Gente di frontiera (seconda parte)

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Vorrei spostare l’attenzione su un’altra periferia, un solo spicchio di città verso Nord-Ovest rispetto alla via San Donato e al Pilastro.
La via radiale in questione è la Ferrarese che, prima di dichiarare nel nome le sue vere intenzioni poco oltre la tangenziale, assume quello di via Mascarella, dentro le mura, e poi (…niente meno !), di via Stalingrado.

Quella ‘nostalgia di campagna’ che, come dicevo, si manifesta a volte già prima dell’anello di asfalto, in questa zona fa capolino molto presto, cioè già all’altezza del quartiere fieristico, per poi intensificarsi nelle due aree successive, quella della nostra sede Co.Ta.Bo. e poi nella multiarea di servizio ‘Sprint-Gas’. Naturalmente dà poi il meglio di sé oltre la tangenziale, nell’immensa landa desolata chiamata Parco Nord, sede permanente, in un capannone laggiù in fondo, dell’Estragon, importante discoteca-palcoscenico rock, e sede temporanea, più vicino, di circhi, luna-park e della assai estesa e frequentata festa dell’Unità che, come sempre, si sta svolgendo ora per quasi tutto il mese in corso.

Il primo settembre è stata una giornata incantevole di vivido cielo azzurro, sole splendente e aria piacevolmente fresca.
Sono uscito di casa prima delle cinque del pomeriggio, e mi sono recato proprio in quelle zone periferiche, con l’intento di farmi scaricare i nuovi aggiornamenti dei programmi nel terminale radio-taxi, di lavare la Cavallona e fare il pieno di metano.
Uno sbalzo climatico, oltre dieci gradi di temperatura nel volgere di una settimana, è un ottimo capro espiatorio giustificativo (magari poi neanche lontano dal vero), rispetto al calo di slancio vitale che avvertivo, a quella strisciante e molto sgradevole depressione, che ti fa osservare con totale apatia il tutto, cioé uno spettacolo che dovrebbe teoricamente stupire e rinfrancare; non siamo macchine, robot, mi dico, rimandando ad altri momenti l’entusiasmo e la gioia di vivere smarrita.
“Okay, ci vorrà una decina di minuti” mi fa con gradevole tranquillità il giovane tecnico.
Non mi dispiace questa pausa forzata, che occupo lasciando che le mie gambe vadano a zonzo, e l’attenzione si lasci catturare dalle immancabili auto semidistrutte parcheggiate nei pressi dell’officina di carrozzeria, e poi, non si può fare a meno di notarla, da quella voragine squadrata di terra che è comparsa al posto del vecchio, e sfruttato ogni oltre limite, tunnel dell’autolavaggio. Un trattore di marca Caterpillar staziona inattivo ai suoi bordi.
Non vedo in giro quasi nessun collega, o impiegate, o addetti alle officine; sono solo sotto il cielo azzurro, ad aspettare e a bighellonare fra gli spazi, aperti e domestici, della sede.

“E’ già pronta?”.
“Sì, puoi andare”.
“Spero che adesso smetta di cambiare videata a suo piacimento, quando a fatica si interroga la situazione ai posteggi”.
“No, quello lo fa ancora; la nuova versione evita di perdere le corse se arriva una chiamata durante un’interrogazione, e fa un nuovo suono distinto quando c’è una corsa libera”.
“Grosso passo avanti! Ho capito, c’è ancora da soffrire…”, gli dico, con un sorriso ricambiato. E mi avvio.

Abbiamo una vecchia convenzione con l’autolavaggio della Sprint-Gas (quell’area di servizio, come dicevo, a ridosso della tangenziale); è venuto il mio momento di sfruttarla.
Spengo il motore in coda ad un paio di altre automobili che attendono presso l’impianto, uno di quelli in cui l’auto sta ferma e il ponte le si sposta sopra avanti e indietro con i suoi getti d’acqua, spazzoloni, vortici d’aria; durata, dai cinque ai dieci minuti a seconda del programma prescelto.
Bene, un’altra sosta non mi farà male.
Di fronte a me la batteria di box, coperti da una tettoia, per il lavaggio a self-service con le lance (quella specie di potenti pistole ad acqua).

Nel primo sulla sinistra è fermo un grande autofurgone monovolume di colore bianco perla, un po’ opaco.
Il portellone è alzato e un uomo dalla corporatura robusta si fa aiutare dalla figlia, in piedi all’interno, a scaricare qualcosa, poi riprende a riparare un fanale posteriore, che penzola appeso sui suoi stessi cavi.
Spostando lo sguardo nei pressi, scorgo il resto della famiglia, o, chissà, forse solo parte del resto.
Si tratta di una donnona, la cui corporatura, il cui portamento, le cui ciabattine infradito, la cui sottanona, sono un inconfondibile marchio di etnia Rom, e poi la stessa figlia, già donna benché forse poco più che quindicenne, che, scesa fuori dal furgone, ora cammina nei pressi completamente scalza.

Seguo le manovre dell’uomo, fino al riavvitamento finale della calottina di vetro con una grande chiave. Quasi ne avverto la resistenza, crescente a tratti, mentre la gira in senso orario.
Poi la mia attenzione viene ricatturata dalla moglie, che, al di là della batteria dei box, è andata a lavarsi le mani e la faccia presso un lavandino all’aperto. Un’abbondante saponata, e poi il risciacquo, a self-service, con le mani, senza presidio, esattamente come le automobili, e per giunta senza gettone.
Poi è la volta della figlia, ad avviarsi verso il lavandino.
E’ una ragazza molto bella, la chioma nera ondulata, e quei piedi nudi. Sarò strano, ma trovo che la camminata di una donna scalza possa avere un potere seducente mille volte più forte di qualsiasi tacco. Sarò strano, i tacchi alti mi sembrano un’aberrazione, una deformazione della sensualità nativa di una donna. E non m’importa neanche se le piante dei piedi sono nere di sporcizia, come quelli della giovane ragazza.
Toelettatura (quasi…) completa, per lei, sempre a self-service: mani viso e shampoo, il tutto con una tranquillità e una naturalezza che io, da bambino, da ragazzo e da adolescente, non credo di aver mai avuto. Anzi, non l’ho neppure ora alle soglie dei cinquantacinque.

Non sta bene puntare gli occhi su una ragazza che potrebbe essere mia figlia, per non dire mia nipote.
Ma, che io lo desideri o lo tema, difficilmente lei mi scorgerà: ora si sta asciugando e spazzolando i capelli , l’attenzione fissa sullo specchietto esterno destro dell’autofurgone.

E’ quasi venuto il mio turno, avvicino la Cavalla al ponte mobile, in pole-position. Poi torno a scendere e osservo l’evolversi della scena: ora l’uomo ha in mano una lancia e sta lavando la carrozzeria del furgone; solo lavaggio, un solo gettone, niente passata di detersivo liquido. Ma una disinvoltura circense nell’evitare di colpire con il getto d’acqua la sua donnona, intenta a fare chissà che cosa intorno a quel furgone biancastro, che pian piano sta acquistando un aspetto più luminoso.

E’ il mio turno, avvicino la mia fida vettura piano piano al ponte mobile finchè le luci di segnalazione rosse si accendono.
Scendo, introduco la chiavetta, spingo il pulsante.
Gli ingranaggi dell’apparecchiatura si rimettono in funzione.
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Immagine da: http://www.bachecaannunci.it/

Informazioni su Franz

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14 risposte a Gente di frontiera (seconda parte)

  1. solindue ha detto:

    Una delle tue donne “al lavandino” potrei essere io nei periodi estivi, quando “vivo” in barca e dopo settimane arrivo in un porto. In quell’attimo, dopo giorni di mare e razionamento dell’acqua dolce, avere una cannella a mia disposizione mi fa impazzire.
    Si capisce bene quanto l’acqua sia un bene prezioso.
    Per l’autolavaggio … ma non resti dentro l’auto anche tu a farti “impaurire” dai getti d’acqua e dalle spazzole che raschiano sui vetri?

    • Franz ha detto:

      Forse quelle esperienze così essenziali ti permettono di provare l’intenso sapore della vita nomade; penso che sia un bel patrimonio.
      Quanto a restare chiuso in auto durante il lavaggio: …e dopo, che cosa racconto agli amici di blog???

  2. alanford50 ha detto:

    Gente di frontiera, gente così strana, così diversa da qualsiasi altra, gente che rifiuta l’essere in qualche modo accomunata a qualsiasi altra, gente che esige di vivere appieno l’eterna differenza, forse è l’unico modo per loro di riuscire ad accettare e vivere l’enorme differenza che li rende unici nel bene e nel male ma sicuramente inconciliabilmente differenti, due mondi divisi, condannati a sfiorarsi e a guardarsi, senza mai conoscersi e capirsi, per l’eternità, ognuno troppo preso dal vivere il proprio inconciliabile mondo, gente che vive….
    Ciaooo neh!

    • Franz ha detto:

      Questa volta sei tu a darmi un ottimo esempio di stringatezza, con le tue osservazioni.
      “Due mondi condannati a sfiorarsi e guardarsi…”; l’immagine è bella e fondamentalmente vera, ma, purtroppo, a volte la ‘condanna’ diventa piuttosto quella a farsi la guerra, con armi diverse nei due fronti, ma sempre non convenzionali.

      Salutoneh.

  3. Milvia ha detto:

    Ciao, Franz! È bello ritornare a casa (con il cuore gonfio di nostalgia per i quattro giorni seneghesi) e leggere le tue parole leggére (è una qualità, per me, la leggerezza dello scrivere, che sostiene la profondità del pensiero), e conoscere le persone/personaggi che tu incontri e ci fai incontrare.
    Questo commento-non commento è un… commento unico per tutti e due i post. Che di più, ora, non riesco a scrivere: gli occhi si chiudono…

    Felice notte, Franz, fai bei sogni.

    Milvia

    • Franz ha detto:

      Bentornata, Milvia. Ti confesso che in questi giorni mi sono mancati i tuoi commenti, sempre generosi e incoraggianti.
      Sono felice che, come previsto, il tuo safari poetico in “Seneghal” (…o no? 😕 ) sia andato alla grande.
      Ed ora non rilassarti troppo, che devi raccontarci le cose più intense che hai vissuto.
      Una serena notte anche a te !

  4. duhangst ha detto:

    Non so perchè gli auto lavaggi mi mettono un ansia terribile! Son scemo lo so, ma è così e non ci posso proprio far nulla..

    • Franz ha detto:

      Il grosso problema è trovare un termine di origine greca che, alla stregua delle altre fobìe, esprima questa…!

      • Tonino ha detto:

        ”Autoplissofobia”.
        Non troverete questo termine su nessun trattato,ne su Wikipedia.
        E’ composta da tre derivazioni greche :
        ”autos” è tutto ciò che si muove autonomamente e deriva da ”automatos” (automatico );
        ”plisso” deriva da ”plìsimo” ,lavaggio, dal verbo ”plino”,(lavare) ;
        ”fobia” da ”fovos” (paura ).

        Terapia : ti potrà capitare che una tua amica ,accetti di passare una serata con Lei ,al cimena, in birreria, ma ti accorgi che l’auto macchiata dallo smog, dal terriccio sul passaruota, dai vetri sporchi.
        In questo ,semplice caso, tu ringrazierai l’esistenza di queste macchine ,dopo, ti sentirai bene e potrai affrontare la serata nei migliori dei modi.
        Te lo auguro.

    • Franz ha detto:

      E’ fantastico che questo blog possa sfoderare, alla bisogna, esperti così eccezionali!

      per Duhangst: sottoscrivo di cuore l’augurio di Tonino 🙂

  5. amanda ha detto:

    una volta all’ospedale di Merano ho assistito al restauro di una intera comunità femminile rom, sono entrate in massa verso le 7 di sera nei bagni aperti al pubblico più vicini all’uscita principale, un secondo prima che ci riuscissi ad entrare io che uscivo in ritardo sulla mia normale tabella di marcia, poichè non uscivano più sono entrata, con un lavandino stavano facendosi doccia, shampoo e messa in piega tutte contemporaneamente, praticamente un salone di bellezza montato sul posto in 3 secondiwordpress stats plugin

    • Franz ha detto:

      L’adattabilità al contesto urbano di queste persone a volte rasenta, altre volte supera, ai nostri occhi, la sfacciataggine.
      Senza voler fare valutazioni di merito, etiche o politiche, mi ricordano in qualche modo certi animali che si sradicano dal loro habitat naturale perchè trovano più attraente di risorse la città; in fondo, anche loro abdicano dal loro habitat naturale, che sarebbe quello del nomadismo, e si radicano nei tanto discussi campi-nomadi.

Commenti:

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