La soffice emergenza

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Un’emergenza ampiamente prevista, ma non per questo meno capace di modificare il corso della tua vita, più che mai costretta a una revisione quotidiana della lista delle priorità.
Il che significa affrontare rinunce, tacitando l’ansia dell’efficienza, ben nota e mai finita di domare, e nuove esperienze, possibilmente con il sano coinvolgimento e la giusta serenità che merita ogni giorno di vita. Almeno per chi può permettersi questo lusso, perché la vera emergenza è quella dei senzatetto assiderati, o degli anziani morti d’infarto nello spalare la neve (qui la cronaca di ieri).
Qualcuno ha scritto che questa multipla nevicata a Bologna sia stata la più straordinaria del dopoguerra. A mia memoria direi che abbia finora soltanto eguagliato quella del 1984, e che potrà superarla solo con gli ulteriori contributi, previsti nei prossimi giorni, di quell’invadente, debordante, soffocante manto di farina gelata che scende impalpabile e si compatta, a fine caduta, in materassi, inizialmente soffici, via via più ingombranti, e capaci di trasformare fantasmagoricamente tutti i consueti paesaggi.
Spessore totale di un metro, è stato pure scritto, esagerando, ma non di molto.

Le cose da poter raccontare, sul mio vissuto di questi ultimi giorni, sarebbero tante, ma mi dovrò limitare a un solo quadro, o quasi.
Indubbiamente l’esperienza più forte è stata proprio all’inizio del ‘periodo bianco’, mercoledì nel tardo pomeriggio.
Con un misto di spirito di servizio, baldanza e desiderio speranzoso di buttarmi nell’agone, scendo le scale e apro il portone di casa. Ha smesso di nevicare da poco e nessuno dei vicini ha fatto alcunché: il vialetto e poi la scala del garage hanno già un bianco tappeto dove i piedi affondano per almeno venticinque centimetri.
Messa in moto ed estratta la Cavalla, apro il cancello con il telecomando e mi si para davanti quello che sarà il vero ostacolo di tutti questi giorni: la ripida rampa, che naturalmente trovo anch’essa coperta da quel candido e morbido tappeto.
Tento, senza pensarci troppo, la prova di forza: vai Cavallona!
Le ruote scavano facilmente due solchi, ma dopo pochi metri la bestiolona si blocca impantanata. Per fortuna non tanto da non poter rientrare, con la coda bassa, in garage.
Calma. Affrontare gli ostacoli.
La paletta, ecco. Andrò su a recuperarla e con quella libererò quei venti metri di salita verso la realtà, verso il bianco reticolo viario, dove scorrono, ovattate in una quiete irreale, rare vetture e, ogni tanto, qualche mezzo di servizio con enormi ruote e una grande pala.
La mia paletta, invece, è piccola, ancora la stessa che usava la mamma nelle pulizie di casa, mezzo secolo fa, e rettangolare, di ferro non troppo arrugginito, con un manico di legno ballerino, che necessita immediatamente di una passata di nastro adesivo.
Affronto, con quello strumento domestico, e senza guanti, un’impresa che si dimostrerà al limite delle mie possibilità fisiche.

L’avanzata della sera è rischiarata dalla forte luce di un lampione, ampiamente diffusa dal chiarore nevoso tutt’intorno; la mia, avanzata, è molto lenta.
Impiegherò quasi tre ore, chinato a completare lo spostamento di quelle zolle, in parte ghiacciate in parte farinose, sulle prime euforizzato dall’aria pulita e frizzante; avvertendo poi, sempre più spesso, la necessità di cambiare braccio, di cambiare posizione, di mettermi a sedere sulle ginocchia per riposare la schiena. Chili, quintali, ettolitri d’acqua trasfigurata in mousse bianca e granita, da buttare di lato. E i muscoli delle braccia e della fascia lombare non abituati a lavorare nel corso dei miei allenamenti podistici, men che meno nella sedentarietà di tutto il resto.
Quando mi trovo parzialmente ricomparso dalle viscere della terra, dalla finestra del primo piano il mio anziano dirimpettaio mi scorge e mi saluta, e mi consiglia di chiedere una pala al signor G., un altro vicino a loro particolarmente amico.
“Non importa, sono già a buon punto!” gli rispondo forte, con i residui di quella baldanza iniziale.
Provo a sgranchirmi, a raggiungere la strada, e mi accorgo con disappunto che anche camminare è diventato difficilissimo (e non per la neve), mentre mi lascio impressionare e un po’ incantare da quel panorama così diverso, luminoso, armonioso e fiabesco, sotto un cielo ormai buio.

La parte finale dell’opera è la più maledetta, per via della piccola muraglia prodotta dal passaggio sulla strada dei mezzi spartineve.
Ce l’ho fatta, mi ripeto più volte guardando con soddisfazione la mia opera e resistendo alla tentazione perfezionistica di infiniti ritocchi.
Rientro in casa, mi preparo un latte di soia caldo con orzo solubile e ci inzuppo i mitici frollini integrali della Coop, e poi, con tutto il fisico che grida dolore e vendetta, mi butto vestito sotto le coperte per riposarmi, fino quasi a prendere sonno.
Ma alle undici e un quarto sono nuovamente in garage, barro la cartella di servizio, e comando alla Cavallona di muoversi ancora verso l’ostacolo.
Lo affronta docilmente, solo con una piccola innocua strisciata, in cima alla rampa, contro la parete bianca.

Mi accoglie un mondo di strade incantate, da percorrere a velocità moderata ma con tutta la sicurezza delle miracolose gomme termiche.
Il tempo è come rallentato improvvisamente, scomparso lo stridore della sua frenesia; una fila di gente attende il taxi, ordinatamente, all’uscita della stazione.
Nessuna delle quattro corse che effettuerò avrà le temute destinazioni collinari o molto lontane, mentre tutte le persone trasportate condivideranno con me, nel silenzio o nella conversazione, la quiete profonda del rallentamento, emanata da quello straordinario paesaggio silenzioso e luminescente.

All’una e mezza riprendo la strada di casa. Le previsioni meteo per radio sembrano indicare altra neve fin dal primo mattino. Giro un po’ nei dintorni, alla ricerca di un parcheggio per la notte, che mi eviti il bis di quella terribile fatica; la ricerca non è facile, la neve ha invaso tutti gli spazi lasciati liberi dalle altre automobili.
Guardo sul cruscotto il termometro esterno: segna meno tre. E cambio idea, non ho il cuore di lasciare la mia compagna di avventure al gelo e di ritrovarla poi sommersa da un’invadente coltre bianca.
Una piccola manovra è necessaria per imboccare di misura, fra le pareti di due neonate colline artificiali, il corridoio appena sufficiente, che immette alla rampa in discesa, in fondo alla quale, dopo aver premuto il telecomando, vedo il cancello spalancarsi come al solito.
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P.S.: per onor della cronaca, nei giorni successivi, diversi vicini di casa hanno effettuato opere di autentica mirabile ingegneria, nel generare varchi e sentieri. Da parte mia sono riuscito a procurarmi un piccolo badile che è comunque risultato prezioso.
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Immagine da: http://www.ilcittadinoonline.it/news/145497/Sinalunga__spazzaneve_operativi__Ma_continua_a_nevicare.html

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18 risposte a La soffice emergenza

  1. mirella ha detto:

    Se procede così, questo febbraio non avrà quasi niente da invidiare al memorabile inverno 1984-85. Lo ricordo come fosse ieri: mi ero trasferita in ottobre nella estrema periferia – estrema, allora, prima che cementificassero ben più oltre – dove risiedo ancora adesso. Per decenni avevo abitato nel centro storico. I miei due figli, che non amano le periferie, mi piantarono da sola in quella che prima mi sembrò una terribile zona industrial-lombarda con la grossa ciminiera della centrale termica e i palazzoni squadrati piantati qua e là fra i prati, Poi, ad accrescere il mio spaesamento, mi ritrovai poco dopo catapultata in un sobborgo finnico-norvegese, ad arrancare con la neve a mezza gamba per prendere l’autobus, che aveva sempre i finestrini istoriati di ghiaccio. Disperata dalla nostalgia per i miei figli, ma anche per i portici e i tetti rossi che vedevo dalle mie antiche finestre, qui dove le case non hanno tetti, ma terrazzi piatti, decisi di scapparmene qualche giorno a Parigi a visitare le cattedrali gotiche dell’Ile de France Sei matta? mi dissero. Con questo freddo?
    Macché. Anche nelle cattedrali gotiche faceva meno freddo di qui e neve soltanto una spruzzatina nelle campagne attorno a Chartres.
    Tieni botta, taxidriver.

    • Franz ha detto:

      E’ bello vedere il mio racconto impreziosito da commenti ricchi di esperienza viva, sia pur nel ricordo come in questo caso.
      Credo che l’attuale sequenza di nevicate, almeno a durata, stia sbaragliando gli episodi passati concorrenti: ci avviciniamo ormai alle due settimane.
      Quanto a me, tengo botta più che dignitosamente, anche perché le condizioni di lavoro non sono troppo stressanti: un po’ di attenzione in più, ma anche molte richieste e poco traffico.
      Comunque tornerò molto presto sull’argomento, che merita di lasciare qualche altra istantanea a futura memoria.
      Un caro saluto da ‘oltre confine’ fino alla tua periferia, da qui non lontana.

  2. Terry ha detto:

    Dovrei tirarti le orecchie ehhhh!!!!! Era prevista la nevicata e copiosa anche. Punto. Allora? Vai a comprare una bella pala per la neve e vai a procurarti il sale da spargere nei punti del Comune che lo danno eh!!!!! Così la sera prima lo spargevi e all’indomani mattina spalavi quello che c’era da spalare sicuramente meno di quello che hai trovato.
    Bello però girare così quando tutto è bianco, la neve assorbe i rumori.
    evaiiiiiiiiiiiii beccati la tirata e zitto e baci eh eh eh eh eh

    • Franz ha detto:

      Che te devo di’, cara la mia Terry?
      Proprio non ci avevo minimamente pensato, dunque tirata d’orecchi meritata.
      Sono reduce ora da un’altra ‘notte bianca’, con caduta di neve impalpabile e ghiacciata, temperatura fra i meno tre e i meno quattro, e raffiche di vento.
      Comunque, a parte un po’ di concentrazione in più nella guida, riesco anch’io ad apprezzare, di questo evento interminabile, gli aspetti più fascinosi.
      Fra cui non rientra la probabile nuova spalata che mi aspetta nel prossimo pomeriggio. 😦
      Saluti e baci con gelati.

  3. giraffa ha detto:

    Caro Franz, è sempre un piacere leggere le tue parole leggère anche nei momenti di difficoltà, sembra che un velo di incanto si posi su quella rampa e sulle strade e renda comunque agevole l’incedere della cavallona. Qui sull’Isola nevica, ma dalle mie parti le temperature sono “ragionevoli” e aspettiamo ancora i fiocchi per poter fare i pupazzi di neve sulla sabbia, per ora solo un forte vento che spazza via ogni cosa e mette alla prova l’equilibrio. Per il mal di schiena ti consiglierei di fare un po’ di pilates, funziona! Un abbraccio 🙂

    • Franz ha detto:

      Carissima, in realtà, nell’episodio raccontato, ho costretto la Cavallona, solitamente rapida e caparbia, ad un’umiliante arresto, in cui tutta la sua massa muscolare è stata imprigionata da un cemento bianco. Probabilmente, al suo posto, un’alta e agile Giraffina non avrebbe avuto alcun problema. 🙂
      Quanto al mio mal di schiena, poi, una notte di riposo è stata sufficiente a guarirlo; grazie comunque per il consiglio, che spero prima o poi di poter seguire: in effetti la vicenda ha evidenziato i punti deboli del mio fisico.
      Un abbraccio a te e buone sculture pu-pazzesche sulla sabbia (…se arriva!)

  4. Luca ha detto:

    Diciamocela tutta: per ora i vertici siberiani dell’inverno 1985, quando lo spruzzo tergicristalli si ghiacciava in tempo reale e le minime nel parmense raggiunsero -18 in città e -25 sull’Appennino non corrono rischi e non ne correranno mai, visto che in questi ultimi 30 anni c’è stato un riscaldamento globale contenuto ma significativo.

    Poi, come qualunque fenomeno naturale non catastrofico, una serie di intense nevicate può essere guardata con l’occhio fantasioso del fanciullo sognatore o con l’occhio preoccupato o direttamente scocciato dell’adulto pragmatico e concreto, come il trasportatore Anteo Spaggiari che, percorrendo la Salerno-Reggio Calabria sotto una tempesta d’acqua e nevischio, mentre l’autoradio trasmetteva Vasco Rossi che gorgogliava (che è il suo modo di cantare) “Senti che fuori piove, senti che bel rumore” trovò la canzone non del tutto gradevole.

    • Franz ha detto:

      Meglio non indovinare che cosa il Signor Spaggiari esclamò come commento, espresso probabilmente in linguaggio proto-forconico.
      Wikipedia spiega le origini e l’evoluzione di quell’ormai mitizzata ondata di gelo e neve, a cui sono legati molti ricordi di chi l’ha vissuto.
      Lavoravo nel modenese, e andavo avanti e indietro in auto; ricordo, in un ritorno serale in città, l’impressione di quei monumenti bianchi parcheggiati lungo una via Dante diventata improvvisamente stretta. Non avrei detto di rivedere scene simili quest’anno.
      …E fra poco, a spalare di nuovo!

      • Milvia ha detto:

        Ciao, Franz! Ho letto con molto interesse il testo di Wikipedia che hai segnalato. In quel ormai lontano gennaio stavo viaggiando su e giù per il Messico, e mi arrivava solo qualche eco di come fosse la situazione in Italia e in particolar modo nella nostra regione. Così, ora, leggendo, ho avuto la sensazione che mi sia stato sottratto un pezzo di Storia… Beati voi che c’eravate, mi è venuto da pensare…

        Le più che allarmanti previsioni di tormente di neve, anche su Bologna, per ora non si sono avverate. Forse non dovrai spalare troppo, e la tua schiena esulterà. Quanto a me, ieri, ho…spalettato il terrazzino. Ben poca cosa, lo so. Le Bandiere della Pace e dell’Acqua bene comune le ho trovate congelate… Non voglio prendere in considerazione che il loro congelamento rappresenti un valore simbolico…
        Buon fine settimana, caro Franz. E riguardati!

      • Franz ha detto:

        Curiosa la tua forzata …carenza di memoria, e il piccolo rimpianto connesso.
        La memoria è strana, comunque, e a volte ingannevole: collegando quelle immagini al periodo lavorativo, avrei detto (come in realtà ho scritto nel post) si trattasse del 1984.

        Stanno passando le ore ma al posto delle annunciate tormente di neve per ora soffia solo un po’ di asciutto vento gelido.
        Sacrificherò il mio turno di riposo, oggi, per dare il mio contributo alla mobilità cittadina, e, sarebbe ipocrita nasconderlo, anche al bilancio personale, in tempi di così diffuse ristrettezze e recessione dilagante.

        Le tue due bandiere, sono certo, sventoleranno presto di nuovo, più vive e colorate che mai, a rivendicare con tutta la loro forza le giuste cause che rappresentano.
        Un buon fine settimana a te, …e ai teneri ospiti alati sul tuo balcone.

  5. Milvia ha detto:

    Ma caro Franz! Se tu avessi chiesto l’aiuto dei tuoi amici bolognesi saremmo corsi in massa a darti una mano, con palette, pale, palettine (pallettoni no, che ti vogliamo bene…), braccia più o meno robuste e tanta buona volontà… Va beh, capisco che non c’era il tempo, che la Cavallona scalpitava per vedere la città innevata, che chi fa da sé fa per tre, che non è detto poi che gli amici si vedono nel momento del bisogno ecc.ecc.
    Comunque, come sempre, il tuo racconto è vivace e descrive così bene la tua ciclopica impresa, che sembra anche a me di avere la schiena indolenzita e le mani congelate.

    Ma smetto di scherzare, perché vorrei sottolineare il tuo riferimento alle vittime che la tempesta metereologica ha causato. È veramente un’indecenza che siano morti dei senza tetto. In questi casi la loro protezione dovrebbe essere la prima priorità. Ma mi sto anche chiedendo cosa farei, io, se ne vedessi uno dormire sotto un portico, in questi giorni. Lo inviterei a casa mia? Non lo so… E allora il mio sdegno si tinge di ipocrisia… Come tirare il sasso e nascondere la mano. Una cosa così, insomma.

    Ciao, Franz. Domani ancora neve, forse.

    • Franz ha detto:

      Carissima, sarebbe stato proprio divertente una spalata di neve collettiva. Il problema era magari raggiungere casa mia, e sarebbe stato un po’ ridicolo vedere arrivare amici in taxi!
      Quanto al senso di colpa a cui accenni, ti invito a considerare che, con le nostre abitudini culturali collettive, l’idea di ospitare un povero in casa propria è inevitabilmente di un eroismo del tutto inconsueto.
      Sono certo però che, se ti venisse chiesto un piccolo impegno diretto, da qualche associazione di volontariato, non ti tireresti indietro.

      Un salutone in attesa del nuovo strato bianco, e …grazie per la tua condivisione virtuale del mal di schiena!

  6. duhangst ha detto:

    io sono completamente bloccato o_O

    • Franz ha detto:

      Se anche Bologna non scherza, ancora una volta alla tua regione va il primato delle nevicate.
      Ho letto che da voi sta intervenendo l’esercito; mi sembra una riconversione sacrosanta, no?
      In bocca ai lupi. 😀

  7. amanda ha detto:

    qui, per ora, mezzo fiocco, una siccità che stride con l’alluvione dello scorso anno

    • Riri52 ha detto:

      Amanda, non ti conosco, e non so dove abiti ma credimi ora, solo ora un poco ti invidio! Qui a Bologna 60 cm di neve! Per ora.
      Franz ieri spalavo la neve davanti al cancello, o meglio dentro il cancello, per poi affrontare la montagna di ghiaccio buttata dallo spazzaneve contro il passo carraio. Passavano i vicini e salutavano. Ce ne fosse stato uno che abbia detto “Vuole una mano?” Perché spalare, come hai così ben raccontato, è fatica. Io per uscire dal cancello aspetto lo scioglimento delle nevi!

      • Franz ha detto:

        L’immagine del tuo cancello ‘prima della cura’, che avevi pubblicato sul tuo blog, fa da giusta illustrazione al tuo commento.
        Quanto al nostro prossimo, tanto è propenso a chiacchiere e lamentazioni, quanto poco a spendersi un po’ per puro spirito solidale, a quanto sembra… Guai di un’aberrante cultura individualistica.

        Intanto, comunque, buon letargo (magari allietato da sorprendenti fioriture!).

    • Franz ha detto:

      Per Amanda: Strano come possa cambiare il clima, e in questo caso il paesaggio, fra due città non lontane, come Bologna e Padova.
      Anche se la tua zona fa eccezione, almeno siccità e inquinamento sono stati portati via dalla neve in gran parte dell’Italia.

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