Giocare a Risiko sul Golfo Persico

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Un crescendo di eventi drammatici, talora tragici, sta imponendosi alla nostra attenzione, in quest’ultima parte di un anno che terminerà lasciando gli scenari, quello nazionale come quello mondiale, straordinariamente diversi da come li aveva trovati all’inizio.
La crisi finanziaria, nel mondo, in Europa, in Grecia, in Italia; il tragicomico declino di un governo corrotto guidato da un grottesco clown; le immagini di devastazione, dolore e morte dalla Liguria alluvionata.
Tuttavia da pochissimi giorni c’è un’altra notizia, al momento soffocata dal fango di Genova, che, nell’ipotesi più pessimistica (ma purtroppo non senza fondamento), potrebbe invece a posteriori rivelarsi di una portata storica tale da minimizzare tutto il resto, pur facendo parte, in maniera fondamentalmente coerente, di un unico quadro d’insieme.

Gli appetiti minacciosi degli Stati Uniti, una potenza economica vicina al tracollo e al contempo un’impareggiabile potenza militare, nei confronti dell’Iran, non sono nuovi: ci accompagnano ormai da anni come un fastidioso rumore di fondo a cui è stato facile finora non dare troppo allarme.
Ma ora, improvvisamente, le cose sono cambiate.
Ora, infatti, veniamo a sapere che uno straordinario attacco informatico, sferrato da USA e Israele, era riuscito a bloccare le attività di arricchimento dell’uranio in corso in quel Paese, ma che in tempi rapidi era stato alla fine neutralizzato.
Veniamo a sapere che è in corso un progetto di localizzazione degli impianti iraniani in nuovi bunker molto più nascosti e protetti da eventuali attacchi missilistici.
E che questa notizia ha prodotto un’accelerazione forse decisiva nella strategia d’attacco militare, contro un Paese che rappresenta una fonte di petrolio troppo importante per la sopravvivenza dell’economia occidentale.
Veniamo a sapere di grandi manovre militari del miglior alleato americano, quello britannico, e nello stesso tempo della tessitura di un’alleanza ufficiale degli Americani con i paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Bahrein, Qatar, Oman, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Arabia Saudita).
Da Israele, in questi stessi giorni, la chiamata alle armi contro l’Iran da parte del capo di stato Shimon Peres e del primo ministro Benjamin Netanyahu trovano un’opinione pubblica già in buona parte favorevole all’intervento.
E veniamo a sapere anche (almeno per chi non ne era già al corrente) che la Cina ha degli avamposti militari in zone strategiche rispetto a quell’obiettivo, un obiettivo verso cui è comprensibile un appetito almeno uguale, vuoi per ragioni difensive nei confronti dello strapotere occidentale, vuoi per le stesse ragioni di sopravvivenza energetica.

Dunque l’ipotesi di trovarci alla vigilia della terza guerra mondiale ha una sua nuova e terribile verosimiglianza.
Non solo per l’ormai collaudato ricorso a un conflitto come antidoto americano alla crisi economica, una crisi peraltro senza precedenti. Ma anche perchè senza precedenti è la situazione di crisi delle risorse energetiche, ragione questa ancora più forte della pura e semplice sete di potere che aveva causato le due guerre mondiali del secolo scorso.

Le principali fonti da cui ho attinto queste notizie sono un articolo di Simone Santini ripreso dal sito Megachip (vedi qui) e il post di Beppe Grillo pubblicato giovedì scorso, 3 novembre, sul suo blog (vedi qui).

Come faccio quotidianamente da anni, ho letto il quotidiano scritto di zio Beppe, da cui ho avuto il primo allarme sulla questione, nella notte fra giovedì e venerdì, al mio rientro dal turno serale di lavoro.
Conoscendo le sue capacità profetiche già tante volte dimostrate in passato, sono poi andato a letto con la mia visione della realtà in qualche maniera modificata da un nuovo senso di inquietudine, da nuove prospettive di morte e devastazione, fino all’estrema ipotesi di una fine della civiltà umana davvero imminente.
Nel giro di un paio di giorni, ho poi trovato conferma dell’allarme sia nell’altro articolo che ho linkato, sia da altre notizie similari vaganti come proiettili di verità sia in Rete che nei Giornali Radio più attenti e corretti.

Mi vado interrogando, di pari passo, sull’atteggiamento più giusto e costruttivo da assumere nel caso di un progredire rapido di un’ipotesi dannata fino a tal punto.
E’ chiaro che, quando una situazione sembra precipitare a livello planetario, poco possono le buone pratiche e i comportamenti corretti di quel settemiliardesimo della popolazione mondiale rappresentato da ciascuno di noi.
Ciò non toglie che, anche in una situazione simile, non viene meno la responsabilità di ognuno nei confronti della pace, nonché della protezione della vita dell’umanità intera e del suo ambiente.
Non nascondere la drammaticità della situazione, e agevolare anzi la circolazione delle informazioni vere, non cessano di essere punti di riferimento fondamentali.
Allo stesso modo, tuttavia, penso che lo spavento, la paura, finanche la rabbia, nuocciano sia alla qualità della vita quotidiana che intanto continua imperterrita, sia alla predisposizione collettiva di anticorpi di salvezza.
Nella considerazione che la realtà è sempre più ricca dell’immaginazione, e dunque le vie d’uscita dalle situazioni anche più atroci possono sempre presentarsi, e sta in noi dare ad esse, con un atteggiamento sempre e comunque positivo, tutto il campo possibile per svilupparsi.

Ricordiamolo, nel momento in cui lo spavento e la desolazione dovessero casomai presentarcisi, singolarmente quanto collettivamente: non è scritto in nessun sacro testo che l’avidità folle e suicida di pochi debba aver la meglio sulla volontà pacifica e costruttiva dell’umanità intera.
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Immagine presa da:
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4 risposte a Giocare a Risiko sul Golfo Persico

  1. Luca ha detto:

    Come la finanza si porta avanti con del denaro spesso virtuale o del tutto inesistente (cfr. Tanzi, Cragnotti, Ricucci et al., oh quanti al…..) da 66 anni gli scenari militari riguardano armi di distruzione di massa inesistenti, virtuali o comunque non utilizzate.

    Gli Stati Uniti si sono assunti a suo tempo la responsabilità di dimostrare cosa significa un bombardamento atomico. Nessuno sa o può dire se la decisione di sganciare quelle due bombe fosse legata anche al desiderio di creare un deterrente più o meno permanente a livello mondiale.

    In 66 anni una fetta importante degli Stati del pianeta si è messa in condizione di costruirsi un armamentario nucleare. E’ come la Smith and Wesson che riposa nel cassetto del gioielliere che spera di non doverla mai usare, ma se quaklcuno lo stuzzica il discorso cambia…

    Quando cerco disperatamente qualche segno di permanente equilibrio del genere umano, lo rintraccio nel fatto che nesssuno mai più ha premuto quel fatidico pulsante.

    Perchè sul piano della logica elementare, non c’è bisogno di fare complicate simulazioni aòl computer per capire che chiunque cominci per primo innesca un pittoresco Risiko estremo, che non si arresta quando uno dei giocatori ha conquistato la Jacuzia, la Kamchatka e un continente a sua scelta (e tutti puntano sull’Australia) ma si arresta solo quando l’intero pianeta è un cumulo fumante di macerie, detriti e scorie radioattive per i successivi 500 anni.

    Ma non è detto che durerà per sempre. La diffusione planetaria delle armi nucleari e il decrescente buon senso dei capi di stato sono le componenti di un cocktail potenzialmente letale. Attenuate dal fatto che la voce della gente comune ha oggi più possibilità di propagarsi attraverso il web di quanta ne avesse trent’anni fa quando ‘sto benedetto web non c’era.

    • Franz ha detto:

      In maniera nient’affatto …entropica, metti in scena, con equilibrio, diversi argomenti.
      L’allarme di infrangere i patti di non proliferazione atomica lanciato enfaticamente dalla principale potenza nucleare mondiale a me ricorda tanto la favola del lupo e dell’agnello.
      Con tutta la buona volontà, poi, non riesco a vedere una qualsiasi intenzione che possa anche lontanamente giustificare la tragedia di Hiroshima e Nagasaki.
      Credo che ‘quel fatidico pulsante’ sia stato accarezzato, se non premuto, più di una volta, in seguito; dobbiamo sentirci impegnati tutti a fare in modo che si riempia di polvere, e, in prospettiva, che venga smontato per sempre.
      Il confronto fra ansia belligerante, di potere, distruttiva, di pochi e l’istinto vitale dell’umanità intera è sempre in evoluzione. Sembra proprio che entrambe le fazioni si siano negli ultimi tempi rinforzate: maggior spinta strategicamente, scientificamente imperialista da una parte, e l’antidoto democratico offerto dal web dall’altra.
      Il quadro generale offerto dalla ‘belva umana’ (per citare Guccini) resta comunque molto desolante.

  2. duhangst ha detto:

    Hai perfettamente ragione, non è scritto da nessuna parte, ma serve una maggioranza cosciente della sua forza e delle suoi diritti e non intorpidità come questa.

    • Franz ha detto:

      Credo che, nel nostro Paese, nell’ultimo anno le cose siano molto cambiate, e che si sia finalmente formata una maggioranza ragionevole e pronta a rivendicare sacrosanti diritti. Ma deve scontare l’eredità spaventosa di quasi vent’anni di progressiva corruzione della cosa pubblica, e soprattutto la mancanza di una forza politica di riferimento veramente capace di rappresentarla, se escludiamo qualche movimento più o meno di nicchia.

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