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Il Cosmoprof doveva ancora avere inizio, ma probabilmente aveva già cominciato a richiamare in città un po’ di gente dal mondo: fatto sta che intorno alle undici e mezza di un normale giovedì sera di marzo avevo già raggiunto l’incasso giornaliero che mi ero prefissato. Da quel momento, tutto guadagno in più, il che non guasta mai.
Ancora una chiamata: Royal Hotel Carlton, uno dei più lussuosi della città.
Lo raggiungo in pochi minuti, e dalla porta scorrevole vedo uscire un tipo nero di pelle, alto, dinoccolato, un ballerino di danze caraibiche, si direbbe.
Sorriso e atteggiamento da compagnone, ma tangibilmente untuoso, fin dalle prime battute, cioè dall’indicazione della destinazione, l’hotel Amatì, a Zola Predosa.
Con una voce che tradisce, negli accenti fortemente gutturali e nasali, le origini più o meno lontane dal continente africano, mi spiega, in un inglese difficile da afferrare, che sta raggiungendo degli amici perchè è rimasto solo.
Cerco, come posso, di replicare al suo tono amichevole e festoso, con qualche frase di circostanza che mi esce, me ne accorgo, in un inglese strampalato.
Appena la breve conversazione languisce, aumento il volume della radio, su un motivo di bossa-nova piuttosto popolare.
E’ quasi un potente urlo di guerra, la sua reazione: “Ah, good music!!!” e poi aggiunge che è la prima volta che trova un tassista che ama la musica, o qualche corbelleria del genere.
Le sue frasi e i suoi atteggiamenti esagerati, teatrali, e la fatica di comprendere quello che dice, e magari di ribattere, mi danno fastidio, molto fastidio. Accelero, e per fortuna lui tace, ma l’eventualità che ricominci mi tiene sul chi vive.
Imbocco l’asse attrezzato verso Casalecchio e Zola Predosa, a quest’ora molto libero dal traffico, e posso scatenare tutti i cavalli della Cavallona: novanta, cento, poi centoventi, centotrentacinque all’ora, tanto so bene dov’è situato l’unico autovelox.
Mi chiede che ore sono, e commenta fra sè la mia risposta, poi si rimette zitto.
Salvo riprendere le trasmissioni dopo un po’, ma io non capisco una parola, e sono costretto sulla difensiva dell’ “I don’t understand” che sortisce alla fine l’effetto di smorzare la facondia di quell’alto-parlante.
Poi, d’un tratto, la musica ad alto volume non può evitare che io percepisca un segnale sonoro dal cruscotto.
La semplice percezione, appena avvertita, ma brutta, negativa, trova conferma nell’occhiata che istintivamente butto sul piccolo visore: ‘Stop! Surriscaldamento motore – Consultare il manuale’.
Il funzionamento ottimale della propria vettura è come la salute: ci si ricorda quanto sia importante solo quando compaiono i sintomi della malattia. Ed è un brutto déjà vu, che mi riporta alla spaventosa epopea del sacchetto di plastica assassino. Un misto di smarrimento, perdita di sicurezza in quell’estensione del proprio fisico che è la propria compagna di viaggio quotidiana, e di coscienza di nuove grane: una nuova levataccia, domattina, a trovare il signor Marino nella sua officina, se tutto va bene e la Cavalla mi riporta a casa. O almeno mi fa terminare questo tragitto, che dover annunciare il guasto e una fine-corsa prematura e forzata a questo tipo fastidioso è l’ultima cosa che desidero.
Ho cambiato improvvisamente stile di guida, cercando di non tradire l’apprensione: marce alte, velocità bassa, e spento il climatizzatore. Il segnale di allarme a forma di termometro si alterna sul visore, ogni due o tre secondi, alla normale indicazione digitale dell’orario; ma almeno la parola più temibile, ‘Stop’, sembra non comparire più. E dal mio ospite non giungono ulteriori segnali.
Tranne, ormai in vista dell’albergo, uno strano racconto, in quell’inglese gutturale, che mi sembra di interpretare. Mi dice, se capisco bene, che lui conosce l’importo di quel tragitto, e che una volta un tassista ha allungato la strada e alla fine gli ha chiesto molto di più.
Rispondo ancora una volta qualche minchiata, mentre affronto la ripida salita dell’ultimo cavalcavia con ulteriore apprensione.
La Cavalla non mi tradisce e mi porta senza problemi davanti all’entrata dell’albergo.
Il Caraibico estrae e mi porge una carta di credito un po’ consunta, poi, a sorpresa, senza aspettare la mia esecuzione del pagamento, esce e si avvia verso la reception.
Striscio la schedina di plastica nella fessura del video-terminale. Due o tre secondi, poi la risposta: ‘Operazione non consentita’. Riprovo, stesso esito. Sposto un po’ indietro la vettura, non sia mai che da quella posizione ci siano problemi di trasmissione. Niente da fare: ‘Operazione non consentita’.
Pur intuendo quanto la cosa possa essere imbarazzante per lui, esco e gli vado a riferire il problema mentre sta già conversando con il personale dietro il bancone. Ritira la scheda che gli restituisco, poi, magicamente, ne estrae un’altra dal portafogli. Quella buona. Che infatti riesce a superare al primo colpo la mia nuova verifica, mentre lui ha ripreso a conversare con i suoi amici portieri di notte. Gliela riporto, insieme allo scontrino da firmare.
Quando lo rassicuro che questa funziona, non riesce ad evitare la classica ‘excusatio non petita’: mi dice che in un altro albergo aveva utilizzato l’altra tranquillamente.
Finalmente libero, prima di riaccendere il motore consulto il manuale della Volkswagen. La struttura degli indici è pratica, ma poi le spiegazioni sui controlli da fare nel mio caso si rivelano troppo complicate da affrontare, di notte, davanti all’entrata di un grande albergo di Zola Predosa.
Decido di ripartire, di ripercorrere l’asse attrezzato, poi tutta la tangenziale, dall’uscita uno di Casalecchio alla tredici di San Lazzaro, per tornare a casa.
Il termometro esterno segna otto gradi: l’aria fresca, unita alla mia guida a basso regime, sembra agevolare il rientro, e non importa se, con il climatizzatore spento, anche l’abitacolo si sta rinfrescando.
Ed eccomi finalmente a casa; la solita manovra per entrare in garage poi spengo il motore con un bel sospirone di sollievo.
Apro il cofano per verificare, con l’aiuto della funzione ‘torcia’ del telefonino, il livello del liquido di raffreddamento. E’ basso, molto basso, inequivocabilmente; meglio così, un rabbocco domattina dal signor Marino dovrebbe bastare a chiudere anche questa piccola disavventura.
Rientro in casa e punto la sveglia alle sette e mezza.
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Immagine da: http://mmedia.kataweb.it/foto-utente/1459916/cristiana-rossi-e-juan-saturria-in-emotions-a-la-terrazza-di-genova-sturla
Però credo che sia tutto sommato sempre un’esperienza interessante anche incontrare persone che non ci piacciono. Magari non tutti i giorni, eh?!
Ogni attività alterna aspetti piacevoli e sgradevoli, e il bilancio della mia è complessivamente molto positivo.
Con tutta la buona volontà e predisposizione positiva, faccio comunque fatica a trovare motivi di interesse nei compagni di viaggio …ingombranti.
Ma forse, a posteriori, hai ragione tu: è tutta esperienza di ‘varia umanità’.
Per non parlare del suo “lapsus digiti” che ha trasformato “cronache” in “croniche”, che meriterebbe approfondimenti, ma non ora non qui (in questa pingue immane frana)..
(Penso che non ti sfugga il titolo di un libro del pluri-citato Francesco Guccini, con la stessa identica ‘variante’…)
Ricordo molto bene quel libro e quel titolo, che poteva generare ulteriori confusioni fra una località dell’alto pistoiese e una allegra vecchietta dispensatrice di doni.
Già, un po’ ostico da pronunciare correttamente. Ma godibile.
Citazioni musicali… da Guccini ai CSI…
Preparatissima!
Beato te che sai interpretare tutti i disegnini che appaiono sul cruscotto! Ce n’è uno che sembra un rubinetto che gocciola, ma non è la riserva, chissà a cosa serve! Ciao Riri52
Mi fa sorridere, il rubinetto che gocciola: si direbbe che la tua auto abbia bisogno di un idraulico…
Nella mia fattispecie, il messaggio iniziale di allarme era in italiano (per giunta senza errori di traduzione dal tedesco), ed intimava di fermarsi. Comunque tutto è bene ciò che finisce bene.
Ciao!
Vedo che ancora una volta ci sono sintonie e sincronicità con Milvia, specie dopo un suo possibile pellegrinaggio in Vicolo della Luce, a metà strada fra il medianico e l’inquietante.
Il ritorno al registro autobiografico, assente (per probabili cause di forza maggiore e differenti priorità) da ormai troppi posts, ci restituisce la tua gradevolissima dimensione di Hemingway delle Due Torri in questo sapido scorcio di vita vissuta par strèda (l’equivalente emiliano di On the road).
Come non ricordare le sapienti parole del tuo cantautore preferito nel presentare la versione live di Statale 17? “Un conto è dire: una sera siamo partiti John Dean e io sulla vecchia Pontiac del babbo di John e abbiamo fatto tutta una tirata da Tucson a Omaha e un altro è dire: una sera siamo partiti sulla vecchia 1100 di Giuseppe e abbiamo fatto tutta una tirata da Piumazzo a Sant’Anna Pelago”.
Ma nei tuoi racconti le differenze fra Bologna e San Francisco tendono a sfumare nell’ondivago arcipelago della scrittura dove i luoghi si costruiscono e si smontano seguendo il ritmo del racconto.
E veramente, qui basterebbe dire Palo Alto per Zola Predosa, Santa Clara per Casalecchio di Reno e magari Walnut Creek per San Lazzaro di Savena e non credo che si noterebbe la differenza.
Usi ancora parole molto generose nei miei confronti, e mi piace credere ai tuoi arditissimi accostamenti, fra la Via Emilia e l’Ovest.
Poi, il potenziale titolo “Par strèda” è un piccolo poema per conto suo…
Mi mancavano, sai, le cronichette notturne della tua vita di taxi driver…
E, nella mia lettura iniziale, avevo anche pensato che ti accingessi a raccontataci una di quelle tue belle favolette surreal-allegoriche, che ho tanto apprezzato in passato. Ma non sono comunque rimasta delusa, devo dire, perché anche questa volta la tua pagina di diario è scritta in maniera efficace, tanto da poter vedere il tuo sgradevole o sgradito passeggero come se anch’io lo avessi qui accanto. Sono rimasta però sorpresa, perché faccio fatica a immaginarti mentre lanci a elevata (e illegale, credo) velocità la tua fedele Cavallona. Che, per fortuna, come avrebbe potuto fare un amico seduto accanto a te, ha trovato il modo di dirti: rallenta, Franz!
Brava Cavallona, che non si lascia irritare da passeggeri poco simpatici. E che, come scrive Amanda, è per la legalità.
Buon lunedì, Franz! E buoni incontri.
Aggiungo che, avendo Cosmoprof lasciato spazio alla Fiera del Libro dei Ragazzi, buoni, gradevoli incontri penso saranno assicurati.
Mi fa piacere che tu abbia gradito il mio ritorno al racconto, sia pure non in chiave fantastica.
Come ho già risposto ad Amanda, l’acciacco equino non è da attribuire a una voglia di rispetto dei limiti di velocità. Di notte, lungo le strade semideserte della periferia o della campagna, quasi tutti i limiti diventano degli autentici capestri per l’attività di un tassista. Penso che il senso della legalità sia molto meglio espresso dal modo in cui ci si pone nei confronti del traffico cittadino, con esemplare spirito di collettività e non di competizione, agevolando i pedoni che attraversano correttamente sulle strisce e evitando di incoraggiare quelli che tendono a vagare pericolosamente in mezzo alla strada, dando correttamente la precedenza ai ciclisti quando è corretto, e così via.
La Fiera del Libro per ragazzi è probabilmente, in assoluto, quella meglio frequentata. I clienti che salgono in questi giorni (…e sono tanti!) sono a livelli di educazione e sensibilità da primato.
Ciao, Milvia carissima, una buona giornata a te.
hai una macchina legalitaria, lei non pensa all’autovelox, vuole farti rispettare i limiti comunque 😉
Se fosse così, avrebbe già smesso di cavalcare da molto tempo! 🙂
In realtà è mia complice, e anzi è proprio lei che mi incentiva a galoppare, quando si può…