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Abbandono considerazioni e dibattiti in tema di società e fantapolitica, per tornare alla privata vicenda, anzi posso ben dire alla telenovela, del tamponamento e del testimone reticente.
Eravamo rimasti alla sua telefonata in Co.Ta.Bo., che riaccendeva di colpo la speranza (chi ha seguito le puntate precedenti ricorderà che, a fronte della sua testimonianza scritta in mio favore, da mesi non eravamo più riusciti a ottenere la fotocopia di un suo documento indispensabile a validarla).
A Barbara aveva dunque lasciato detto di farsi richiamare il martedì successivo, all’indomani del suo ritorno dal mare. La brava impiegata aveva aggiunto, altro indizio incoraggiante, di averlo sentito molto dispiaciuto di aver causato il mancato indennizzo totale (mille euro su duemila) e mi aveva avvertito di cercare di farle avere il documento entro la fine di quella settimana, perché poi sarebbe andata in ferie lei.
Cinque giorni a disposizione, siamo abbastanza larghi.
Martedì, dunque, al mio risveglio torno alla carica.
“Signor N., sono il tassista del tamponamento…”
“Buongiorno,” (la voce è forte e calda) “sono in partenza da Bellaria, mi richiami verso sera così ci mettiamo d’accordo!”
Intorno alle sei riprovo.
C’è un gran rumore di fondo, mi dice che i treni sono tutti in ritardo, e che mi richiamerà lui se torna in tempo, altrimenti ci sentiamo domani.
“In effetti ho sentito che ci sono stati degli allagamenti, con questi temporali…” gli rispondo affabilmente.
Le ore, a cavallo della Cavallona, passano in fretta, e viene notte, un’altra notte; il telefono non ha suonato.
Riprovo l’indomani, mercoledì: “Signor N., buongiorno, è riuscito a tornare?”
“Sì sì, ce l’ho fatta.”
“Allora mi dica quando posso passare per quel documento.”
“Ci penso io, in giornata devo andare proprio in Co.Ta.Bo.”
Avverto Barbara.
Poi, alle cinque e mezza, prima che lasci l’ufficio, la richiamo: “Allora, si è fatto vivo Fantomas?”
“No, non è venuto nessuno” mi risponde desolata.
“Maledizione. Ci sentiamo domattina, e se non è arrivato niente torno alla carica.
Giovedì mattina mi alzo presto, e alle otto e mezzo richiamo Barbara; sulla sua scrivania non ha trovato niente.
“Signor N., sono il tassista.”
“Ah buongiorno, ho dato incarico a un mio collega che deve fare delle consegne da quelle parti.” Il tono, come sempre, è forte e rassicurante.
“Mi raccomando, perché la settimana prossima l’impiegata va in ferie.”
“Hai fatto male a dirglielo,” mi fa Barbara verso sera, nel comunicarmi ancora una volta che non si è visto nessuno “così hai fatto il suo gioco. Deve sapere che se non ci sono io c’è qualcun altro.”
“Facevo per fargli fretta, quando lo sento sembra sempre sincero.”
Ed è proprio così, l’intuizione di potermi fidare, dopo che si era rifatto vivo lui, sembrava questa volta attendibile, ma questo individuo ha un comportamento spiazzante. Uno che si offre generosamente come testimone, senza che nessuno gliel’abbia chiesto, poi fa di tutto per invalidare la sua testimonianza, deve avere qualcosa di patologico. Giungo a sospettare un caso di schizofrenia.
E’ arrivato dunque il venerdì mattina. Conoscendo le strategie dell’avversario, che quando se la vede brutta non risponde al telefono, ricorro al trucco di chiamarlo dal mio telefono fisso.
“Pronto?”
Silenzio da parte sua.
Silenzio da parte mia.
“Pronto!” sfuggente e seccato.
“Buongiorno sono il tassista.”
“Ah ho capito, io.” Ecco che ho fatto venir fuori la sua vera natura.
“Guardi che non è arrivato niente, in Co.Ta.Bo.”
“Ah. Adesso lo chiamo, il mio collega, e mi incazzo.”
“Facciamo una cosa, se mi dice dove si trova, la raggiungo in mezz’ora.”
“No, non c’è bisogno.” Non sono capace di insistere, contrariamente alle combattive intenzioni maturate nella notte.
Prima della sua pausa-pranzo richiamo Barbara. Solito tono desolato, solito niente di nuovo.
Desolato a mia volta: “Okay, adesso faccio l’ultimo tentativo, ciao.”
Duante il pomeriggio chiamo più volte Fantomas, che però si chiude nella sua vecchia e nota strategia di non rispondere.
Cinque giorni sembravano tanti, sono passati tutti. Rabbia, amarezza, senso di ingiustizia; decido che è meglio che mi rilassi, che prenda tempo anch’io.
Ma non posso fare a meno di pensarci, durante il fine settimana. Mi viene in mente di interpellare un avvocato, quella signora che aveva difeso gli interessi del condominio nella causa contro un condòmino moroso, e che mi aveva fatto un’ottima impressione. Potrei scriverle, cercare un suo parere, ventilare una collaborazione, controllare se è proprio vero che quella testimonianza scritta e firmata non ha valore, se non accompagnata da un documento, cosa che mi sembra assurda, un’escamotage dell’agenzia assicurativa.
Ma riesco a controllarmi e a non fare nuovi passi impulsivi.
Lunedì però ho un impulso che non posso fare a meno di assecondare.
Prendo il telefono mobile e digito un sms: “Signor N., se non se la sente più di testimoniare per me, non sarebbe meglio dirlo?”
Non mi arriva risposta, me ne sarei sorpreso, ma almeno mi son concesso una piccola rivendicazione di dignità.
Le ore di lavoro, come ho già raccontato, da qualche tempo sono diventate tante per far fronte a tasse e spese straordinarie: le affronto con energia e il senso di una positiva ed elettrizzante battaglia quotidiana, e con il vantaggio di allentare la presa da questa assurda vicenda.
Poi, martedì scorso, ho un nuovo impulso, quello di tornare alla carica. Non si sa mai, non ho niente da perdere, e non posso certo vergognarmi per l’insistenza, in questo caso.
Non me l’aspettavo, risponde.
“Buongiorno” mi fa “ho letto sa, il suo messaggio.”
“Ah. Allora mi dica quando possiamo incontrarci.”
“Guardi, sono incasinato, è un momento brutto, ho la Finanza qui in casa. Mi chiami domani, a quest’ora, e poi, se può passare al mio indirizzo le do il documento.” La voce è contrita, quasi umile.
“Va bene grazie.”
Sono le due del pomeriggio, quando l’indomani richiamo.
“Avevamo detto alle tre!” mi fa.
“Mi dica lei quando posso raggiungerla.”
“Dunque, ho appuntamento dall’avvocato in centro alle tre e un quarto. Ci vediamo alle tre. E’ in galleria Marconi, 1, cos’è, lì all’angolo con via Ugo Bassi?”
“Mah, veramente non lo so, comunque mi faccio trovare lì all’angolo.”
Cerco di arrivare all’appuntamento per tempo, ma il tragitto dalla periferia di San Lazzaro al centro di Bologna è una corsa a ostacoli, rappresentati da code ai semafori, tutti sempre inesorabilmente rossi.
Il posteggio dei taxi in piazza Malpighi è grande, non ho problema a parcheggiarvi la Cavalla in fondo, quando le tre sono passate già da due minuti.
Scendo al volo e, correndo, attraverso in diagonale il grande incrocio. All’angolo fra via Marconi e via Ugo Bassi non c’è nessuno ad aspettarmi. Accidenti ho lasciato il telefonino in macchina. Nuovo complesso doppio attraversamento, sempre di corsa per non farmi travolgere dagli autobus, e sono nuovamente sul posto.
Mi sporgo dentro un bar: “Scusi dove rimane la Galleria Marconi?”
“Sempre avanti, più giù.”
Attendo. Ci saremo capiti?
Alle tre e dieci lo chiamo.
“Sì, sono sull’autobus, sto arrivando, sono adesso in Piazza Minghetti.”
Sotto l’alto portico percorso da gente più o meno indaffarata, mi metto esattamente al vertice dell’angolo, per scorgere chi arriva da via Ugo Bassi.
Lo riconoscerò? Accidenti a non essere fisionomista. Ecco uno dal passo deciso, che si avvicina con qualcosa in mano. Ma tira dritto senza guardarmi.
Ci saremo capiti? Non è che magari si fa indicare dall’autista di un autobus dov’è la galleria Marconi e non passa di qua?
I minuti scorrono lentissimi, ma resisto alla tentazione di chiamarlo di nuovo.
Alle tre e venti compare, lo riconosco, dal passo e dalla faccia. E’ vestito bene. Mi vede e mi fa un cenno di sorriso.
“Buongiorno” e mi allunga subito una busta bianca, chiusa, senza scritte sulla facciata.
“Buongiorno, grazie. Ho chiesto, sa, dov’è la Galleria Marconi. Mi han detto che è più avanti.”
“E’ molto lontano?”
“Mah, penso di no saranno due o trecento metri.”
“Bene, la saluto” e mi allunga la mano.
Ce la stringiamo entrambi con un vigore che mi lascerà un ricordo particolare, di reciproca, liberatoria franchezza.
Mi fa il segno del telefono, nell’allontanarsi.
“Le faccio sapere gli sviluppi, arrivederla!”
La busta autoadesiva si apre abbastanza agevolmente. La fotocopia è chiara e correttamente effettuata su entrambe le facciate del documento. Alla voce: professione, leggo con curiosità un mestiere non molto diverso dal mio.
Ora bisogna fare una ulteriore fotocopia, per me, e andare a lasciare questa in Co.Ta.Bo., sulla scrivania di Barbara.
Prima però, con il trofeo fra le mani, invio un sms a due amiche che in questa lunga storia hanno fatto il tifo per me, Cristina e Milvia. In fondo la gioia non è tale se non è condivisa.
In segreteria chiedo quando torna la Barbara.
“Dovrebbe tornare il 18, martedì.”
“Devo lasciarle una busta, mi dai un foglio per favore, che le scrivo due righe?”
Prendo la penna e scrivo: “12 settembre. VITTORIA! Non ci speravo più…”, la firmo, la infilo nella busta, che intesto “Per Barbara”, chiudo e poi lascio sulla sua scrivania.
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Dopo pochi minuti riaccendo il motore della docile Cavallona.
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Immagine da: http://inesattezze.blogspot.it/2011/02/fantomas-il-genio-del-male-marcel.html
Sono felice per la fine positiva di questa storia.
Grazie, caro Du, anche se in realtà ora si apre il capitolo assicurazione…
leggo solo ora e sono veramente contento per il tuo risarcimento. non aggiungo altro ai complimenti sulla narrazione. un abbraccione
Carissimo, che bella sorpresa trovarti qui!
Quanto al risarcimento, …è una parola grossa 🙂 ; comunque almeno la situazione si è sbloccata.
Un caro abbraccio.
Con il mio abituale gusto per gli accostamenti arditi (una qualche volta metterò il tabasco sul gelato) percepisco in questo tuo nuovo parto una epocale commistione fra il solito Hemingway, Mickey Spillane e Franz Kafka.
Qui c’è uno spaccato magistrale dei rapporti sociali in una civiltà che non promuove la lealtà e costringe, per godere dei propri diritti, a farsi un posteriore come la campana di Don Camillo e Peppone; e della correlativa tendenza, propria di molti, a frammentare la propria personalità rendendosi, a volte in modo solamente colposo e non esplicitamente doloso, inaffidabili, attendibili e un filino stronzi quasi come se il XXI secolo lo pretendesse di default.
Come sempre il tempo è un po’ tanto tiranno e devo limitarmi a poche note sparse (io purtroppo raggiungo la sintesi sempre per obbligo e giammai per libera scelta): concludo auspicando ti incontrarti sabato pomeriggio nella città dal nome dolce come una caramella dove Joe Cricket imiterà ancora Savonarola elencando con dovizia di particolari tutti i motivi che fanno dell’inceneritore di Uguzzolo uno scempio ecologico, economico e legale.
Se non puoi venire in carne ed ossa manda almeno un tuo ologramma.
Fioccano i complimenti, una buona fetta dei quali dovuti sicuramente all’amicizia, ma non è certo un cruccio.
Dei tre scrittori a cui questa volta mi paragoni, confesso che il secondo mi manca; cercherò di colmare la lacuna.
Gradito assai l’invito, mi piacerebbe molto, ma sto attraversando un’emergenza/bilancio che mi costringe a dedicare tutto il mio tempo ed energia al lavoro: la situazione, già critica in vista di mega-tasse e altre grosse spese straordinarie in arrivo, si è ulteriormente complicata con una serie fantozziana di contrattempi, ultimo dei quali il secondo guasto in dieci giorni alla Cavallona (in questo momento in officina in attesa di giudizio) 😦
L’ologramma, che è più spensierato, è già avvertito e non mancherà.
Wow queste sono le storie che piacciono a me. Quelle con il lieto fine.
Sono molto felice per te.
Grande narrazione.
Ciao
Grazie, Loretta.
Spero dunque di raccontare ancora tante storie vere a lieto fine, …ma che anche tu possa farlo!
Sottoscrivo tutti i complimenti di Milvia e non vi aggiungo altro perché finirei solo per ripetere quanto già detto in modo entusiastico da tutti gli altri tuoi lettori/compagni di viaggio.
Scrivi veramente bene, tanto che mentre mi “godevo” (suona strano dirlo, visto che per te sono state disavventure) i tuoi ultimi resoconti ho pure ignorato il cellulare che squillava per la fretta di arrivare alla fine e scoprire, dopo tanto, chi è l’assassin… ehr, no, scusa, mi ricollegavo ai complimenti di Milvia! Ad ogni modo, ci siamo capiti! 😉
Sarebbe bello capire perché si sia comportato così, quali dubbi abbia affrontato e quali paure vinto prima di cedere e arrivare a darti i documenti, ma forse è semplicemente un comportamento ‘figlio’ dei tempi moderni.
Nessuno ormai fa nulla per niente, quindi Fantomas si sarà reso irrintracciabile semplicemente perché non aveva interesse a fare altrimenti, poi alla fine è stato vinto dalla tua insistenza e allora ha trovato 2 minuti del suo prezioso tempo da dedicarti.
Fosse stato a parti inverse, o avessi ritrovato il suo portafogli, te lo saresti ritrovato sotto casa in piena notte mentre urlava il tuo nome!
Grazie delle belle parole: saperti così catturato dalla mia narrazione mi fa indubbiamente piacere!
Il tuo giudizio sulle motivazioni del personaggio mi sembra piuttosto sensato: penso anch’io che, al di là di strane diagnosi psicologiche, si sia trattato solo di suo disinteresse, protratto e sistematico, per la cosa.
Salutone.
Io non ci speravo più, a momenti mi viene il mal di pancia. ciao
Terrò presente, nei miei prossimi racconti, questo possibile effetto collaterale…
Ciao ciao!
Meno male… alla fine tutto risolto!
“Telenovela” piena di suspance!
Abbracciatona!!!
Gio
Diciamo tutto risolto fin qui, perché ora bisogna sperare che l’assicurazione non faccia altre storie…
E spero proprio che non ci sia più nessuna suspense da vivere e raccontare!
Un’abbracciatona a te, cara Gio.
Concordo con Milvia, il tuo raccontare è ricco di suspence e, a dire il vero, pensavo che il tizio oscillante non si sarebbe fatto vivo neppure questa volta. Sono contenta che tutto sia finito bene. Ora devi scalare la burocrazia dell’assicurazione… mica facile. Buon lavoro, Franz, ciao.
Sari
Anch’io ormai davo per persa questa battaglia, ma l’insistenza spesso paga, come racconta anche Jacopo Fo in questo godibilissimo articolo.
Grazie, Sari, dei complimenti, e buona giornata a te!
la storia infinita durava meno 😀
Chiamatemi Michael Neverende! 😀
Ecco che con questa narrazione riveli quelle doti (e forse non per la prima volta, ma qui lo fai in maniera eccellente), che un autore di thriller dovrebbe possedere. Mi sembra proprio che tu abbia rispettato, d’istinto, le regole canoniche basiliari, che questo genere deve seguire per poter diventare un thriller di successo. E quasi quasi mi dispiace di aver conosciuto in anticipo la felice conclusione della storia… Dal punto di vista di lettrice, voglio dire, perché, come amica, sono invece felice che tu abbia subito condiviso con me il tuo sollievo, per dare sollievo anche a me. Certo, il signor Fantomas si presenta come una figura assai complessa: chissà quali dinamiche lo hanno spinto a un comportamento così altalenante?… Ma l’importante è che alla fine il cerchio si sia chiuso: la sua disponibilità iniziale è stata confermata. Ora, caro Franz, ti auguro che l’assicurazione faccia sollecitamente il suo dovere.
Buona domenica di settembre (anche se gli eskimo non li porta più nessuno).
Il tuo giudizio sul mio racconto di vita vissuta mi ha galvanizzato molto, visto che proviene da un’appassionata di letteratura e da una scrittrice che, di tanto in tanto, ha il vizio di mietere premi in concorsi nazionali…
E naturalmente mi fa piacere sapere di poter contare su una tifosa, oltre che su un’amica, nella nuova fase della telenovela che si apre ora, quella della rivendicazione assicurativa…
Buona seconda metà del mese dei ripensamenti, sugli anni e sull’età.