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Ebbene, confesso che ho mentito.
Quello che ho vissuto nel pomeriggio di lunedì scorso non è stata la ‘debordante felicità’ che ho dichiarato nel post precedente, pubblicato non appena il miracolo si è dimostrato inconfutabile.
Il flessibile e leggero arco della cuffia con i due auricolari intorno alla testa, e nelle orecchie le voci della diretta di Radio Popolare Network; questa stessa scrivania, questa sedia; questo video davanti agli occhi, sulla pagina di Facebook e sul suo flusso di aggiornamenti, che contribuivo ad incrementare; l’emozione che quasi non fa in tempo a dispiegarsi che già diventa comunicazione, diffusione…
Forse era giusto così, in quei momenti: fondersi nell’abbraccio con la Rete che ha in gran parte originato quel prodigio, e poi, sempre tramite la Rete, trasportare immediatamente quell’abbraccio a tutti gli alleati nella più santa delle battaglie vittoriose, come ho fatto con le parole di quel post, pubblicato prima delle quattro dello storico pomeriggio.
Quasi un dovere civico, poi, più tardi, armarsi ancora una volta della bandiera azzurra e di quella gialla dei comitati referendari, scendere in garage, risvegliare la Cavallona e galoppare fino in centro, per partecipare all’annunciato festeggiamento in Piazza Maggiore, il tutto sotto una pioggia insistente che contribuiva a fare prevalere il senso di sfinimento su quello della gioia.
Una festa strimizita, trecento ombrelli sotto l’acqua piovana (che ora grazie al cielo resterà di pubblica proprietà anche nei rubinetti), qualche viso noto, oltre a quelli degli alleati a me più vicini; anche il nuovo sindaco fa la sua apparizione, là su quel palco dominato dalla figura rassicurante, calma, determinata, dai lineamenti larghi, di quel gigante della campagna referendaria regionale chiamato Andrea Caselli.
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Dopo i discorsi ufficiali, è lui stesso a stappare lo spumante e ad invitare con un brindisi ad un’euforia che, in realtà, non ha le condizioni fisiche per farsi strada.
Ci sarà tempo, ci sarà l’occasione di emozionarsi davvero, nel vedere le immagini di Roma, di una Roma assolata e ben più calda in tutti i sensi, nei momenti dell’annuncio dei primi risultati (clicca qui); ci sarà tempo per una festa diffusa nel tempo, fluido ed incessante, della Rete, tramite i commenti degli amici, dei giornalisti, di chiunque abbia da dare il suo contributo di razionalità e di passione di fronte allo spettacolo di un Paese, del nostro Paese, improvvisamente trasformato.
Di andare a fare la spesa, e guardare la gente intorno a me nell’ipermercato, e sapere che due su tre di loro, stando alle statistiche di questo pezzetto d’Italia, hanno contribuito a quella trasformazione, e sentire improvvisamente crollato quel muro e quella distanza che sentivo interposta fra me e il mio prossimo.
Ci sarà tempo anche di sentire orientata la mia vita, finalmente e a buon diritto, verso l’ormai vicina settimana dell’abbandono degli ormeggi, in quell’oasi incantata e lussureggiante chiamata ‘Caterraduno’, nelle straordinarie, vacanziere luci smaglianti di Senigallia, con il suo lungomare, e le sue strade del centro da percorrere in bicicletta.
Ma in quei momenti, sotto la pioggia, sentivo prevalere la stanchezza e un po’ di stordimento, in me, e in quella piazza, che ho abbandonato subito dopo il brindisi, per andare a riporre le bandiere nel bagagliaio della Cavalla ed iniziare una nuova serata di lavoro.
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Dovrei dare ascolto, sempre, rispettosamente, alla voce della saggezza, quella che viene dal sottoscala della coscienza.
A mezzanotte ero proprio stanco, e l’ultimo cliente mi aveva portato non molto lontano da casa; ma l’incasso e l’ora erano ancora magri, e così, facendo tacere quella voce, ho rivolto il muso della mia compagna di viaggio ancora una volta verso il centro, e poi, di lì a pochissimo, sulla strada in salita dell’Ospedale Bellaria, da cui mi era giunta intanto una chiamata in apparenza molto fortunata.
Due signore, almeno una delle quali dai lineamenti del viso orientali, forse una cinese, mi stavano aspettando davanti alla facciata principale, nella desolazione di quell’orario.
“Buonasera, dove vi porto?”
“Buona sela, via Mazini.”
“Via Mazzini o viale Masini?”
“No, no, Mazini, quello vicino via San Vitale”.
Bene, ho pensato, non ci allontaniamo di molto dalla periferia giusta per tornare a casa, quella a Sud-Est. E, con una curva stretta, ho imboccato con decisione la strada dell’Ospedale in discesa, nella notte buia.
Immediatamente mi sono visto illuminato da dietro da due fari lampeggianti, nervosi e minacciosi.
Ecco, ho pensato, un pazzo che ritiene che gli abbia tagliato la strada. Ho accelerato e in pochi secondi l’ho perso di vista; mah, avrà rinunciato.
Sgradevole, come quasi sempre, di lì a poco mi arriva il segnale di una chiamata dalla centrale.
“Sì pronto?”
“Sì, buonasera Firenze-1, ha caricato lei la signora T. al Bellaria?”
“Ho caricato due signore, ma non ho controllato il nome,” rispondo; poi, rivolgendomi alla signora cinese:
“Come si chiama lei, signora?”.
Il nome, per quanto incomprensibile, non corrisponde affatto.
“No, non si chiama così.”
“Sono due cinesi?”
“Sì.”
“Allora c’è stato uno scambio di clienti con un collega.”
“Oh, mi dispiace, ma proprio non immaginavo che ci fossero due chiamate.”
Sento la centralinista, rivolta un po’ a me un po’ al suo capo, dire:
“Il problema che adesso l’altro è andato a vuoto.”
“Mi dispiace molto, dica al collega che gli chiedo scusa.”
Un po’ contrariato, proseguo la corsa, confortato solo dal garbo e dal tono discreto delle mie due ospiti, che in breve (superati gli slalom per i lavori stradali di quella mostruosità urbana chiamata Civis), porto a destinazione.
Una volta congedate le signore, non faccio in tempo a ripartire che vedo una cosa che avrei preferito non vedere.
Un taxi con la civetta accesa, cioè libero, qualche decina di metri dietro di me; ho ben pochi dubbi che si tratti del collega di prima: mi deve avere inseguito, ed ora, accertatosi della mia identità, forse addirittura accertatosi di avermi lanciato con la sua presenza un messaggio minaccioso, lascia via Mazzini imboccando una laterale.
Ecco, la notte successiva ad uno degli eventi più felici degli ultimi anni, sono andato a letto sforzandomi di mantenere la calma e ripetendomi che, come in simili circostanza passate, non sarebbe successo niente di veramente preoccupante nella mia vita.
La notte dopo ancora, poi, il mio stato d’animo non era di molto migliore.
Qualche ora prima, quando ancora la luce di queste lunghe serate, di un giugno tornato sereno, accarezzava Piazza del Nettuno, davanti alle colonnine che la delimitano ho fatto scendere degli stranieri, diretti ad una cena di gala a Palazzo Re Enzo, affiancandomi a un altro taxi.
E da lì è sceso, imbestialito, il collega coinvolto nel malinteso della notte precedente; un tipo anzianotto, una faccia a me non troppo nota.
E’ stato quasi impossibile, con le buone o con le cattive, riuscire a spiegargli che ero dispiaciuto, che se voleva gli offrivo una cena, che non avevo capito che quei fari erano di un collega, e che mi ero spaventato, e che mi era sembrato un pazzo che pretendesse la precedenza, e che avevo chiesto scusa tramite il centralino.
Non mi lasciava aprire bocca che ribatteva infuriato, che il centralino non gli aveva detto un cazzo, e che i pazzi stanno a Villa Baruzziana, e che paura avevo che c’è sempre una guardia giurata davanti all’ospedale.
Non ha voluto sentire ragioni, e la cosa mi ha depresso molto, pur con la coscienza che avergli permesso di sfogarsi, grazie a quel nuovo incontro così ravvicinato nel tempo, mi eviterà sicuramente guai peggiori.
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Acqua passata, certo, come ormai quella che cadeva sulla piazza, in quella festa per l’acqua pubblica (e per l’abbandono dell’energia nucleare e dei tirannici privilegi di legge), in un pomeriggio che ingrigiva l’azzurro e il giallo dei simboli vittoriosi.
Li avevo già deposti nel baule dei vestiti vecchi, quando mi è giunta una mail dell’infaticabile Andrea Caselli, con un invito: partecipare di persona al nuovo grande evento mediatico di Michele Santoro e soci, domani nel parco cittadino di Villa Angeletti, ancora una volta portando con sè quei vessilli.
La vacanza può attendere: è ancora tempo di presenza, di condivisione, di straordinaria partecipazione, e di impavide bandiere al vento.
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Le fotografie sono dell’amica Milvia Comastri
Lo stridore fra la dimensione epica di una posibile svolta storica della politica, e dell’intera vita, italiana e l’acciottolarsi implacabile delle miserie quotidiane lascia quasi col fiato sospeso. Scommetterei un milione di euro contro una caramella Golia che il tuo virulento collega è un sostenitore del centrodestra inviperito e fustrato perché si sta rendendo conto che l’armata Brancaleone (o Alì Babà e i quaranta ladroni) nella quale ha riposto la sua fiducia e il suo voto si sta sfaldando come neve al sole. E me ne torno tranquillo a casa con la mia Golia, sono le picole soddisfazioni della vita.
Nel 90 per cento dei casi, per altro, queste gratuite intemperanze altro non sono che degli spostamenti di affetti che non possono essere espressi nel momento e nel modo debito, e si spostano appunto su circostanze apparentemente non tali da giustificarli.
Come mi era già capitato per la sgarbatissima quindicenne di un paio di post fa, direi che anche questo signore pronto a vedere congiure e comportamenti in mala fede dietro ogni cantone merita il soffio dell’umana comprensione, e il rispetto per gli sconfitti (qualora la mia ipotesi di partenza sia esatta, e credo che lo sia).
Rinuncio alla prospettiva di sottrarti un milione di euro, e ti offro virtualmente un intero pacchetto (…gigante 😉 ) di Golia.
Non conosco il mio arcigno interlocutore e farò di tutto per evitare di parlare con lui di politica, anche perchè anch’io sono convinto come te del suo orientamento ‘regressista’.
Mi chiedo solo quanto i recenti eventi possano aver modificato i suoi comportamenti, e se la stessa scena non si fosse potuta presentare nei momenti di maggiore gloria della resistibile ascesa di Silvio Primo (ed Unico, almeno speriamo), o del raffinatissimo Renzo da Pontida, o di qualche altro mostro.
Essendo ancora bruciato, e temendo che questa persona diffonda malanimo nei miei confronti fra gli altri colleghi, l’umana pietas che giustamente invochi mi riesce sicuramente più difficile nei suoi confronti che in quelli della disgraziatissima ragazza non cresciuta.
Un caro saluto a te.
Comprendo in pieno la tua amarezza per l’esperienza con il tuo collega, perché quando non si è insensibili e si è mentalmente aperti si soffre nel vedere che esistono individui a cui non interessa nulla entrare in comunicazione con gli altri. Purtroppo è inutile tentare di ragionare con costoro, è soltanto una perdita di tempo.
Purtroppo esistono personaggi simili ed è spiacevole averci a che fare nel lavoro, ma ci si può consolare confidando nelle persone che non sono così e comprendono il tuo stato d’animo.
Ciao! 🙂
Grazie della comprensione, cara Romina.
A dir la verità, l’aspetto consolante del miol lavoro sta neii contatti relativamente scarsi che si possono intrattenere con i colleghi.
L’ambito delle persone dotate di sensibilità è per lo più un altro: quello della vita reale, e, perchè no, …di quella virtuale! 😉
Ciao!
La sensazione di straniamento, o stordimento, devo dire che l’ho provata anch’io, lunedì pomeriggio, in Piazza Nettuno. Come se mi chiedessi: ma è successo davvero? Ce l’abbiamo fatta veramente? E ancora non ne fossi, io, completamente certa. La stessa sensazione che provavo dopo aver dato un esame all’università, e proprio, forse, perché l’esito era positivo, mi veniva da chiedermi: e adesso?
Tornando nel presente, quel “E adesso?” me lo chiedo ancora. Convinta, felice che qualcosa sia cambiato, ma consapevole che di strada da fare ce ne sia ancora tanta da percorrere. Così mi rispondo: E allora riprendi a camminare!
Se Solibello e Cirri leggessero quello che hai scritto sul Caterraduno, sono certa che si commuoverebbero… Buon abbandono degli ormeggi, Franz! E buon vento verso Senigallia!
Da ultimo due parole sullo spiacevole episodio del Bellaria. Una persona piuttosto squallida, definirei il tuo collega: uno dei tanti, dei troppi, che non sanno ascoltare gli altri, troppo concentrati ad ascoltare se stessi e le loro ragioni. Capisco quanto ti possa aver disturbato, quello che è successo, ma l’essenziale è avere la consapevolezza di aver agito in buona fede. Scolorinalo dalla mente, quel tizio. Non si merita un ulteriore pensiero.
Ah, mi è piaciuta molto l’espressione “sottoscala della coscienza”.
E ancora “ah!”: onorata che tu abbia utilizzato le mie foto!
Ciao, Franz! Un leggero pat pat sul cofano della Cavallona. E a presto.
Milvia
E adesso, ti chiedevi.
Direi che un primo adesso, davvero sostanzioso, abbiamo avuto la fortuna di viverlo ieri sera a Villa Angeletti; sembrerebbe che le forze positive si stiano dispiegando una dopo l’altra, nella nostra nazione, vilipendiata, imbarbarita, ma capace finalmente di un risveglio di intelligenza e nobiltà.
Solibello e Cirri gradirebbero sicuramente le mie parole; ma da parte mia non dimentico che il miracolo, ripetitivo e cadenzato come quello di San Gennaro, ha anche molti altri artefici, e penso sia agli altri organizzatori di quella affiatata squadra, sia al popolo di affezionati partecipanti.
Grazie per la solidarietà circa la mia piccola e squallida disavventura: le tue parole mi sembrano centrare perfettamente il problema.
E infine un piccolo nitrito di gratitudine anche dalla sensibile Cavallona, e un salutone caro da parte mia.
Caro Franz, non te la prendere, c’è sempre qualcuno che ci tira a terra quando si vola troppo alto, come se ci dicessero che il problema vero sta nelle teste, non nel voto ai referendum.
Penso, cara Lorenza, che fra ‘le teste’ e la partecipazione ai referendum ci sia una proporzionalità diretta: non dimentichiamoci che si è trattato sì di un clamoroso successo ma non di un plebiscito, e larghe fette di ignoranza e tracotanza televisiva albergano ancora nella nostra popolazione.
A volte è difficile chiarirsi se una delle due persone è convinta di avere ragione al 100%
Certo, e l’umiltà del dubbio, e il rispetto che porta all’ascolto, sono doti preziose ma troppo spesso deficitarie.