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Interessante, promettente, attraente, avvincente; spariti i dettagli, nella memoria resta solo quella sensazione, di un nuovo contatto improntato all’esclusività di un nuovo amore.
Uno stage, una permanenza collettiva che sta per me terminando; la compresenza, più chiara, di un’altra donna, un amore finito, di antica collaudata confidenza, e la difficoltà di gestire quella spinosa situazione con parole del tutto rassicuranti.
Ma bisogna andare via: ho con me una borsa a tracolla.
Ho fatto la prima parte del viaggio in treno, e con quella borsa sono sceso in una piccola stazione per la coincidenza, sul far della sera.
Telefono ad Antonella; ci si sente molto di rado, sempre nei momenti più importanti o gravi dell’esistenza, anche se lei mi tenne nascosta poco tempo fa una sua malattia molto seria, finché non ne fu guarita o quasi.
La so comunque affettivamente serena, insieme al suo compagno.
La comunicazione è disturbata, tanto che, sul finire, mi sfugge il senso di una sua breve frase quasi bisbigliata; ma ugualmente il tono di quelle poche incomprensibili parole mi allerta.
Ci salutiamo, ma nessuno dei due interrompe la comunicazione.
Lunghi, lunghissimi secondi di silenzio, un silenzio disturbato dal gracchiare di qualche interferenza.
“Ci sei ancora?”, balbetto infine.
“Sì, Francesco, anche tu non hai riattaccato…” e poi la voce le si spezza e la sento piangere, dolorosamente, benché in maniera molto trattenuta.
“Che cosa c’è, Antonella, cos’è che volevi dirmi?” le chiedo con tutta la dolcezza possibile.
“Se n’è andato, mi ha lasciata…” e ancora quel pianto struggente.
Sul tabellone elettronico non compare il mio treno per Padova.
Preoccupato, vado a consultare quello cartaceo, esposto in una bacheca, che invece ne dà conferma.
Torno a guardare lassù, quello automatico, proprio nel momento in cui tutte le poche indicazioni presenti vengono cancellate, lasciando il tabellone completamente nero.
Subito dopo si spengono tutte le luci della stazioncina. Si chiude.
Esco e mi trovo in un piazzale abbastanza movimentato, sul far della sera.
Non posso mancare all’appuntamento di domattina, bisogna che trovi un taxi che mi porti da qui a Padova. Una parte del viaggio l’ho già fatta, non sarà un percorso troppo lungo.
Devo telefonare ad un servizio di informazioni per farmi dare il numero dei taxi di Padova; questo paesino è troppo piccolo per averne dei suoi.
“Dodici-quaranta, suona fischia e canta:” mi sovvengono le voci di Cochi e Renato, le esse un po’ storpiate da probabili protesi dentarie.
Poi c’è anche Bobby Solo: “Se sei stanco del solito risotto, chiama il dodici e ottantotto”; o l’undici, o il tredici e ottantotto? Farò il dodici-quaranta, me lo ricordo con più sicurezza.
Ma prima mi guardo intorno.
Devo essere uscito dalla parte sbagliata: qui non c’è niente che faccia pensare ad una stazione, e se voglio farmi trovare da un taxi devo dare un’indicazione sicura.
Un muretto alto un metro e mezzo, sormontato da vasi rettangolari di piante e da ampolle cilindriche di vetro, forse lampade, mi ostacola il percorso a ritroso.
Con gesto atletico appoggio la mano sul bordo, e riesco, con lo slancio, a portare il mio corpo in posizione orizzontale con la punta di un piede agganciata al muretto. Mi meraviglio di non aver paura, in quella posizione pericolante, mentre articolo il piede per garantirmi un appoggio migliore, che mi permetta di issarmi.
Al di là del muretto, un paio di extracomunitari mi guardano incuriositi.
L’ostacolo è superato, e laggiù vedo una famiglia, con bambini e bagagli, che sta salendo su una jeep, il cui equipaggiamento fa capire senza dubbio che si tratta di un taxi.
Dannazione, mi hanno anticipato di pochi secondi, accidenti a quel muretto.
Allungo ansiosamente il passo per parlare al tassista prima che parta:
“Buonasera, è l’unico, lei, qui? Sa, faccio il tassista anch’io.”
Non mi risponde; gli sportelli vengono chiusi con forza, e la jeep accende il motore, emettendo una fumata scura.
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Immagine da: http://www.u-tools.it/news/la-tecnologia-fa-male-alla-schiena
I sogni sono sempre strani 🙂
…e per questo sempre molto affascinanti!
🙂
Mentre di Bologna posso parlare in base a fugaci contatti a volte per lavoro, a volte per svago e diporto, ma per esempio non ci ho passato una sola notte, di Padova potrei cominciare a parlare adesso e finire un secondo prima di morire, e quindi preferisco non cominciare nemmeno.
Mi limito a dire che il tuo sogno restituisce di quella città il senso di irraggiungibilità e di paradiso perduto che per me l’accompagna da 30 anni esatti: finita l’Università avrei dovuto, potuto e voluto rimanere lì e dedicarmi alla ricerca e all’insegnamento; ma considerazioni che allora mi sembravano inaggirabili e oggi mi sembrano del tutto inconsistenti mi hanno spinto a un rientro a Parma. E fermiamoci lì. Le scelte vanno prese per quello che sono.
Questo onirico treno che scompare nel nulla, lasciandoti in uno spazio neutro, una specie di non-luogo che odora leggermente di Padova ma che comunque Padova non è, insieme agli accenni volutamente evasivi al flusso dei sentimenti e delle emozioni che, a differenza di quella noiosa entità che si chiama Ragione, non conoscono età, e soprattutto un sogno che aveva sicuramente qualcos’altro da dirti, ma i sogni decidono loro quando iniziare e spesso vengono conclusi da un risveglio precoce, da una mosca che ti si posa sulla spalla e ti fa girare di scatto, dalla antipatica imponderabilità dell’universo fisico rispetto alla contorta ma ferrea logica di quello simbolico…. Si parte armati di un bagaglio leggero ma in cui non manca nulla dell’essenziale, e poi le “coincidenze” ci dettano il cammino e magari ci forniscono delle opportunità inattese.
Da anni ho smesso di interpretare i sogni miei ed altrui e non ho alcuna intenzione di ricominciare. E del resto, anche quando interpretare i sogni rientrava tra i miei diritti/doveri/privilegi professionali, all’analisi logica di tipo freudiano preferivo la sintesi un po’ enigmatica dell’approccio di Jung, che quasi ti lascia col dubbio che non siano i sogni a copiare la realtà, ma forse viceversa. Un dubbio che per me sconfina con la certezza.
A Padova ho passato circa dieci anni di vita lavorativa, tornando a Bologna nei fine settimana; non è dunque un caso che il mio inconscio abbia scelto quella città come destinazione di un misterioso e simbolico viaggio in treno.
Avverto nelle tue parole la comprensione profonda, a livello emozionale, del mio scritto, e mi fa piacere.
Con dichiarata vanità, ti confesso che questo tipo di scrittura mi ha dato un’insolita soddisfazione, per il suo carattere fortemente simbolico e dunque ‘aperto’, circa i significati.
Quanto all’interpretazione dei sogni, ti rimando a quanto ho scritto poco fa in risposta a Milvia; mi piace, comunque quell’idea di un ribaltamento di piani fra sogno e realtà, di cui ti dici certo.
CHE FINE HANNO FATTO I GEMELLI??????????????????????????????
😳 Avevo inavvertitamente rimosso il moduletto con il link…
Ora è di nuovo attivo.
Grazie, sei una vera Amica dei Gemelli!!!
dobbiamo aspettare il sogno numero 2? o tu hai un seguito e ce lo tieni nascosto per farci smaniare?
Sorry, cara Amanda, la musica è finita, gli amici se ne vanno, che inutile serata, come cantava Ornella Vanoni.
Aspettiamo, insieme, un eventuale sogno numero due.
Inquietante questa narrazione, come quasi sempre sono inquietanti, per la frammentazione, il senso di sospensione e di incompiutezza, le narrazioni oniriche. Uno strano universo, quello dei nostri sogni: strano, ma affascinante. Sarebbe interessante saperli analizzare, decifrarne i simboli.
Buon riposo, Franz! Buoni sogni.
Milvia
Credo che analizzare i sogni sia uno sforzo inutile.
Con fondamentale approssimazione da incompetente, ritengo che i sogni siano messaggi lanciati da strati profondi della coscienza a strati più vicini al nostro controllo, con la funzione di preparazione ed allenamento alla propria esclusiva vita.
Hanno dunque una preziosissima funzione chiusa in sè stessa, e metterci il naso con chiavi di lettura più o meno fondate ed accurate resta, a mio parere, un’arbitraria e velleitaria invasione di campo.
Un buon fine settimana a te, e altrettanto buoni sogni, magari anche ad occhi aperti, visto che ce n’è molto bisogno.
Eh eh… sono una campionessa di sogni ad occhi aperti… Figurati che ogni giorno mi sogno un Paese migliore…
Buona domenica, Franz!
Visionaria, dunque, oltre che pasionaria!
Da segnalare al WWF… 😮
Uffa mi hai messo ansia … e ora? Com’è finita?
Non è giusto così. Tu non sei uno che lascia il discorso a metà. I tuoi racconti non sono melanconici, tu dici sempre ciò che pensi e pensi sempre ciò che dici.
E il nuovo amore? Quello interessante, promettente, attraente, avvincente? Come si fa a mollare lì un futuro e scappare via?
Questo mondo è ingiusto.
E con le barriere archittettoniche lo è ancora di più.
E’ finita con quel fumo scuro, nè più nè meno, cara Sol.
Non per sadismo, ma sapere di averti messo ansia mi ha un po’ gratificato, sull’efficacia della narrazione.
“Come si fa a mollare lì un futuro?” mi chiedi.
Finchè c’è vita c’è anche futuro, no?
Vero.
Ti auguro ci sia anche amore nel tuo futuro.
Buona domenica.
Ricevuto e muy apprezzato. 🙂
Una dolce settimana a te.