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Arriva sempre a sorpresa, dopo decine o centinaia di corse anonime, quella insolita, che ti offre situazioni o contatti umani particolari, e magari ti apre scenari del tutto inediti sulla realtà in cui vivi.
Sabato sera, benché in orario inconsueto, cioè all’ora di cena, la chiamata proveniva da un luogo che tante volte avevo raggiunto in orari più avanzati, quasi sempre per portare a casa dei signori (o più spesso delle coppie o delle signore) mediamente un po’ attempati e della ‘vecchia piccola borghesia’.
Sto parlando del ‘Circolo Bononia’, in pieno centro, quasi sotto le Due Torri, versione un po’ meno aristocratica dell’esclusivo ‘Circolo della caccia’ situato nella stessa via Castiglione, trecento metri più in là.
Ho caricato nel bagagliaio una sola valigia e sono rientrato alla guida.
“Le sposto indietro il sedile, visto che ha le gambe lunghe”; il tipo un po’ corpulento che sale davanti (che qui chiamerò l’Intraprendente), più giovane rispetto alle tipologie a cui accennavo, si schermisce, senza mostrare fastidio per quel mio tono un po’ confidenziale. Intanto dietro si sono già accomodati altri due uomini (che chiameremo l’Anonimo e il Sussiegoso), similari per età e per quello stesso aspetto elegante ma non troppo ricercato.
L’Intraprendente mi dà le indicazioni, con voce squillante: “Ci porti prima allo Star Hotel, di fronte alla stazione, poi al garage sotterraneo di Piazza Otto Agosto.” Poi aggiunge: “Che cosa dobbiamo dire, più tardi, per tornare in questo posto?”
“Circolo Bononia.”
“Okay, circolo Bologna.”
“No, Bononia.”
“Ah, Bonòmia.”
“No, Bo-no-nia, il vecchio nome romano della città.”
Poi si mettono, o più probabilmente riprendono, a conversare, con tono pacifico ma sonoro, e tre diverse inflessioni dialettali: romanesca l’Intraprendente, veneta l’Anonimo, romagnola il Sussiegoso.
Il luogo da cui sono usciti, benché evidentemente in qualità di ospiti, mi arma di una certa diffidenza nei loro confronti, per non dire antipatia, e mentre aggiro, un semaforo dopo l’altro, la cosiddetta ‘zona T’ del centro storico, interdetta anche ai taxi nei fine-settimana, non posso fare a meno di prestare attenzione ai loro discorsi.
Il Sussiegoso parla di una rivista periodica da stampare, e avverte che, con quell’articolo in più, sarebbe costretto ad aumentare il formato di altre otto pagine, con levitazione dei costi. Poi si mettono a parlare di formaggi; mi viene il dubbio che si tratti di un termine convenzionale per indicare traffici clandestini, un po’ come i ‘cavalli’ di cui trattavano per telefono i mafiosi governativi fra Arcore e la Sicilia. L’uso di un linguaggio per iniziati fra questi tre bellimbusti, in realtà, sembra fare soltanto sporadiche apparizioni.
L’Intraprendente tesse le lodi della città romagnola del Sussiegoso, e dell’ottima organizzazione del convegno nazionale; assicura che anche nei prossimi anni la scelta ricadrà sulla sua città, salvo il 2015, quando il raduno avverrà a Milano in concomitanza con l’Expo.
“Mi fa molto piacere” ribatte il Sussiegoso “che il nostro impegno sia stato apprezzato.”
In tempi lunghi rispetto alla distanza chilometrica, ma senza che la loro discussione cali di vivacità, arriviamo nei pressi della prima destinazione, ma l’Intraprendente pianifica una variante:
“Senta, lei può scendere col taxi nel garage di Piazza Otto Agosto?”
“Non l’ho mai fatto ma penso di sì.”
E il Sussiegoso: “Sì, per i primi minuti non si paga il parcheggio, e comunque nel caso ci pensiamo noi.”
“Allora ci porti là, così facciamo il carico delle scatole, poi le dico subito dove dobbiamo portarle” e, reperito con l’aiuto del Sussiegoso un numero di telefono, effettua la chiamata e si fa dare indicazioni; poi, chiedendo conferma all’interlocutore, si rivolge col viso a me: “Hotel R.?”
Gli faccio di sì con la testa.
Non solo le grosse auto di tutti e tre i personaggi, ma anche la quarta, quella che contiene gli scatoloni, sono parcheggiate nello stesso piano sotterraneo: l’Intraprendente nota la coincidenza con tono vivace e festoso.
Ottenuta la piccola scheda dal distributore automatico, e superata la sbarra, scendiamo lungo le rampe, fino al livello ‘meno due’. Mi dice da che parte procedere. Il garage è molto ampio e illuminato a festa, mentre a quest’ora c’è un discreto via vai di vetture. Localizzate le automobili dei tre, che sono l’una in vista delle altre, ci fermiamo un attimo e resta a bordo con me solo l’Intraprendente, che mi fa proseguire alla ricerca della quarta lussuosa vettura: eccola, finalmente, dietro un angolo.
Mi dice di aspettare, e si avvia con passo deciso a recuperare gli altri.
Accendo le luci di emergenza, poi le spengo, in fondo sono inutili e di luci qui ce ne sono fin troppe.
Osservo questo sconosciuto e pulsante cuore sotterraneo del centro cittadino, nel momento dei preparativi per il rito collettivo del sabato sera.
Finché non li vedo tornare: a bordo della sua grossa auto l’Anonimo, a piedi il corpulento Intraprendente e il Sussiegoso, un po’ più giovane, magro con gli occhiali.
E’ il momento di procedere allo smistamento del bottino. L’Intraprendente estrae un portachiavi e apre il bagagliaio della quarta vettura, e fa i calcoli di quante scatole deve spostare, nel mio, per raggiungere il numero previsto di forme di formaggio. Carica col mio aiuto quattro scatole, non molto grandi ma pesanti, poi ne apre una quinta e ne estrae sette forme sfuse, impacchettate sotto vuoto dentro robusti involucri di plastica trasparente, che mi offro di raggruppare in due sportine di plastica, che tengo in un anfratto della Cavallona.
‘Latteria sociale di Mantova’ è la dicitura più visibile; più tardi scorgerò anche il marchio del Grana Padano.
Subito dopo è il momento della razione per l’Anonimo. Ottenuta e caricata la quale, quest’ultimo si congeda e saluta gli altri con anonimo calore.
In tre riprendiamo posto sulla Cavalla (in versione…’Pony Express’); riaccendo il motore e ci riavviamo adagio.
Ma immediatamente mi tocca spegnerlo, per il manifestarsi di un dramma inaspettato: l’Intraprendente annuncia di aver smarrito il portafoglio.
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(continua)
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Immagine da: http://www.bennati.com/grana-padano-d.o.p.-gr.300-415C446.phtm
Accipicchia, che bravo Franz! Una storia vera che e bella come se fosse inventata.
Aspetto il seguito.
Grazie, cara Mirella, presto dovrei pubblicare la seconda puntata.
(Naturalmente, quando scriverò la prossima storia inventata, pretendo che tu mi dica che sembra vera! 😀 )
spacciatori di grana…. adoro le spy story
Qualcosa si ridimensionerà, qualcos’altro si intricherà…
Quali mai intrighi, macchinazioni, biechi mannelli staranno architettando questi tre enigmatici figuri? Quale filo rosso unisce tre diverse aree geografiche e li conduce a Bologna che è notoriamente l’ombelico del Centro-Nord? A fare? E quale mai sarà la provenienza di codeste forme di formaggio, ecatombe oltre tutto di grassi saturi animali apportatori di obesità e arteriosclerosi e generati da mucche che passano la vita in una gravidanza continua, cosa che qualche brivido di contenuto disgusto a un vegan sia pure soft deve pur provocarla? E la perdita del portafogli, che odora di gherminella lontano un anno luce, un parsec, un diametro della Via Lattea, eh, vogliamo parlare anche di questo?
La differenza fra te e me, direbbe Tiziano Ferro, è che quando io metto un “continua” alle mie storie ho solo una vaga idea di come continueranno, e spesso neanche quella. Tu, ovviamente, raccontando una storia vera, sai benissimo come va a finire (a meno che non ci siano sviluppi al presente ancora non dipanatisi) ma sai interrompere il flusso narrativo dove massima è la suspance, come quei telefilm avventurosi anni ’60 e ’70 che si interrompevano sul protagonista che stava per cadere in un crepaccio sul fondo del quale c’era un torrente infestato dai coccodrilli, mentre lo inseguono due tigri e un rinoceronte e la Spectre lo sta mitragliando da un elicottero. Con facoltativa scritta “Riuscirà il nostro eroe… eccetera eccetera ad libitum degli sceneggiatori”.
Attendere la puntata successiva era un tormento, lenito in età infantile dal cercare di rifare la puntata successiva in una sorta di animazione-drammatizzazione-simulata-psicodramma con gli amici più stretti o, in età più avanzata, dall’immaginarla solo verbalmente magari con lunghe telefonate talora interurbane, “Ma secondo te si salva?”. “Certo che si salva, scemo, non lo sai che ci sono altre dodici puntate?”. “Ma dài, non ci avevo mica pensato…”.
In età ancora più avanzata, dopo una ventina di minuti vieni assorbito da tutti i guai che auspicavi nella tua vita di uomo maturo quando cantavi “Vita spericolata” affascinato solo dal whisky al Roxy Bar e ignorando o sottovalutando l’esplicito verso “la voglio piena di guai” che a bere un whisky c’è sempre tempo… Ma ogni tanto il pensiero ti pizzicotta il coppino, “Cosa avrà poi combinato l’Intraprendente? E l’Anonimo, l’Anonimo dov’è che va col suo pacchiano macchinone? E il Sussiegoso, cosa ci ha tanto da fare il Sussiegoso? Quali segreti nasconde?”.
Va beh, immaginiamo una sollecita prosecuzione e ci armiamo di pazienza.
Passavo a vedere se c’era già il seguito e che ti trovo?
Un racconto dentro un altro racconto!
Siete forti.
Carissimo Luca, “la differenza fra me e te”, per riprendere la dotta citazione, è anche nella dimensione e nella cura dei reciproci commenti: come sottolinea la cara Loretta (che ringrazio per il complimento condiviso), questo tuo è un gustosissimo post nel post.
I commenti che lascio da te sono invece piuttosto essenziali, per non dire striminziti; ma mi perdonerai, conoscendo la ristrettezza cronica dei miei tempi, rispetto alla quale un racconto a puntate come questo ha il vantaggio di non dover inseguire la completezza, ma ha lo svantaggio, se così vogliamo chiamarlo, di incentivarmi ad aggiornare il blog con una frequenza un po’ meno sonnacchiosa.
Acc! A puntate!
Firmato: L’impaziente
Ciao
Ti assicuro, non è per sadismo, ma la storia, e le considerazioni che ne seguiranno, erano davvero troppo lunghe!
Ciao. 🙂