Retrodiario di fine settembre

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Ottobre è cominciato da un’ora e mezza. Lo stato di grazia regalatomi la mattina scorsa da quella durissima corsa podistica amatoriale in collina, “Fra l’Eremo e i Gessi”  (illuminata da un sole timido che si è faticosamente imposto sul grigiore), e dal lungo torpido sonno del pomeriggio, e da quell’ormai rarissima concessione di un caffè, mi ha fatto superare indenne un’altrettanto dura esperienza di lavoro alla guida sotto un diluvio, e mi concede ora l’energia e la voglia di un’ultima corsa, per arrotondare ulteriormente l’incasso e per godere di questa città spettrale, a quest’ora della domenica notte che è sempre una notte diversa da tutte le altre. I non molti taxi in servizio si sono precipitati quasi tutti all’aeroporto, dov’è segnalata una coda di cinquanta persone in attesa, e Piazza Maggiore è straordinariamente deserta, di persone, di suoni, di auto bianche e colleghi. Leggo qualche pagina del notiziario del podismo bolognese, e ho quasi la tentazione di bloccare per paura l’apertura esterna delle porte della Cavallona: non mi era mai successo, qui, in Piazza. Finché arriva il segnale sonoro di una chiamata, da Strada Maggiore. Via, si va, nella notte stranita che ha appena partorito il nuovo mese.

La ricevuta dell’autostrada segna le ventidue e quarantacinque. Il casellante all’uscita di Calenzano mi ha detto di rientrare in autostrada in senso opposto, verso Roma, e, per andare a Fiesole, di prendere la quarta uscita, Firenze-Sud. L’ho guardato meravigliato, dicendogli che quando feci il percorso di trekking da Firenze a Bologna, arrivai proprio a Fiesole, e dunque non capivo come possa essere a Sud. Lui si è un po’ irritato, e mi ha ripetuto che la via più breve è quella.
All’aeroporto di Firenze il mio equipaggio di due coppie tedesche di mezza età si era diviso: una coppia era scesa, l’altra mi aveva dato, a sorpresa, la nuova indicazione, appunto di Fiesole, da me accettata ben volentieri. Avevo provato a impostare il navigatore interno al terminale radio-taxi, che, come troppo spesso accade, mi aveva risposto picche. Avevo pensato come l’urgenza di dotarmi di un navigatore più serio sia sopraffatta senza rimpianti, finchè non avrò superato il periodo critico, dalle attuali radicali esigenze di economia.
Il viaggio da Bologna a Firenze era stato una prova di concentrazione spasmodica e di tensione nervosa ai limiti della tollerabilità, su uno dei tratti autostradali più pericolosi che io conosca, reso infernale da quella pioggia torrenziale, il cui rumore soffocava la musica dell’autoradio. A ogni curva, a ogni sorpasso, a ogni improvviso rallentamento per un autovelox, con i tergicristalli che lavoravano nervosamente, temevo di perdere aderenza e di finire schizzato chissà dove; nei momenti di minor allarme mi chiedevo quanto fosse giusto rischiare la vita e sobbarcarmi la responsabilità dell’integrità di quattro sconosciuti, in rapporto a un volatile compenso monetario, sia pur superiore a quello di una corsa urbana. Le difficoltà erano sicuramente percepite anche dall’equipaggio, che pian piano aveva perso la verve e la chiacchiera e sembrava far convergere istintivamente la propria attenzione sulla mia. Due fulmini erano caduti nelle vicinanze, con l’improvviso chiarore di fuochi artificiali sparati a brevissima distanza.
La pioggia ora è finalmente calata; il percorso autostradale fino a Firenze-Sud è lunghissimo, tanto che quando, di uscite, ne mancano ancora due, il tizio mi chiede in inglese se sono sicuro. Gli rispondo di sì, con tono molto convinto.
Per fortuna anche l’uscita di Firenze-Sud è presidiata da un casellante: “Per Fiesole percorra tutto il raccordo fino alla fine” mi risponde con chiarezza.
E infatti, alla fine dell’asse attrezzato, compare per la prima volta l’indicazione di Fiesole.
La strada, da qui in poi, è composita, strana, tortuosa, con deviazioni sorprendenti, ma soprattutto è interminabile. Ogni tanto temo di essermi perso, ma poi, puntualmente, ricompare l’indicazione, a rassicurarmi di non essere partito per la tangente.
Il tizio tedesco si sta irritando: a un certo punto, in un rettilineo di una zona artigianale, mi dice che secondo lui mi sono sbagliato, figurarsi il conforto che mi dà; gli rispondo che appena possibile controllerò, ma dopo un paio di chilometri, con un tono fra il sollevato e il trionfante, gli mostro la nuova indicazione di Fiesole. La strada era giusta, non lo era solo per i pregiudizi di un tedesco borioso che ha in mente lo stereotipo dell’italiano imbroglione.
Quando cominciamo a inerpicarci, e i chilometri e soprattutto il tassametro continuano a incrementarsi, l’inquietudine del mio cane da guardia germanico ha uno sbotto. Mi chiede di fermarmi, e cerca il numero di telefono dell’albergo per sincerarsi. Gli spiego con fermezza di non essere in grado di spiegare alla reception dove io sia in questo momento, perché non lo so, perché mi sono limitato a seguire le indicazioni. Gli domando, con ancora maggior fermezza (e meravigliandomi di costruire bene in inglese la frase interrogativa e negativa al passato), se non avesse visto con i suoi occhi tutte le indicazioni che ho seguito fin qui. Okay, mi fa cenno di ripartire.
Quando capisco di essere ormai vicino all’obiettivo, gli chiedo il nome dell’albergo. Di lì a poco vedo quello stesso nome su un’indicazione turistica lungo la strada, poi, prima ancora di entrare nella cittadina, su una grande insegna all’inizio di una breve stradina privata che porta direttamente alla meta.
“Fine dell’avventura” dico con tono benevolo, sempre in inglese, ma senza ottenere repliche. Il conto che gli faccio non è esoso, arrotondato abbastanza generosamente per difetto; il mio gretto e indesiderato compagno d’avventura fa cenno di accettare senza problemi, e mi rifila alcune banconote stropicciate.

E’ un piacere, nell’ultimo sabato sera di settembre, guidare la Cavallona tornata come nuova dopo tre guasti seri in una ventina di giorni, uno dei quali risolto solo al terzo tentativo, come mi capita di spiegare in queste giornate a chi mi chiede come va. Mi rendo conto dell’impressione di inaffidabilità, di disfacimento meccanico, che dà un simile quadro, ma non posso farci niente. Il piacere di guidare un’auto tornata nuova, fluida, silenziosa, regolare in accelerazione, e con una frizione morbida ed efficiente come non la ricordavo più, me la tengo tutta per me, insieme alla coscienza di aver risolto i problemi alla radice, quando ero rassegnato e disposto a sopportare anche qualche difetto.

Ho anticipato ancora una volta i tempi, a metà di questo pomeriggio di venerdì, dell’ennesima traversata a piedi e in autobus, per recarmi questa volta nell’officina del signor Marino. E quando sono già in zona mi arriva la telefonata trionfante: “Siamo stati sprint, come il nostro nome sull’insegna. Per andare a trovare i pezzi di ricambio della frizione, come le avevo detto stamattina, ho mandato il mio aiutante fino a Ferrara, non lo avevo mai fatto per nessuno.”
“Bisognerebbe farle un monumento, signor Marino, lei mi salva almeno tre serate di lavoro in periodo di fiera.”
Indubbiamente la sua premura è stata notevole, per rimettermi in carreggiata meno di ventiquattr’ore dopo il mio angustiato appello per telefono, giovedì intorno alle sette, proprio mentre stava chiudendo, in cui avevo concordato di lasciare la vettura con la frizione quasi defunta davanti all’officina.
Era successo nella prima corsa della serata: con la cliente appena entrata in vettura e la marcia che, invece, non voleva sapere di entrare. Un’indomabile durezza, mai provata, del cambio. Chiamare un altro taxi per il trasbordo, con la signora a sua volta angustiata perchè in ritardo a un appuntamento. Poi, sistemata la passeggera e subito dopo la telefonata al meccanico, riuscire di nuovo a far partire la Cavalla, e poi ancora accettare, in maniera del tutto sconsiderata, una seconda corsa giuntami al terminale, una coppia francese, e il sudore freddo di rimanere bloccato a ogni semaforo. Era andata in porto senza danni, per fortuna, ma poi avevo deciso molto più saggiamente di concludere sul nascere la serata di lavoro, portando l’auto davanti all’officina e rincasando per l’ennesima volta in autobus e a piedi, con il senso di affrontare ormai come un’abitudine consolidata l’ennesima emergenza meccanica di questo inenarrabile mese di settembre.
E a casa mi aveva preso la depressione. Avevo cenato senza appetito e mi ero messo, fenomeno insolito, davanti alla tv ad ascoltare contro voglia le smargiassate di Matteo Renzi ospite di Corrado Formigli a ‘Piazzapulita’. Tempo un quarto d’ora avevo deciso di andarmene a letto, alle dieci, circa cinque ore prima del solito, che è come coricarsi alle sette per chi di solito lo fa a mezzanotte. Un lungo sonno leggero, inquieto, intorpidito, non riposante, e più volte interrotto.
Quando raggiungo ora nuovamente l’officina, il mio salvatore è alle prese con un cliente chiacchierone: “La saluto” finalmente lo interrompe, “devo fare andare questo signore a lavorare.” E mi fa segno di accomodarmi nel piccolo ufficio.
L’avevo un po’ intuito dal suo sottolineare a più riprese gli sforzi fatti per venirmi incontro: questa volta la bolletta sarebbe stata salata. E non mi sbagliavo, il totale supera gli ottocento euro, che sommati al mancato incasso di ieri fanno più o meno l’esatto importo del rimborso assicurativo, giuntomi ieri come una benedetta boccata di ossigeno e volatilizzatosi così in un battibaleno.

E’ giovedì, la tarda mattinata. La noto, nella posta, solo al rientro dal mio consueto giro di allenamento podistico, che sono riuscito a fare più o meno ogni tre giorni anche in un periodo di coprifuoco come quello che sembra essersi concluso lunedì scorso, quando da Soverini hanno risolto finalmente, e in pochi minuti, il problema dell’alimentazione a metano: non si trattava che di un contatto, questa volta.
La noto, è una busta chiusa, bianca, anonima, affrancata tramite un timbro.
Salgo trafelato in casa, e la apro subito. C’è l’assegno di traenza dell’assicurazione, e le istruzioni per incassarlo. La soddisfazione è immediata, ma quasi impalpabile e fugace, in rapporto a tutte le sacrosante ma esasperanti battaglie sostenute per ottenerlo, e che questo pezzo di carta incorona ora come vittoriose, tre giorni prima della fine di settembre.
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Immagine tratta da: http://www.bambulecuoio.it/pagina_22.htm

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13 risposte a Retrodiario di fine settembre

  1. RosaOscura ha detto:

    Nuove avventure e disaventure della mitica coppia Franz/Cavallona!!!

    Non pensavo che la vita del tassista fosse così turbolenta!

    Buona domenica

    Giò

  2. TADS ha detto:

    accidenti Franz,
    sapevo che la vita di un tassista fosse dura ma qui siamo ai livelli di Indiana Jones, “cavalla” compresa. Quel tratto è a dir poco laido, più della cisa in una piovosa notte invernale.
    lungi da me difenderli ma i crucchi, li conosco bene, spesso in Italia si atteggiano a burberi ma fondamentalmente non lo sono. Tempo addietro un amico di Berlino mi ha chiesto se la storia dei tassisti ladri di Roma (sua meta imminente) fosse vera, pur sapendomi Torinese. Gli ho risposto che i servizi di striscia sono tutti veri ma che puntano a smascherare singoli e non a criminalizzare l’intera categoria. Mi ha testualmente risposto: “allora quando prendo un taxi faccio la faccia incazzata e diffidente”.
    Chi ha girato pezzi di mondo lo sa, non godiamo di fama eclatante, purtroppo sotto tanti luoghi comuni ci sono pezzi di verità, spiace che a farne le spese morali debbano essere persone serie come te.

    TADS

    • Franz ha detto:

      Ti assicuro che ho un’immensa stima per i Tedeschi, soprattutto per il loro livello di civiltà e di attenzione ecologica; in questo caso, però, la mia propensione positiva ha dovuto scontrarsi con un atteggiamento che definirei di irrazionalità isterica!
      Auf Wiedersehen. Franz.

  3. Carlo ha detto:

    Troppo buono col crucco astioso, io gli avrei fatto pagare tutto ed anche qualcosa in più! 😉

    • Franz ha detto:

      Forse sono davvero troppo buono, però, a ben pensarci, ero già molto appagato dall’aver tenuto testa con fermezza, fino a destinazione, al suo atteggiamento sprezzante. Sono convinto di aver un po’ modificato i suoi stereotipi di tipo etnico.

  4. Riri52 ha detto:

    Quando qui tuonava e i gatti erano nascosti negli angoli più nascosti della casa, tu eri sulla autostrada peggio che esista in base al traffico. Egoisticamente approvo la tua valutazione dell’autostrada del sole: mefitica! Quanto alla tua avventura a ritroso spiega molto bene la fatica di un tassista, che noi pensiamo mollemente seduto in macchina ad attendere il cliente. Ciao Riri52

    • Franz ha detto:

      Dici bene, cara Riri, lo stress alla guida di un taxi può essere molto più elevato di quanto non si pensi, tanto che i nostri sindacati cercano di far considerare questo fra i “lavori usuranti”.
      Tuttavia, rispetto a un altro genere di stress che ho a lungo conosciuto in passato, quello della competizione esasperata nel business informatico-bancario, continua ad apparirmi niente più che un grande gioco, se non addirittura una fedele rappresentazione della vita vissuta.
      Ciao!

  5. lucarinaldoni ha detto:

    Quand’ero non dico giovane, ma quanto meno più giovane di adesso, ricordo una megazingarata galattica con lo scappellamento a destra come fosse antani: viaggio da Fidenza a Palermo in auto il 30 dicembre 2000 “con le gomme estive”!!!!!!!!!!!

    Il viaggio tra Fidenza e Bologna era stato colmo di adrenalina ed allegria, e tra Firenze e Palermo era stato avventuroso, pittoresco ma in fondo divertente: i 1420 km. complessivi erano stati coperti in una ventina di ore compresa una dormitina poco dopo Napoli e la lunga attesa per il traghetto a Villa San Giovanni.

    Hai già capito quale tratta non fa parte della dimensione gradevole del viaggio: fra Bologna e Firenze comincia una nevischiata-nevicata per fortuna non fitta ma insistente.

    Metto la terza, evito accuratamente di toccare il freno e viaggio nella notte: qualche automobilista incosciente e/o meglio attrezzato mi sorpassa ai 140 all’ora dopo furiose lampeggiate e perfino un paio di surreali strombazzate nel surreale scenario notturno.

    Come arrivati a Firenze, non ti so quantificare il tempo perché ero in assoluta trance da prestazione psicofisica di tipo “o mi schianto o arrivo sano e salvo, non esiste una possibilità intermedia”, la nevicata si interrompe di colpo e mi sovrasta un metafisico cielo toscano notturno di intollerabile limpidezza. Da non sapere se gioire per lo scampato pericolo o se incazzarsi col teutonico tempismo del destino cinico e baro.

    Quasi ti ringrazio per l’avventuroso zingaresco ricordo che mi hai involontariamente rievocato. A pensarci bene ci sarebbe anche una frizione saltata inopinatamente in piena Cisa ma quella te la racconto un’altra volta.

    • Franz ha detto:

      Sono io a ringraziarti per questa tua Divag-azione dal tuo eroico passato.
      “Gli altri”, quando si percorre quel tratto di autostrada così impegnativo, sembrano sempre molto più sicuri e spavaldi di te, ma ogni tanto, sempre troppo spesso, ci scappa l’incidente gravissimo.
      E’ giusto accettare un livello di rischio simile (e parlo in genere per l’uso dell’automobile)? A me sembra di no.
      Anche quando non saltano inopinatamente le frizioni.

  6. Milvia ha detto:

    Ecco che mi alzo, in questa mattina di color argento ossidato, metto su il caffè e accendo, insieme alla radio, il computer. Ah, mi dico: Franz ha pubblicato un nuovo post!
    Inizio a leggere e da subito vengo catapultata in un’atmosfera da racconto noir, e lo sguardo vorrebbe scorrere velocemente le righe, per arrivare a riposarsi in un luogo più rassicurante. Invece vi seguo, te e la Cavallona, e sosto con voi in una anomala spettrale Piazza Maggiore, e a ritroso mi ritrovo con voi sull’autostrada, e il racconto, intanto, prende l’andamento di un sogno, di un brutto sogno, di quelli in cui le mete da raggiungere sembrano irraggiungibili, in cui i confini fra cose logiche e illogiche si sovrappongono, dando un senso sgradevole di straniamento. A questo punto. mentre dalla moka il caffè , come poi mi accorgerò, si spande sull’acciaio del ripiano della cucina a gas, alla mia ansia iniziale si aggiunge un filo di angoscia. E ora che succederà, mi chiedo? Poi penso: ma dai, è una storia di fantasia! E bravo Franz! Ci stavo quasi cascando, mi dico. E invece poi, capisco che è cronaca vera, ma che, per fortuna, il viaggio si è concluso senza provocare danni.

    Un modo originale e ben condotto, questo diario a ritroso. Inquietante, anche.
    Ma, banalmente, mentre finisco di leggerlo, mi vien da dire che tutto è bene quel che finisce bene: bene la sollecitudine del signor Marino, bene l’arrivo dell’assegno dell’assicurazione, anche se l’importo si è prontamente volatilizzato. Ma meno male che è arrivato, no?

    Spero, ti auguro, mi auguro per l’affetto che ti porto, che il settembre nero appena trascorso lasci il posto a un ottobre ricco di giorni positivi. Credo che tu ti sia già allenato alle difficoltà sufficientemente e che tu le abbia superate da eccellente atleta.
    Un abbraccio ottobrino, mentre bevo il primo caffé della giornata.

    • Franz ha detto:

      Grazie, carissima Milvia, delle tue parole come sempre tanto benevolenti, e …scusa per il piccolo inconveniente ai fornelli!
      Tutto è bene quel che finisce bene, è vero, ma davvero non mi sarei aspettato un mese di esordio della nuova annata così irto di spine.
      Speriamo che il bel sole che splende in questa mattina di ottobre (e che pure si è fatto sospirare nel mese scorso) illumini un autunno dolce e proficuo, ma solo per chi se lo merita, come te.
      Abbraccio, e non esagerare coi caffettini!

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