salverà il pianeta», concordava anche il fotografo Yann Arthus-Bertrand, il cui film Home, rimanendo largamente finanziato dal gruppo di lusso (…)
Discorso di Cochet del 14.10.08 all’Assemblea nazionale (video in modalità labialica Enrico Ghezzi): http://www.dailymotion.com/video/x72l32_crise-yves-cochet-groupe-gdr-verts_news
La sua trascrizione: http://www.entropia-la-revue.org/spip.php?article35
Il film Home: http://www.youtube.com/user/homeproject?blend=1&ob=4
Nella speranza che i link funzionino tutti e nella momentanea impossibilità di offrire una cena.
🙂
Grazie per le succulente segnalazioni e per i link (tutti funzionanti).
Hai da parte tua il privilegio di vivere in una nazione che è sempre stata all’avanguardia nel pensiero, e soprattutto nella rivendicazione storica della libertà come valore imprescindibile; il concetto di “décroissance” è nato in Francia, ed ha in Serge Latouche il suo tuttora indiscusso esponente di spicco.
Il recente successo elettorale dei Verdi alle elezioni europee ha tuttavia qualcosa di strabiliante nelle proporzioni, anche se (tenevo questo link da parte per segnalartelo), Latouche ha parecchio da ridire nei confronti del loro leader Daniel Cohn-Bendit.
Un caro saluto decrescente e digiunante. 😦
Caro Franz, anche a me è piaciuta molta l’iniziativa di scambio di beni di consumo tra madri.
Posso anche essere d’accordo che i tuoi e miei sforzi per un consumo consapevole ed uno sviluppo sostenibile siano annullati da un solo viaggio intercontinentale, ma non penso affatto che i nostri sforzi congiunti siano vani perchè da cosa nasce cosa.
Somma tanti piccoli gesti quotidiani consapevoli ed otterrai oltre al risparmio la creazione di una nuova mentalità di vivere lo sviluppo ed il consumo.
Anch’io nutro un sano “orgoglio campanilistico” per le iniziative del comune di Monteveglio come per le iniziative del preside di agraria Segrè (che infatti non è diventato rettore) per la raccolta e la ridistribuzione del cibo scartato dalle grande catene di distribuzione e fortemente avversato dall’industria alimentare.
Ciao
Silvana
Mi sembra che anche tu, cara Silvana, finisci per concordare con me sull’importanza prioritaria della “mentalità” rispetto alle singole cosiddette buone pratiche.
Mi viene in mente un paragone: credo che anche tu abbia provato più di una volta il senso di impotenza, nel dare il tuo singolo voto elettorale a liste relativamente meritevoli, ma poi sconfitte da gruppi di uomini corrotti, meschini, ipocriti e volgari. Anche in quel caso si avverte come sia più importante ed urgente la diffusione di una mentalità sana rispetto al proprio singolo gesto corretto.
Ti ringrazio per aver citato Andrea Segré, che si può a buon diritto considerare un’attiva presenza al lavoro nei “cantieri”.
Vorrei infine farti sorridere: ti sarai sicuramente accorta dell’esilarante lapsus che mi è saltato all’occhio al mio ritorno notturno dal lavoro, nel ritoccare alcuni passaggi del post.
Anche se il turismo spaziale comincia già ad essere un business, valutare l’impatto di viaggi “interplanetari” (come avevo scritto) anzichè “intercontinentali” è sicuramente prematuro…
Un salutone.