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Primavera non bussa, lei entra sicura,
come il fumo lei penetra in ogni fessura;
ha le labbra di carne, i capelli di grano,
che paura, che voglia, che ti prenda per mano,
che paura, che voglia, che ti porti lontano.
(Fabrizio de André – Un chimico – da ‘Non al denaro, non all’amore né al cielo’, tratto, con Fernanda Pivano, dalla ‘Antologia di Spoon Rever’).
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La sveglia era puntata alle otto, ma qualche minuto prima l’ho bloccata e mi sono alzato, molte ore in anticipo rispetto al solito ma, sorprendentemente, abbastanza riposato.
Ho aperto le persiane su un paesaggio nebbioso e gelido, da rabbrividire; niente a che vedere con quel po’ di sole che nei giorni scorsi si è dimostrato, dopo lunghi mesi, ancora capace di illuminare e di riscaldare (almeno nelle prime ore del pomeriggio), e di instillare così quella sottile paura, quella sottile voglia, di primavera.
Colazione a base di acqua del rubinetto, tanta, più di un litro, come raccomandato in vista di una donazione di sangue. Indolore pure questo genere di ‘dieta’, che in fondo è quella ormai a me abituale e quotidiana, almeno per la prima ora o due dopo il risveglio. Rinuncio anche al succo di frutta, che sarebbe consentito prima del prelievo, che è in programma per me oggi, in accoppiata con uno scalo tecnico di un giorno e mezzo della Cavallona, nell’officina non lontano dal centro trasfusionale dell’AVIS.
In tangenziale la consueta coda fa la sua inevitabile comparsa all’altezza della fiera.
Il termometro segna un grado. Lascio le cronache locali, che parlano scandalizzate del commissariamento per tempi forse lunghissimi del governo della città, e mi sintonizzo sul ‘Ruggito del coniglio’ di Radio2, che almeno riesce sempre a comunicare un po’ di buon umore alle mie rarissime mattinate di attività.
C’è parecchia gente: mi tocca aspettare pazientemente il mio turno della breve visita medica, e poi quello in sala prelievi; sono un po’ preoccupato di fare tardi, dopo, all’officina dove ho appuntamento.
Chiamano un cognome che conosco, lo stesso di un collega di venticinque anni fa, con cui condivisi i tempi, e soprattutto le cene in piccoli o grandi gruppi, delle prime trasferte, nella magica atmosfera di Vicenza (ora tutto stranamente isolato, sospeso, nel ricordo…); ma non noto nessuno che gli assomigli.
Lo torneranno a chiamare di lì a poco, nome e cognome, e lo vedrò, imbolsito, invecchiato, quasi irriconoscibile, e quasi trasformato, curiosamente, nelle sembianze di uno dei miei capi del più recente periodo di Padova. L’ho schivata bella, penserò; avessi continuato con l’informatica ora magari sarei così anch’io.
La dottoressa ha modi particolarmente e piacevolmente dolci e gentili. Commenta un po’ sorpresa il mio peso leggero, ma, quel che mi fa più piacere, la bassa frequenza cardiaca, chiedendomi se faccio attività sportiva.
Semisdraiato su uno dei lettini nella grande sala prelievi, apro e chiudo ritmicamente il pugno, per aiutare il sangue a prendere la via della sacca; nel giro di dieci minuti quasi mezzo litro di ‘A+’ abbandona le mie vene.
Un’infermiera sostituisce l’ago con un batuffolo di cotone e mi dice di tener premuto.
Ancora un po’ d’attesa, prima della consueta colazione-premio, brioche e the al limone, bevanda che, come qualcuno ricorderà, mi dona i super-poteri.
E così, più veloce della luce, posso finalmente portare Jolanda la Cavalla nelle stesse scuderie da cui la feci uscire per la prima volta più di tre mesi fa.
Un autobus ora mi porta verso la stazione.
La città vive la sua consueta, meccanica, lieve frenesia di un grigio giorno di fine inverno; una città senza sindaco, in una nazione il cui primo ministro è nuovamente accusato di rapporti mafiosi, come titola a grandi lettere la copia de ‘La Repubblica’ in mano al mio anziano vicino di posto.
Ripenso alla voce e all’immagine di Massimo Ciancimino; c’è qualcosa che mi ha colpito a fondo, nel suo tranquillo e spavaldo dialogare in aula di giustizia, nel suo cercare la chiarezza delle espressioni più precise.
E c’è qualcosa di strano anche nelle sue attuali rivelazioni, e ancor più nei documenti clamorosi che sembra abbia deciso di consegnare, relativi a fatti peraltro del tutto noti a chi segue regolarmente il ‘Passaparola’ di Marco Travaglio.
Vorrei che davvero qualcosa tornasse a muoversi, nel panorama politico, come sembrava fino allo scorso autunno, prima che subentrasse questo nuovo senso di stagnazione, suggellato solo dalle continue, sistematiche, devastanti porcate legislative e comunicative del sultano e dei suoi servi di governo e di stampa.
Che paura, che voglia, di una primavera politica, che sembra ogni giorno più lontana…
La mensa dei ferrovieri, a mezzogiorno, è molto più movimentata, rispetto alle mie abituali frequentazioni serali.
Mi concedo un pranzo abbondante: fra l’altro, una fettina alla pizzaiola rappresenta una rarissima trasgressione alle mie consolidate abitudini vegetariane. In rapporto al sangue donato in realtà un po’ di carne non fa la minima differenza, ma si ha bisogno anche di simboli.
Hanno aumentato i treni per San Lazzaro; ce n’è uno giusto giusto ora al caso mio: cinque minuti di viaggio, al posto di una lunghissima traversata in autobus, ed eccomi fuori dalla città, nelle zone via via più spaziose e silenziose dove cerca di farsi largo la campagna, fra le rette parallele della via Emilia, della ferrovia, dell’autostrada, e della strada provinciale Colunga (i cosiddetti “Stradelli Guelfi”).
Meno di mezz’ora di camminata, mentre lo sguardo si apre intorno rasserenato, sulla luce incerta filtrata da uno strato di nubi, e l’animo finalmente soddisfatto dalla missione compiuta.
Entro in casa quasi come un estraneo, in punta di piedi, e quasi mi aspetto di ritrovare me stesso nelle consuete vesti della lenta carburazione dopo il risveglio.
Abbandonate quelle da super-eroe, in breve tempo posso concedermi al riposo, al sonno profondo e ai sogni un po’ allucinati che regala spesso un fisico provato dopo poche ore dall’abituale, periodico, parziale e volontario dissanguamento.
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Immagine da: http://www.dire.it/avis_apre.php?menu=14&cont=25695&lingua=it
Al seguente link potrete vedere il servizio dal titolo “Se doni il sangue puoi salvare 3 vite umane” realizzato da UniromaTv
http://www.uniroma.tv/?id_video=15799
Ufficio Stampa di Uniroma.TV
info@uniroma.tv
http://www.uniroma.tv
A me piace l’ultima parte, quella del riconquistato sonno e mi fa pensare ad una performance di Antonio Rezza, che ho avuto ed ho la fortuna di conoscere personalmente, e che presentò nel Pippo Kennedy Show. Vattelo a vedere, è comico ed amaro allo stesso tempo. Nessuna analogia: il tuo è un sonno che non è certo interiore, e la tua ricchezza di sentimenti e di sesnsibilità, traspare in ogni tuo post. Per questo ti sono grata perché esisti anche per noi che altrimenti, forse, non ti avremmo mai conosciuto e non avremmo potuto leggere ed ascoltare quello, tanto, che hai da dire e da dare. Di seguito il link…..
Cara Super, a quest’ora della notte sveglierei i vicini, quindi lo ascolterò in giornata. Intanto grazie per le tue meravigliose, affettuose parole.
Non fa male ‘puntellarsi a vicenda’, di questi tempi, comunque, al di là di ogni altra considerazione, anche per me è una gioia averti conosciuta, nei tuoi scritti graffianti e istruttivi, nonché, caso finora quasi unico, anche di persona.
Un salutone e un’abbracciatona.
Visto e ascoltato: sembra proprio dedicato a me !! 🙂
Comunque lui è proprio bravo, e lo spunto è originale; a suo tempo non ricordo di averlo visto in tv.
Ancora un salutone.
Per cominciare hai scelto il testo di una canzone tratto da uno dei più belli fra gli album di De Andrè.
Non so dirti quanto mi piace leggere i tuoi racconti, caro Franz; non solo la magia e il fascino della notte ma anche la straneità di certe mattine, la quotidianità della città assume una morbidezza, anche se pare incredibile, tutta particolare.
Persino la routine di un luogo sanitario pare diversa.
Mi piace davvero tanto leggerti, te l’ho già detto? Va beh fa niente lo ripeto.
Ciao
S.
Cara Silvana, sei troppo buona, ma è inutile nascondere il piacere di ricevere apprezzamenti così generosi.
Non è facile giudicare la qualità dei propri scritti, e soprattutto quando si va sul genere intimistico il timore di riuscire gratuitamente e noiosamente egocentrico è sempre molto vivo.
Ma evidentemente dei validi princìpi di sincerità e di impegno espressivo finiscono per essere percepiti.
Comunque grazie ancora di cuore e un abbraccio.
E’ come sempre meraviglioso passare di qui e leggere di te. Delle tue giornate, dei tuoi pensieri.
Ancora più meraviglio lo è adesso. Quando ho voglia di leggere di Alan so dove trovarlo, sempre.
Grazie degli altrettanto meravigliosi e graditissimi complimenti, cara Sol.
E concordo con te che la frequente presenza dei commenti dell’amico Alan è sicuramente un valore aggiunto.
Un bacio mio adorato “super-eroe”!!!
Autobus, treno… Ma a che ti servono!
I super eroi non svolazzano allegramente nel cielo muniti solo del loro super mantello… Giusto?
Buona giornata
Giovanna
Un Super-Saluto a te, mia dolce amica.
Ebbene sì, a volte sfreccio nel cielo, ma sempre galoppando sull’alata Cavallona; quando poi anche lei ha bisogno del maniscalco, mi tocca prendere i mezzi pubblici… 😳
Baci e buona giornata a te !
🙂 è un piacere leggerti
un saluto
Grazie e benvenuta ! 😀
Ciao.
Come tu ben sai io amo spizzicare qua e la nei tuoi post, così come in un buon piatto amo assaggiare, mangiare una piccola parte, cercare le parti che per mille motivi più mi attraggono , non fosse altro anche solo per un gusto puramente estetico, ma non divaghiamo, come sempre è un bel post, intimistico nel tuo raccontarti, nel tuo porgerti a chi ti legge, ed allora spizzicando qua dirò la mia, sulle cose che più hanno attirato la mia attenzione e la mia curiosità.
Iniziamo da quella stupenda poesia musicata dal mitico mostro sacro che è stato F.De Andrè, parole che sposano e si fondono con la musica, che strano però pensandoci bene quest’anno sono meno ansioso dell’arrivo della primavera, sembra un controsenso, perché trattandosi questo di uno degli inverni più freddi e lunghi degli ultimi decenni sembrerebbe più logico desiderare ardentemente il calore ed il colore della stagione forse più bella, ma quest’anno non è così, io ho sempre amato l’inverno sembrerà strano, in un mondo dove tutti anelano l’estate io amo l’inverno, e quest’anno mi godo questa stagione nella sua lunghezza, con la consapevolezza di un suo ritorno all’antico, abituato ad inverni insignificanti, dalle troppe giornate serene, dalle temperature troppo alte ed insane, ebbene in mezzo al lamento di tutti, io rivedo un ritorno a come io ho sempre pensato dovesse essere l’inverno, così come me lo avevano raccontato mille volte, così come ormai gli scienziati ce lo hanno svenduto per impossibile.
Un’altra spizzicata me l’ha permessa la visione che le tue parole mi hanno regalato nel raccontare di quell’incontro con quel tuo collega di quando eri un informatico, mi ha colpito la sensazione che ne hai tratto, sensazione che avendo fatto più o meno lo stesso tuo mestiere mi sono ritrovato a sentire di avere condiviso in un passato ormai remoto, quella sensazione che ancora oggi mi fa dire che il mio (ed ovviamente il tuo ex) è stato uno dei più bei lavori possibili ed immaginabili, ma riferito agli anni 70/90, anni di totale ed assoluto pionierismo, dove tutto era innovazione, futuro, dove tutto sembrava sprizzare una sorta di magia, un lavoro assolutamente nuovo per tutte le generazioni, un lavoro ancora alla portata dell’uomo, la macchina era ancora talmente inadeguata da consentire a noi poveri esseri umani di concederci il senso della supremazia su di loro, ci sentivamo padroni e dominatori del futuro, forse molto era dovuto all’energia ed all’entusiasmo di quell’età ormai perduta, poi tutto ha preso una velocità pazzesca, tutto era diventato frenetico e veloce in modo esponenziale, sicuramente poco sostenibile, tutto quel fascino del pioniere si era perso insieme all’età spesa nel sostenere quel ritmo assurdo e non più appagante e difficilmente gestibile, per fortuna ho potuto per una miracolosa coincidenza lasciare il tutto ad una età ancora molto ragionevole, ora quando mi giro indietro non riconosco più nulla di quello che è stato, un tempo passato, per fortuna sicuramente scaduto.
Ora è meglio che imbavagli il mio neurone logorroico altrimenti prende la mano e la piazza, ti saluto caramente rimandando alla prox.
Ciaooo neh!
Ciao carissimo,
capisco il tuo apprezzamento nei confronti del primo inverno degno di questo nome da molti anni in qua. Da parte mia la bella espressione di De André “che paura, che voglia” (di primavera) fotografa il mio stato d’animo, come a più riprese sto accennando qui nelle mie pubbliche confidenze.
Per quanto riguarda il mestiere informatico, ti dirò che anch’io, i primi tempi, ne ero entusiasta; soprattutto mi appassionava quella miscela di fantasia creativa e rigore logico necessaria a trovare le giuste soluzioni, le quali a volte mi sembravano avere qualche attinenza con l’arte, con l’estetica.
Ben presto però dovetti cominciare a pagare il durissimo scotto di antiche timidezze e insicurezze, che hanno reso il cammino via via più irto di difficoltà in ambienti in cui la concorrenza si faceva sempre più spietata. Acqua passata, “un tempo passato, per fortuna sicuramente scaduto”, e tutto sommato con un’eredità di ottimi frutti.
Un salutoneh e a presto.