Le Sirene di Senigallia

Perchè continuare fino a vecchiezza
fino a stare male
è già tutto qua
fermati qua
non hai più dove andar

Le Sirene
non cantano il futuro
ti danno quello che è stato
ma il tempo non è gentile

e se ti fermi ad ascoltarle
ti lascerai morire
perchè il canto è incessante
ed è pieno d’inganni
e ti toglie la vita
mentre la sta cantando

Vinicio Capossela

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Il sole delle due del pomeriggio di una domenica di inizio luglio rende vivida, splendente, la silenziosa campagna fra la stazione di San Lazzaro, piccola e variopinta, e casa mia.
Camminare con il pesante zainone blu da trekking non è faticoso: l’aria è insolitamente fresca, dopo il nubifragio che, come mi hanno riferito, si è abbattuto da queste parti due o tre giorni fa.
E una piacevole sensazione di fresco è anche la prima impressione che ho nel varcare la porta di casa, prima di controllare immediatamente se aver lasciato alcune finestre aperte durante la mia assenza, con le sole zanzariere a fare da scudo, abbia causato danni.
Okay, tutto a posto, posso aprire lo zaino, posso cominciare a sistemare gli oggetti, e insieme a quelli anche il vissuto, di quanto successo nell’ormai familiare teatro della consueta annuale settimana della grazia, quella del ‘Caterraduno’, a Senigallia, che tante volte ho già magnificato in queste pagine.

Si cambia, tutto cambia, come ha cantato Teresa De Sio nel dolcissimo finale dell’ultimo evento che ho raccontato prima di partire, cioè la densa ‘Serata-Santoro’ di Villa Angeletti.
Si cambia, e se vuoi che ancora la vita ti offra i suoi regali, devi accettarne docilmente le mutazioni, quelle nei più importanti e rituali eventi della tua annuale corsa a tappe, così come nel tuo modo di viverli.
Perchè il ricordo (con l’aggiuntiva complicità di un diario come questo) consegna le luci del passato ad una dimensione di fissità che non tollera il confronto con la fluida variabilità del presente, nella sua dinamica di luce ed ombra, sole e pioggia, giovinezza e vecchiaia, genio creativo e stantio cliché, benessere profondo e disagio intriso di dubbio, intimo senso di guarigione e amarezza della medicina.

Sono gli anni che passano, le esperienze che la tua vita incide a fuoco nei suoi tanti capitoli, a cambiarti, mentre una simile dinamica attraversa inevitabilmente gli eventi stessi, che ti si ripropongono a volte con rituale ricorsività.
Inestricabile, in apparenza, l’intreccio fra i cambiamenti oggettivi, di un evento come quello appena terminato, con quelli soggettivi, cioè nelle modalità del mio coinvolgimento e percezione, peraltro gravate da aspettative (ormai abitualmente) eccezionali.
Ma, in fondo, cercare di distinguere minuziosamente i due aspetti è uno sforzo inutile: interessa poco a me per primo, e probabilmente per niente a chi legge queste pagine; meglio dunque limitarsi a fare riemergere, cullati dal ricordo ancora fresco, solo alcuni, fra i principali, dei tantissimi momenti ed esperienze vissute nella settimana appena terminata.
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I riflettori, nella notte del salotto di Piazza Roma, illuminano una conversazione intelligente e pacata, sulle fotografie scelte dai protagonisti per riflettere sulla passata stagione; sul palco Sandro Ruotolo, Lirio Abbate, Flavia Perina, ma soprattutto Fabrizio Gatti che, come in un romanzo di spionaggio, racconta dei suoi cambiamenti di identità, a volte comici e grotteschi, fatti per garantirsi un reportage in mezzo ai detenuti a Lampedusa nel Centro di identificazione ed espulsione.
L’ultima immagine proiettata, quella scelta nelle ultime settimane dal pubblico di Caterpillar, è una grande scheda referendaria. Mi colpisce a tradimento, un tuffo al cuore di commozione.
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Sono venuto a passeggiare e a sostare da solo in Piazza del Duca e nel parco che corona la possente Rocca Roveresca.
Ho ritrovato il nitido rassicurante splendore del mattino: non so immaginare questi luoghi nel grigiore invernale.
Scatto qualche fotografia.
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E’ una missione di pace, per me, un rito di purificazione e riconciliazione con il mio recente passato. Perchè proprio qui, l’anno scorso, decisi di mollare, di chiamarla io, interrompendo quel silenzio che mi stava devastando nel profondo: K. doveva essere tornata dalla Polonia, due giorni prima della mia partenza per Senigallia, e non mi aveva cercato. Su una panca di marmo sotto le possenti mura della Rocca, con il cuore che batteva forte, dunque la chiamai, trovai occupato, ma dopo un quarto d’ora, mentre camminavo titubante attraverso la lunga piazza, mi richiamò lei. E mi bastò risentirla, finalmente, senza fare troppo caso al suo tono di voce stranissimo e ai suoi argomenti vistosamente depistanti dall’inaccettabile, scandalosa verità del suo abbandono, per rincuorarmi e riconcedermi uno stato d’animo decente.
Mi siedo a leggere contro un robusto tronco d’albero.
Una giovanissima maestra dalla pelle nera sta insegnando danze afro ad un gruppo di bambine, che la imitano con molta attenzione e risultati eccellenti. Poco più in là i maschietti, divisi in due squadre grazie a piccoli giubbotti catarifrangenti arancioni, inseguono il pallone e sfogano un’insana aggressività urlando in continuazione.
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Non si può star fermi: Ben Oncle Soul, i suoi musicisti, i due ballerini sul palco, trasmettono una straordinaria carica di energia e di bellezza, a me, ai miei nuovi amici conosciuti nel mio vecchio Hotel Hamburg, che ballano scatenati, qui vicini, con me, con tutta la gente qui intorno nell’ovale piazza abbracciata dal portico del Foro Annonario.
La scena si ripete ventiquattr’ore dopo, con la potenza dei fiati dei ‘Figli di Madre Ignota’, musica vagamente balcanica ed orientale , una tempesta di energia, un linguaggio musicale essenziale, quasi ancestrale. E una prova atletica impressionante del cantante, che continua instancabilmente a saltare, con armonia e ritmo, per due ore.


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La pioggia, maledetta, in pochi minuti un diluvio, in Piazza Roma nel bel mezzo della consueta breve trasmissione dell’una del pomeriggio. Seduto con i miei amici, nelle prime file, siamo fra i pochi a non cercare riparo, se non tramite il nostro K-way, che non ci eviterà di restare tutti inzuppati. Dal palco Cinzia Poli, una delle voci della trasmissione, mi punta contro, un po’ furbescamente, la sua arma impropria, una fotocamera digitale.
Non ci voleva questa pioggia, mi sembra che l’instabilità del tempo tolga gran parte della magia a questa edizione del raduno, sento la delusione chiedere il suo tributo, che a fatica cerco di non concederle. Mi sembra che anche il conduttore Massimo Cirri sia andato perdendo col passare degli anni il suo classico smalto, che le sue battute siano diventate ripetitive. Mi manca quella sensazione di benessere pervasivo, durante la colazione nel giardino dell’albergo, o pedalando nella pista ciclabile sul lungomare.
Mi chiedo che cosa sia cambiato in me, nel volgere di un solo anno.
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Ancora instabilità, ancora un autentico fortunale si accanisce sull’ultima trasmissione dalla spiaggia, con tutta la squadra riparata sotto una piccola struttura balneare, e che ascolto in gran parte per radio dalla camera dell’albergo, con gli occhi puntati verso il cielo a studiare l’evoluzione dei nuvoloni opprimenti.
L’amica di blog e compagna di molte battaglie, conosciuta di persona proprio un anno fa qui a Senigallia, è arrivata in mattinata da Bologna; lei ora non ha potuto evitare il diluvio, mi fa sapere per telefono. Quando decido di uscire anch’io, la pioggia è un po’ calata, ma un fulmine ha interrotto la trasmissione, che continua con mezzi di fortuna solo per pochi minuti.
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Ma per il concerto di Vinicio Capossela il cielo si è calmato.
La distanza dall’albergo non può evitarci di finire molto indietro rispetto alla folla che già ha riempito tutto il Foro Annonario. E proprio dietro noi un gruppo di ragazzi urlano sgraziati ed ossessi, in preda all’alcool e forse agli stupefacenti, e continueranno a guastare la festa anche con i loro movimenti violentemente inconsulti.
Siamo fitti come sardine, con le teste di chi sta davanti che impediscono la visuale, quando ha inizio uno dei più bei concerti a cui abbia mai assistito, come riesco comunque ad intuire fin dai primi brani.
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La profondità degli argomenti letterari delle più recenti canzoni, la ricchezza di timbri ed impasti sonori, vocali e ritmici, la teatralità della scenografia, tutto questo riesce a tratti a raggiungermi anche in condizioni così disagiate. Mi accorgo a un certo punto con sorpresa che nonostante tutto sto applaudendo.
Più avanti riusciremo ad intrufolarci in una zona un po’ più favorevole all’ascolto e alla visione.
E quando, sul finire, il grandissimo Capossela canterà ‘Le Sirene’ (clicca qui), che parlano di vita e di morte, del tuo passato, del tuo cammino, e che ti interrogano drammaticamente e suadentemente sul significato più essenziale di tutto questo, non potrò evitare di essere invaso da una profondissima, quasi sonvolgente emozione e commozione, e molto a stento riuscirò a trattenere le lacrime.
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Memori dell’esperienza del giorno prima, con la mia cara amica bolognese decidiamo di rinunciare al concerto di un altro gigante della musica contemporanea, in arte Caparezza, per poter accamparci proprio sotto il palco della festa finale, in un lungo happening che ci porterà piacevolmente fino alla mezzanotte, quando, poco prima dell’inizio, riusciamo a farci raggiungere da altri due amici, che ci raccontano che per loro le cose, nonostante tutto, sono andate logisticamente meglio, durante l’altra straordinaria e intensissima esibizione che intanto ascoltavo per radio.

 

La festa comincia con Stefano Bollani accompagnato da un paio di ragazzi danesi nel suo repertorio prettamente jazz.
Stare qua sotto dà una strana impressione quasi familiare, mentre quelle mani sulla tastiera compiono i loro consueti prodigi.
Dopo un’altra giovane ospite, Erica Mou, che induce ancora ad un ascolto attento, della sua voce squillante e della sua tecnica musicale sperimentale, via via, poi, l’arrivo degli altri protagonisti, David Riondino, don Tonio Dell’Olio (braccio destro di don Ciotti e coprotagonista, con lui, della straordinaria asta pomeridiana per Libera), oltre ai conduttori Cirri, Solibello ed Ardemagni, e i ruspantissimi genialoidi cantanti reclutati nei mesi scorsi fra il pubblico radiofonico, porta finalmente a quel clima di crescendo di allegria gioiosa e partecipata che sembra non finire mai.
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Sono già passate abbondantemente le due, al momento dei saluti finali, fra gli applausi corali a tutta la squadra di collaboratori sul palco, mentre partono le note della sigla, che continua travolgente per lungo tempo, proprio come l’anno scorso.

Scandisco con una danza semplice e quasi tribale, e con il battere ritmico e convinto delle mani quelle note, rapito ancora una volta dalla magia della condivisione con un’intera piazza che ondeggia ballando insieme a me, a noi, mentre Filippo Solibello e Marco Ardemagni passano davanti alle prime file del pubblico a stringerci le mani, e Veronica Del Soldà viene a ballare in mezzo a noi. Sono momenti di una bellezza inequivocabile, ora ogni dubbio e perplessità è fugata, ora so che il miracolo si è ripetuto ancora una volta.
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La giornata di luce più smagliante, con l’atmosfera tersa dai recenti temporali, è beffardamente quella della partenza, la mattina seguente, dopo sole tre ore di sonno.
Saluto la signora Manuela, ormai per me più un’amica che la proprietaria dell’albergo: “Vi auguro tante cose belle, a voi tutti, ma soprattutto a te. Mi raccomando,” aggiungo: “l’anno prossimo voglio vederti in splendida forma!”
Mentre mi saluta vedo che ha gli occhi lucidi, e con la voce a stento controllata dall’emozione mi dice:
“Ecco, ormai l’estate è finita.”
“Come, finita? Siamo solo all’inizio!”
“Sai, quando vanno via le persone a cui sono più affezionata è come se fosse finita…”

Con lo zaino blu sulle spalle, e un nuovo piccolo patrimonio di preziosissime emozioni, mi avvio alla fermata dell’autobus per la stazione, oltre la ferrovia, là sulla strada provinciale di fronte all’area di sosta dei camper.
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Ad eccezione di quelle di Piazza del Duca, tutte le immagini sono tratte da http://caterpillar.blog.rai.it/

Informazioni su Franz

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12 risposte a Le Sirene di Senigallia

  1. kalojannis ha detto:

    Credimi, è difficile scrivere delle emozioni che riesci a regalare con un post come questo… pur non conoscendoti personalmente, sono anch’io convinto che tu sia davvero una “bella” persona.
    Ascoltavo Caterpillar con più frequenza un po’ di anni fa e non sono mai stato ad un raduno, ma da come l’hai descritto deve essere davvero un’esperienza indimenticabile…
    non conoscevo “Le Sirene” (Capossela non mi fa impazzire)… il testo – e il suo significato – è davvero bello… grazie per avermelo fatto conoscere.

    • Franz ha detto:

      Caro amico, credo che comunicare emozioni sia il principale obiettivo di chiunque cerchi di raccontare qualcosa; dunque la tua testimonianza rappresenta per me davvero la massima gratificazione.
      Il Caterraduno è sempre un’esperienza speciale, una settimana di grazia in cui si addensano momenti bellissimi di festa e condivisione; e sembra non dare per ora segni di stanchezza e di vecchiaia, benchè da diversi anni ormai la sua struttura, di tempi, luoghi e rituali, si sia fissata.
      Quest’anno, fra la vendita delle magliette e la cosiddetta ‘asta per la legalità’, è stata raccolta la cifra record di oltre centomila euro, per le cooperative antimafia di ‘Libera’ di don Luigi Ciotti.
      Questo importante risultato, insieme all’indotto commerciale per Senigallia, fa ritenere che l’evento avrà vita ancora lunga.
      L’anno prossimo spero che ci si possa trovare di persona!

  2. Luca ha detto:

    L’associazione mentale quasi immediata che mi si è formata è quella con la Festa di Cuore, che si è svolta a Montecchio per diversi anni. Su Facebook circola l’informazione che questa festa fosse parallela nello spazio e nel tempo con la Festa dell’Unità, quando questa si svolgeva regolarmente fra Modena, Reggio e più sporadicamente Bologna. Non era così. La festa si svolgeva nel Parco Enza di Montecchio a una ventina di chilometri dall’abitato di Reggio, indipendentemente dall’ubicazione della festa dell’Unità, e di solito anche un paio di mesi prima.

    Questo fa capire da una parte come l’informazione di quel social network da me notoriamente mal sopportato sia quasi sempre approssimativa ed abborracciata (diciamo che rispetto a Wikipedia, che pure ogni tanto ospita per settimane o mesi bufale cosmiche, c’è un ulteriore baratro); da un’altra, e in termini di connotazione positiva, come quella festa abbia prodotto leggende urbane fuori controllo in cui il ricordo si aggroviglia come il traffico quando piove di un’antica pubblicità di Claudio Bisio.

    E lì capitavano cose incredibili: ricordo ancora una performance dei Modena City Ramblers che per motivi imprecisati si erano presentati senza strumenti ed avevano improvvisato una session con strumenti forniti dal pubblico; il professor Vecchioni che l’indomani aveva la sessione d’esami a Milano ma all’una di notte addentava uno gnocco fritto a un tavolaccio comune, spiegando con pazienza e senza successo ad un suo esagitato giovanissimo fan che i due leader di Canzonenoznac erano la stessa persona, come in Velasquez e come in Stranamore; una autoironica godibilissima performance cabalistico-elettorale del Mago Otelma pochi giorni prima delle elezioni del 1996; Antonio Albanese che recitava per la prima volta la scena iniziale di “Uomo”, la sua più riuscita e famosa performance teatrale che sarebbe andata in scena nell’autunno successivo; un Guccini insolitamente sobrio che cantava canzoni a richiesta; il mitico Osvaldo Fresia col suo tormentone “Lo spettacolo siamo noi, ma gli strnz siete voi”, o viceversa; Freak Antoni che si trascinava ubriaco fradicio (e forse non solo ubriaco) alle 7 di sera per poi presentarsi sul palco alle 21,30 apparentemente lucido e luciferino dopo non so quali terapie di recupero rapido.

    E il mistico, magico, misterioso, boschivo scenario del Parco Enza dove verso mezzanotte al quarto gin tonic non ti saresti stupito di veder comparire una famigliola di elfi nordici in processione.

    Certo, rievocare eventi di ormai una quindicina di anni fa non ha la stessa potenza evocativa, nè dà la stessa gioia dello sfogare un surplus emozionale ancora caldo e nitido sulla pelle. Ma ognuno dà quello che ha a disposizione.

    Un abbraccio.

    • Franz ha detto:

      Carissimo, le mie vicende logistico-lavorative (prima ancora che la mia lenta evoluzione di pensiero sociale) mi hanno purtroppo tenuto lontano da certe epopee come quella che tu rievochi, e di cui non sapevo niente.
      Il quadro che viene fuori da quelle tue variopinte e varioetiliche e variobucoliche memorie è di un evento altrettanto festoso, più noto, e meno strutturato, più spontaneistico, rispetto ai sette Caterraduni che ho frequentato (e agli altrettanti, se non erro, precedenti), nel bene e nel male.
      Comunque spero che l’anno prossimo tu possa verificare di persona le differenze: ne vale davvero la pena.

      Quanto a Facebook, non mi stanco di ripeterlo, è uno strumento che si presta facilmente alla banalizzazione e alla superficialità, ma, se ben utilizzato, dà un accesso prezioso, e la relativa possibilità di diffusione, ad articoli e filmati ricchissimi di contenuto informativo ed approfondimento intellettuale; giusto per darti un esempio, questo l’ho trovato un paio d’ore fa.

      Abbraccio ricambiato.

  3. amanda ha detto:

    faccio mio l’incipit e l’epilogo di Milvia, ben tornato Franz

    • Franz ha detto:

      Grazie, cara Amanda. Ben ritrovata anche a te, qui nella blogosfera; quest’anno speravo di vederti a Senigallia, ma capisco che una gita su una barca piena di Lituani ubriachi rappresenti un’esperienza molto più intensa…! 😀

      • amanda ha detto:

        Difficile trascinare il 3/4 in vacanza al mare in generale, se il mare è fatto di come l’alto adriatico da questo lato, oserei dire impossibile, quindi avendo solo una settimana fino a settembre o ci si separava o, decisamente meglio si trovava una meta comune 🙂

      • Franz ha detto:

        Certo, l’avevo immaginato, e sono sicuro che sia stata la scelta migliore.
        A dire il vero, durante il Caterraduno di mare se ne fa davvero poco, visto che mattina e primo pomeriggio servono per ricuperare un po’ di riposo; e se sei riuscita a lasciare immune il tuo ‘tre quarti’ dall’insana passionaccia per le residue nicchie di radiofonia interessante, Senigallia era a maggior ragione improponibile…
        🙂

  4. milvia ha detto:

    Bellissimo, questo tuo diario dei giorni senigalliesi, caro Franz. Mi piace molto l’onestà con cui metti a nudo le tue sensazioni più profonde, mi piace la tua capacità di condividerle con… intensa sobrietà, mi vien da dire. È qualcosa che commuove, che fa dire, io credo, a chi ancora non ti conosce: che bella persona, questo Franz. E per chi ti conosce, è un’ulteriore conferma di quanto, appunto, tu sia davvero una bella persona.
    Sono felice di aver partecipato insieme a te a questa esperienza. Sono felice di aver condiviso emozioni, momenti di pura gioia, di riflessione, ma anche di semplice svago, insieme a te e al popolo del Caterraduno.
    Sono anche contenta che fra i giornalisti presenti ti abbia colpito particolarmente Fabrizio Gatti, perché ho per lui una grandissima stima.
    Mi ha fatto pure piacere vedere che le persone che hai conosciuto in questi anni, lì a Senigallia, hanno verso di te un affetto sincero: te lo meriti, Franz.

    Certo, se non avesse piovuto sarebbe stato meglio… Ma poi è tornato il sereno. Il sereno torna sempre, basta saper attendere con fiducia.

    • Franz ha detto:

      Rispondere a complimenti così belli, generosi e, direi, definitivi, non è facile: la parola grazie risulta piuttosto inadeguata; ma il linguaggio non offre di meglio.
      E’ stata una gioia anche per me condividere le intense giornate finali della manifestazione con …un’infiltrata di Radio3! 🙂
      E grazie anche per quell’immagine di grande ottimismo con cui termini il tuo commento, e che fa da perfetto contraltare al canto delle sirene (in una notte di birra / e non viene mai l’alba), almeno secondo il significato che ne dà il grande Vinicio.

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