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Avevo caricato le due batterie dalla macchinetta fotografica, e puntato la sveglia; andare a correre la ‘Strabologna’ presentava diversi vantaggi.
Innanzi tutto sembrava una buona contromisura, rispetto alle previsioni di un’altra mattinata piovosa, effettuare il mio consueto allenamento sull’asfalto e sotto i portici della città, e in compagnia di una folla di altre persone.
E il reportage fotografico sarebbe servito poi a compensare quella strisciante afasia che mi rende difficile l’aggiornamento settimanale del blog, in una situazione politica ogni giorno più deprimente e senza incredibili storie personali da raccontare, in questo aprile generoso di acqua piovana e di cieli grigi.
Certo non mi era piaciuto, nella notte di ieri, non vedere affissi agli angoli delle strade le consuete segnalazioni del percorso; le metteranno domattina prima della manifestazione, avevo pensato, forse per evitare che si bagnino troppo.
Sveglia abbastanza comoda; a differenza di tutte le altre corse di ogni domenica, che cominciano alle nove, la partenza era prevista alle dieci un quarto, per agevolare la massima partecipazione popolare, come l’anno scorso.
Poche gocce cadono malinconicamente dal cielo quando apro le persiane; nel prepararmi riestraggo dall’armadio i panta-calza che avevo già messo a riposo, e un berretto anti-pioggia.
Alle nove e un quarto sono già (al volante) fuori dalla tangenziale, in perfetta tabella di marcia, e mi dirigo verso il centro.
Capisco ben presto che qualcosa non quadra, man mano che mi avvicino al centro storico, nel non vedere nessuno in tenuta podistica. Ma non demordo: raggiungo il posteggio dei taxi di piazza Cavour e parcheggio in fondo. Due colleghi stazionano in un’attesa che, a quest’ora della domenica, immagino eterna, in una città che, nel suo aspetto diurno, mi appare in una strana e piacevole veste, quieta e silenziosa.
Sguscio via temendo un po’ il ridicolo, con la mia tenuta sportiva in un giorno che, già mi è chiaro, di sportivo non ha niente. E raggiungere Piazza Maggiore dove non v’è il minimo segno dell’evento è ormai solo un pro-forma.
Tornato a casa, la prima cosa che faccio è controllare il calendario delle corse settimanali. No, non mi ero sbagliato; semplicemente non avevo tenuto abbastanza presente il carattere di questa particolare manifestazione, la cui maggior parte dei partecipanti, ben poco sportivamente, è attratta solo da giornate stabili e soleggiate. Cosa che invece la macchina organizzativa sa bene, tanto da non aver ritenuto necessario diffondere ampiamente l’avviso della soppressione.
Depositata la fotocamera, ripiego sul consueto lungo giro di allenamento nei dintorni.
L’orario è comunque un po’ anticipato rispetto alle mie abitudini, e la giornata domenicale rende tutto, anche qui, più morbido, e placido, quasi distratto.
Scende a tratti una pioggerella sottile e innocua; nel tratto di stradina sterrata si sono formate delle grandi pozzanghere, che mi obbligano a procedere a zig-zag. Fioriture gialle vive e squillanti ai bordi della strada.
Non incontro nessuno, ma all’altezza dei campi da golf scorgo un gruppetto di uomini e donne con tutta la relativa attrezzatura, che si mostrano dunque inaspettatamente più sportivi rispetto ai ‘podisti per caso’ della Strabologna, rimasti tutti a casa.
Mi sembra che l’aria pregna di umidità renda più difficile la respirazione e rallenti il mio passo, ma ancora una volta constaterò quanto ingannevole siano le impressioni di velocità (sia nel bene che nel male); infatti, giunto a casa, blocco il cronometro a meno di un’ora e dieci, come di rado mi capita, con grande conforto.
Doccia, shampoo, una seconda colazione a base di tè e biscotti e …vai di pennichella!
E’ un sonno interrotto a più riprese, condito da sogni strani, e non è profondo come quello del mattino, ma alla fine mi sento comunque rilassato, soprattutto se stiro piacevolissimamente gambe e braccia, che, loro sì, sono fedeli testimoni dell’intensità dell’allenamento.
La pioggia continua a dominare la scena; l’unica cosa che varia è la sua intensità: i rovesci di un temporale, e i tuoni, hanno causato una di quelle interruzioni del sonno. Mi sono chiesto se fosse il caso di fare un giro di chiusura persiane nelle stanze, poi ho rinunciato a cuor leggero.
E continua, la pioggia, a dominare gran parte dei discorsi con i passeggeri della Cavallona.
Un arcobaleno imponente e completo, come non vedevo da tempo, si è improvvisamente manifestato prima che scendesse la sera. Le due studentesse che stavo trasportando però non vi hanno mostrato particolare interesse, né quando gliel’ho indicato con sorpresa, né quando con stupore, fermo a un semaforo, mi sono messo a osservarlo, roteando il collo da una parte all’altra, mentre vedevo un paio di altre vetture addirittura arrestarsi di lato, per permettere ai loro equipaggi la contemplazione divertita e ammirata.
Un arcobaleno ingannevole, comunque, che poi ha lasciato il posto a nuovi rovesci.
Questa provvidenziale ma indigesta lunga innaffiata, delle campagne e delle città, sembra debba continuare ancora per diversi giorni.
E’ una medicina amara, soporifera, deprimente, ma renderà tutto più splendente e lussureggiante nelle prime giornate limpide di sole, che non sono mai mancate e non mancheranno certo quest’anno.
Sarà bello viverle e, quelle sì, raccontarle.
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Immagine da: http://www.flickr.com/groups/615978@N22/discuss/72157604012739310/
Meraviglioso arcobaleno…
Ah, dimenticavo… un saluto alla “Cavallona”!!!
Baci
Giovanna
Quello di domenica scorsa era davvero uno dei più meravigliosi che abbia mai ammirato!
La Cavallona ringrazia e nitrisce. Baci.
Come spesso nel tuo variopinto articolato consequenziale blog, avviene un (qui solo implicito ma tangibile) confronto fra le meraviglie ammannite dalla Natura e i sesquipedali pasticci creati dalla tragicomica specie dominante, l’aborto evoluzionistico autodefinitosi Homo Sapiens (e se avesse vinto la competizione per il predominio l’Uomo di Neanderthal che, quando i Sapientes erano superiori nelle arti belliche, seppellivano i morti ed avevano un senso estetico e un pensiero simbolico estranei ai loro sterminatori, chissà come sarebbe andata a finire… magari ancora peggio).
Nel mio piccolo, io ricordo una splendida Stramilano del 2004 o 2005 sotto una sottile deliziosa pioggerellina allietata da una partecipazione plenaria e coloratissima (ognuno con i suoi mezzi, magari arrivando a pezzi, a palco smontato e con i polpacci come due pezzi di ghisa). Ma si vede che a Milano due gocce di pioggia non fanno spavento mentre i paciosi bolognesi si smontano più facilmente.
Che l’evento sia stato cancellato tout court, ex abrupto e senza plausibili ragioni lascia interdetti e addolorati. Un arrivo sotto un avvolgente caloroso arcobaleno avrebbe ripagato dell’umidità durante la corsa, ma così non è stato.
Ringraziandoti per il tuo intervento, capace di impreziosire anche i post più colloquiali e con poche pretese, posso lenire il tuo dolore e la tua perplessità (la tua “interdizione” suonava male!): la mia cara e antica amica Cristina, che non commenta mai ma legge sempre, si è premurata subito di farmi sapere che la corsa è stata solo rinviata di una settimana. Le previsioni al momento sono discrete, quindi non dovrebbe esserci il rischio di pioggia, ma nemmeno la suggestiva possibilità di stra-arcobaleni.
Sarebbe bello, comunque, poter ricordare quello di domenica (chi l’ha visto e chi come te l’ha solo immaginato) come il segno di un inaspettato, insperato, insondabile e improbabile cambiamento.
L’interdizione suonerebbe benissimo perchè mi ricorderebbe i miei ormai quarantennali trascorsi calcistici quando, imberbe adolescente dal piede a banana ma dalle inesauste risorse podistiche (nonchè dal raffinato senso tattico, almeno secondo me) cancellavo dalla competizione il rifinitore avversario, compreso il beffardo rituale di mostrargli il pallone a fine partita perchè (partita durante, ablativo assoluto) ne aveva solo supposto l’esistenza.
Intanto qui a Parma (e, suppongo, nel resto della Val Padana di cui Bologna secondo alcuni non fa parte, e secondo altri ne costituisce una anomala propaggine meridionale) continua il minidiluvio universale: i giorni piovosi non sono quaranta e non sono continui, sono solo venti e interrotti da 3 (tre) brevi schiarite di poche ore. Ma abbastanza da indurre alla meteoropatia anche i più tetragoni.
Le rezdore di Via Saffi (dove secondo il mio amico Claudio gravita il fulcro della parmigianità, mentre secondo me il fulcro è Piazzale Picelli, ma il parmigiano del sasso è lui e quindi avrà senz’altro ragione) dissertano su quando è stata l’ultima volta che abbiamo avuto un aprile così piovoso: per ora è in testa la signora Argia Spaggiari che, risalendo ai ricordi della nonna della nonna della nonna della nonna cita un aprile piovosissimo che aveva fatto esclamare “Parbleu” a Maria Luigia (ma suo marito sostiene che l’espressione sia stata un’altra).
Quando riesploderà tumultuosa, impetuosa ed imperiale la Primavera, arcobaleni multipli indicheranno la via d’uscita dalla crisi, e forse grillianamente anche dall’euro, per il Paese e per ogni suo singolo abitante quorum ego.
Ho detto.
Caro ex-adolescente bananipodo, “più ci farà aspettare più sarà bello uscire“: il verso del cantautore e professore milanese si adatta a molte occasioni della vita, magari un po’ meno cupe di quella originale, e dunque anche all’attesa per “questo tempo / che non si rimette ancora“, per citare un altro a noi più familiare cantautore e professore.
Senza strologare i ricordi ufficiali delle rezdore, da parte mia ricordo una primavera tanto piovosa che la nostra amica Terry, allora Miss Palestra, si era convinta che l’estate quell’anno non sarebbe venuta. Ma parliamo di maggio, forse giugno di circa un lustro fa.
I meteorologi, che a sentirli sembrano gli unici non meteoropatici, continuano a lamentare la siccità accumulata nei mesi scorsi, e non fugata da questo grigio e piovoso aprile, e a paventare come una disgrazia incombente nuovi periodi di alta pressione e sole stabile, togliendone a noi poveri mortali anche la relativa speranza.
Mi meraviglio sempre quando mi capita di essere con persone che, davanti a uno spettacolo che la natura ci sta offrendo in quel momento, rimangono indifferenti. Sarà perché io ne rimango incantata ogni volta, ogni volta come se fosse la prima, e l’arcobaleno ha forse il primo posto, fra i miei incanti e ogni volta che ne ho la possibilità, lo fotografo, come se avessi paura che non si possa ripetere mai più, quel fenomeno. E quindi proprio non le capisco, quelle persone. Forse, il incanto lo riservano a uno spettacolo in tv…
Ricordo una sera in cui, con alcuni amici, ritornavo da una cena poco fuori Bologna. Improvvisamente sul ciglio della strada sono apparsi due daini: ecco, per me è stata una cosa…una cosa bellissima! Loro, i miei amici, sentendo i miei oh, che meraviglia, hanno detto qualcosa tipo: e che sarà mai… capirai che roba… Mi sono sentita mortificata. Per loro, voglio dire.
Ciao, Franz! Mille e mille arcobaleni, sempre.
E’ un bene fra i più preziosi conservare la capacità di meraviglia tipica dei bambini.
E al diavolo chi disprezza e irride tale capacità; forse non merita neanche la tua altruistica mortificazione, ma solo un sordo disinteresse.
Ciao, cara Milvia! Un milione di arcobaleni sulla tua vita e su quella di tutti i cittadini del mondo.
L’arcobaleno! L’ho iniziato a vedere in tangenziale, mentre rientravo a casa. Poi, dalla finestra di casa, uno splendore luminoso in cui si vedevano nitidamente tutti i colori. Dietro, pallido ma visibile; un secondo arco, quasi un riflesso del primo brillare. Un incanto che si rinnova ogni volta che si ripresenta agli occhi di chi sa vedere.
Carissima Tiz, innanzi tutto benvenuta in questo angolo di mondo, anche e soprattutto per la ‘capacità di vedere’ che dimostri di avere e di apprezzare.
E’ vero, c’era anche un secondo arco molto sfumato, quasi a indicare, nella ridondanza, che la bellezza espressa del primo era incontenibile…
Vorrei che spuntasse un arcobaleno (e non menzognero) di pace e nuova speranza sul nostro Paese e sul mondo. Sarebbe bello, no?
Quando gente più giovane di te si rivela già assuefatta a piccole meraviglie della vita, qualcosa s’è inevitabilmente rotto nella staffetta generazionale…
Proprio vero: difficile pensare che sia un accadimento slegato da questi nostri tempi, per tanti aspetti molto oscuri.
Per controbilanciarlo, però, basta pensare a quella olgettina che veniva spinta dal padre a primeggiare sulle altri in casa dell’ex premier…
Sbaglio o stai coltivando una pericolosa inclinazione verso il genere horror? 🙂
Mi adeguo alla massa! 😉
Anzi, mi stupisce che ci sia ancora qualcuno (ovvero tu) che sia riuscito a conservare il giusto equilibrio morale/mentale che gli permette di bollare certi accadimenti quotidiani-normali-comunemente accettati come ‘horror’…
Dai che non sono l’unico; anche dalle tue parti c’è ancora qualcuno lucido di mente!
Eh ma siamo più pochi-pochi… speriamo che almeno ci mettano in una riserva del WWF 😉
Il rischio è che mettano noi tutti in una riserva indiana, a passare il resto dei nostri giorni con una bottiglia in mano…
Serviva un po’ di acqua alle campagne almeno qui da me.
L’acqua è l’elemento della vita, non dobbiamo dimenticarcene mai!