Aprile

Bologna 21-4-1945

Aprile.

Quello di sessantotto anni fa, la più straordinaria primavera che si possa immaginare.
Le truppe degli alleati polacchi, il 21 del mese, entrano a Bologna fra una folla esultante fissata per sempre dalle fotografie, con gli abbigliamenti, le capigliature, e quel bianco e nero, che sanno ormai di storia antica.
La rinascita nella gioia, dopo la gravidanza di una dittatura grottesca e le doglie del parto di una guerra atroce, ottenuta grazie al sacrificio dei tanti martiri della Resistenza, ragazzi, ragazze, che per la libertà dovettero offrire la loro vita, sacrificando, prima di ogni altra cosa, la possibilità di sperimentare anche loro quella straordinaria primavera.
E grazie anche, storicamente certo in maggior misura, all’intervento degli eserciti alleati, in massima parte quello americano.

L’avremmo poi pagato, da allora fino ai giorni nostri, quel grande regalo dei nostri amici d’oltreoceano: sarebbero diventati i segreti manovratori dei nostri destini politici, compresa l’epoca delle stragi, che lascerà nel 1980 proprio a Bologna la sua ferita più profonda. La giornalista Stefania Limiti, ieri, ha reso note nel blog di Beppe Grillo le attuali conclusioni del suo lavoro di ricercatrice storica su tali sistematiche ingerenze (vedi qui).
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Sabato 20 Aprile 2013.

Alla vigilia dell’anniversario della liberazione della mia città, una telefonata in tarda mattinata mi tira giù dal letto. Non rispondo, lascio che si inneschi la segreteria.
“Ciao, sono G., ti volevo chiedere se hai voglia di venire a correre. C’è qualche raggio di sole. Fammi sapere!”
Contrariato, me ne torno a letto, se non a riprendere sonno, almeno a organizzare mentalmente le prime mosse di questo mio sabato.
Decido di richiamarlo, non mi va di fare la primadonna che si nega, anche se non ho tempo né voglia di andare fin da lui (assai lontano da qui, nelle colline sopra Zola Predosa); gli spiegherò la verità, che sono andato a correre proprio ieri e oggi non me la sento.
Prima però accendo il computer, per aggiornarmi sull’evoluzione di quella specie di psicodramma che è l’elezione del nuovo capo di Stato.
Dopo le preghiere di Bersani, Monti e Berlusconi, Napolitano ha accettato la ricandidatura‘.
Accetto, da parte mia, la notizia come qualcosa di ineluttabile, senza neanche l’energia mentale necessaria a immaginare quanto ora sia cambiato lo scenario rispetto all’elezione di Romano Prodi, fallita ieri, e ancor di più rispetto a quella di Stefano Rodotà, lasciata costantemente naufragare.

La facondia dell’amico G. è sempre inarrestabile; per una telefonata con lui bisogna mettere in conto ogni volta una buona mezz’ora di tempo. Ma questa volta l’effetto dei suoi ragionamenti mi è del tutto balsamico.
“Guarda che è molto meglio! Che cosa ti puoi aspettare da un’alleanza di governo fra i Cinque Stelle e questo Pidì? Solo di essere invischiati ad affrontare situazioni impossibili, una crisi sempre più drammatica da gestire insieme a ‘sta gentaglia, che farà di tutto per scaricare le responsabilità e affossare il Movimento.
Lascia che se la vedano fra loro, cercheranno di fare fronte con Hollande per ottenere un regime più morbido dall’Europa, mentre i grillini faranno quello che sanno fare meglio, l’opposizione, senza bruciarsi inutilmente.”
“Ho capito” cerco di ribattere, “ma questi dei guai ne fanno, continueranno a farne sempre di più, mentre una personalità del calibro di Stefano Rodotà avrebbe segnato il cambiamento.”
“Rodotà è un grande, mi ricordo che lo leggevo sempre su Panorama, prima che fosse di Berlusconi, quando era ancora una rivista seria. Ma dai retta a me, è meglio così, lascia che siano loro a sporcarsi le mani.”
“Ho capito, ma il xxxxxxxxxx ce lo teniamo per sette anni.”
“Ma no, figurati! Farà come il papa, fra un anno dirà che non se la sente più…”

Quasi mi convince e la mia giornata, iniziata difficilmente, sembra già migliorata.

Più tardi, con qualche residua speranza che l’esercito dei franchi tiratori abbia fatto fuori anche Giorgio Napolitano, accendo il televisore su La 7, esattamente nel momento in cui Laura Boldrini legge l’esito della votazione, seguita dall’applauso fragoroso di tutti i ‘grandi elettori’, ad eccezione di quelli a Cinque Stelle.

Quella benefica telefonata ha neutralizzato in anticipo il sapore della sconfitta; accetto impassibile il verdetto, e continuo a meditare, abbastanza convinto, su quei ragionamenti, che immagino non estranei allo stesso zio Beppe.
E così mi sorprende non poco la sua reazione sanguigna, il tono da chiamata alle armi, in quel suo ormai famoso post, che leggo poco dopo la pubblicazione:
Ci sono momenti decisivi nella storia di una Nazione. Oggi, 20 aprile 2013, è uno di quelli. E’ in atto “un colpo di Stato”
E poi, a seguire, l’appello a recarsi davanti a Montecitorio, dove anche lui conta di giungere entro sera: ‘Rimarrò per tutto il tempo necessario. Dobbiamo essere milioni. Non lasciatemi solo o con quattro gatti. Di più non posso fare. Qui o si fa la democrazia o si muore come Paese.

E poi, su Facebook, l’ondata di rabbia e amarezza degli amici, quelli pensanti.
Mi sorprendo evidentemente condizionabile: la precedente atarassia (o imperturbabilità) mi abbandona gradualmente, sostituita dallo sdegno, quello collettivo.
Di decidere un viaggio immediato a Roma non mi sfiora nemmeno l’idea, ma non resto insensibile all’appello di un consigliere comunale grillino che, sempre su Facebook, invita a recarsi in Piazza Maggiore.
Non ho dubbi: ci andrò. Tarderò di un’oretta il mio turno di servizio, poco male oggi è sabato e ci sarà lavoro fino a tardi.

Nel prepararmi per uscire di casa rispolvero la spilla rotonda, con le Cinque Stelle gialle in campo bianco e la scritta ‘MoVimento’, che comprai a Roma, in Piazza San Giovanni, in quella gloriosa e già lontana serata, e me la applico sul maglione, a più riprese, finchè risulta bella dritta.
La serata, mentre percorro la strada che mi porta verso il centro, è livida, niente a che fare con le precedenti luminose e calde giornate di sole, che hanno prodotto dappertutto un’esplosione di fioriture, che il canto e il cinguettio di mille volatili osannava incessantemente.

Lascio la Cavallona nel posteggio di Via Indipendenza, e mi avvio verso la piazza, col cuore che mi spingerebbe a camminare molto veloce e la testa che frena.
Mi accade di rado di percorrere a piedi la cosiddetta area ‘T’, le tre grandi arterie centrali che nei fine settimana sono dedicate esclusivamente, e molto drasticamente, a pedoni e ciclisti, e al mugugno rabbioso di tutti gli altri. Camminare in mezzo a via Indipendenza, che tante volte solco ogni altra sera con la mia vettura, cercando di sobbalzare il meno possibile sul selciato storpiato dai pachidermici autobus, è piacevole. Non altrettanto l’aria, umida e ventosa, e quel cielo cupo e violaceo; e poi ho fretta, voglia di arrivare, di manifestare, cosa che già sta facendo, per chi vuole osservarla, quella spilla puntata sul mio petto.
Mi giungono all’orecchio delle note musicali. Ecco, penso fra me, stanno richiamando dalla piazza l’attenzione della gente. Ma devo ricredermi, mentre mi avvicino di buon passo a quel cantante che, con un’amplificazione da concerto, nel tratto della strada più vicino alla piazza sta esibendosi alla chitarra, con discrete doti, in una esecuzione molto urlata di ‘We are the world’.
Superato il folk-singer e giunto finalmente a destinazione, vedo solo un capannello di persone, un cerchio piuttosto largo, saranno una cinquantina,

sgabellino

e una figura nota che, con la sua stentorea voce dall’accento toscano, tiene banco, sopra il suo ormai famoso ‘sgabellino’, per dibattere animatamente coi presenti, come fa con appuntamenti fissi un paio di volte alla settimana, in un progetto di agorà, di incontro di persone e di idee, che continua ormai da vent’anni con alterne fortune.
Sta incitando alla ribellione non violenta, e riesce anche a strapparmi uno sparuto applauso, mentre qualche deficiente grida frasi sconnesse di significato contrario.
Ma non è quello che stavo cercando.
Mi guardo intorno alla vana ricerca di facce o segni del Movimento, o comunque di protesta organizzata; mi viene la tentazione di andare a controllare davanti alla prefettura, nella vicina Piazza Roosevelt, poi mi do per vinto e faccio dietro front.

La città sta celebrando il rito della passeggiata del sabato sera, una città estranea, sorda, confusa, e livida e fredda e umida come questo cielo; lontana da quel sussulto di urgente consapevolezza che vorrei.
Torno a passare davanti al cantante, e questa volta il suo accento americano mi dà un immenso fastidio. Mi sento abbandonato a me stesso, e vittima dell’oppressione di una cultura a senso unico, la stessa che ci ha portato fino a questi recenti e nauseabondi sviluppi politici.

Raggiungo la Cavallona mentre ci sono già un paio di persone in attesa che mi chiedono se sono libero, e che cosa ci fanno tre taxi fermi e vuoti in fondo a un’area di posteggio.
Pure noi ogni tanto ci fermiamo, spiego loro, ogni tanto andiamo a mangiare.
E poi affogo la delusione nel lavoro; anche la radio, di sabato, mi nega la consueta razione di trasmissioni giornalistiche e di relative voci del pubblico, che a volte mi confortano e più spesso m’infastidiscono. Forse stasera è meglio così.
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Lunedì 22 aprile 2013.

Ero curioso di conoscere gli esiti delle elezioni del Friuli-Venezia Giulia, galvanizzato dall’auspicio di zio Beppe di conquistare per la prima volta una regione.
E i primi risutati mi avviliscono: danno il Movimento di gran lunga staccato dalle altre due coalizioni, con Debora Serracchiani in testa e che sta perdendo gradualmente il suo vantaggio sul centro-destra, in un film già visto almeno un paio di volte. Le sezioni scrutinate aumentano e la situazione non cambia.
Clicco su uno dei siti che trasmettono il discorso di Giorgio Napolitano dopo il giuramento.
La nausea, il disappunto, il disgusto, sono come una marea crescente dentro me, mentre osservo quest’uomo calvo e anziano assumere, dopo un’intera vita di xxxxxxxxxxx con i poteri più xxxxxx e xxxxxxxxxxxxx, campione nell’arte di fare il xxxxx con i xxxxxx e il xxxxxx con i xxxxx, i toni dello statista sdegnato, che osa rampognare il Parlamento prostrato intorno a lui, e pronto a tributargli ovazioni, che hanno tanto il sapore della rivincita di chi ha visto minacciati per un attimo gli antichi privilegi e ora si sente di nuovo al sicuro. L’anziano xxxxxxxxx statista si commuove a più riprese, in uno spettacolo di buoni sentimenti che neanche Maria De Filippi, e relative standing ovation.

Alla fine, confortato ma non abbastanza dalla dignità del silenzio dei ‘miei’ rappresentanti in Parlamento, oggetto peraltro di scherno da parte della casta che si autocelebra per l’ennesima volta, mi sento avvilito e sconfitto.
E mi tornano in mente i versi di una vecchia canzone di Francesco De Gregori:

Io da qui vedo il cielo inchiodato alla terra,
e la terra attraversata da gente di malaffare,
e vedo i ladri vantarsi e gli innocenti tremare.

Io da qui vedo uomini caduti per terra
e nessuno fermarsi a guardare.
E gli innocenti contendersi e gli assassini ballare
e gli innocenti corrompersi e gli assassini brindare.

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Martedì 23 aprile 2013.

Oggi Facebook mi ha fatto due regali, che mi hanno rincuorato e ridato speranza.
Il primo è un articolo di Marco Travaglio che denuncia, sia pur omettendo molti altri particolari eloquenti, la carriera incline ai xxxxxxxx xxxxxxxxxxx dell’anziano neo-rieletto. (Vedi qui).
Il secondo è una riflessione sui risultati elettorali del Friuli-Venezia Giulia, unita a un recentissimo sondaggio che vede il Movimento 5 stelle in ascesa e primo partito della nazione (vedi qui) .

Fra due giorni sarà la festa d’aprile, quella della Resistenza, il ricordo e il rinnovo dello spirito di quei favolosi giorni di sessantotto anni fa.
E le nubi livide, sul cielo della mia città e del mio morale, ora sono state scacciate via dal vento di una nuova primavera che, comunque, avanza.
Ancora e sempre.
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Immagini da: http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntate/25-aprile-a-milano/604/default.aspx
e da: http://www.youtube.com/watch?v=0pt5_e7aVVM

Informazioni su Franz

Per una mia presentazione, clicca sul secondo riquadro ("website") qui sotto la mia immagine...
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6 risposte a Aprile

  1. Terry45 ha detto:

    ….. e questo nuova primavera che lentamente avanza ci porta anche al 27, te lo sei dimenticato?
    Cosa successe il 27 aprile 1968?
    Non è data da dimenticare, assolutamente, anzi, sarebbe da far festa, festa nazionale, con balli suoni e canti gioviali, per tutte le piazze e le vie, tutti per mano felici e contenti si va ballando e cantando, a festeggiar la Miss che leggiadra e allegra volteggia spensierata…….

    • Franz ha detto:

      Ecco che cos’erano quei fuochi artificiali e quei suoni di bande!!!
      Perdonami il ritardo, Miss, l’avevo anche segnato nel calendario, ma l’accavallarsi delle feste mi ha un po’ confuso le idee, anche perché ho già una certa età, mica come te… 🙂
      Auguroni 😀

  2. lucarinaldoni ha detto:

    Ho già espresso nel mio blog in maniera abbastanza precisa, e col dovuto tasso di veemenza, il mio sconcerto sia per la rielezione di Morfeo (magari si trattasse del fantasista abruzzese tanto caro ai tifosi crociati, noto per le sue prestigiose irresistibili veroniche) che per l’intransigente perseveranza del Giano Bifronte che dirige ed ìmpera sul Movimento Pentastellato nel rifiutare ogni possibilità di accordo con il Pd, quasi godendo e sghignazzando nel vederlo precipitare verso il suo infame destino.

    Trattasi, e certo lo sai anche tu, di una riedizione quasi testuale del principio tattico-spicciolo del “tanto peggio tanto meglio” in voga nel Pci almeno fino a Berlinguer, poi purtroppo ripreso con ben maggiore ferocia e cinismo dai tupamaros all’amatriciana che imperversarono negli anni della nostra movimentata giovinezza.

    Dove portano queste intransigenze la storia ce lo insegna e ce lo ricorda.

    La cronaca, però, non andrebbe confusa con la storia. E nel leggere le tue pacate e lucide argomentazioni anch’io continuo a sperare che la linea Grillo-Casaleggio sia alla fine l’unica possibile. Perché con tutte le perplessità e l’amarezza, è solo lì che intravedo una speranza per il futuro.

    La speranza che si realizzasse il duplice miracolo di una elezione di Rodotà e di una conseguente apertura di una intesa programmatica fra i due principali partiti della snistra quali essi sono) è ormai lettera morta.

    Sopravviveremo e cercheremo di capire.

    • Franz ha detto:

      Man mano che ci allontaniamo da quella specie di play-off per il Quirinale, e da tutto il pathos di un’alternanza quotidiana di episodi e prospettive molto diverse, il panorama risulta sempre più chiaro.
      Abbiamo imboccato la strada voluta e pretesa, da molto tempo in qua, dalla finanza internazionale; ogni sogno che il timone venisse conquistato da personalità incorruttibili si è alla fine rivelato, appunto, solo un bel sogno.
      La linea di intransigenza di Beppe Grillo nei confronti dei tentativi di Pierluigi Bersani è stata, ne sono sempre più convinto, corretta e illuminata, sia dal punto di vista etico, nel non piegarsi a una sorta di ricatto verso un rapporto di sudditanza, sia dal punto di vista strategico, perché, come sosteneva il mio amico interlocutore telefonico, un’alleanza con quell’accozzaglia di correnti di potere si sarebbe rivelata molto presto un abbraccio mortale. Al PD avrebbe fatto gioco scaricare sui 5 stelle ogni problema e difficoltà (di cui è ipotizzabile un crescendo rossiniano), con l’aiuto della stampa prona, mentre i poteri forti della finanza avrebbero cercato nel più breve tempo possibile di stroncare la primavera del Mediterraneo in salsa italica, per ricondurre il tutto al tipo di panorama che, nella realtà, il governo di Enrico Letta dovrà rappresentare fin da subito.
      Quanto a dipingere Beppe Grillo come un cinico calcolatore, credo che la tentazione sia forte, e come sempre avvalorata dalla stampa di cui sopra, ma mi sembra un grosso errore. La reazione stessa, così sanguigna, all’evidenziarsi dell’inciucio a camere riunite, mi sembra che parli molto chiaro, e che riveli un grado di partecipazione emotivo all’evolversi della situazione post-elettorale, dettato da un fondamentale e profondo senso di responsabilità.
      Lo so, non ci siamo abituati, ma mi vien da pensare che l’ingrediente etico scompagini anche le nostre abitudini critiche.

  3. Carlo ha detto:

    Entro solo per toccare l’aspetto più tecnico della questione.
    Non sarò un giurista, ma ho comunque mio malgrado studiato anni quella roba lì, pertanto mi posso permettere di dire che la Consulta ha compiuto uno strappo costituzionale di rilievo.
    Potrei, con uno sforzo di immaginazione, tentare di comprendere l’impossibilità di intercettare un presidente disegnato dai costituenti come ‘potere neutro’. Ma qui si parlava di intercettazioni di ritorno, dato che la linea sotto-controllo era un’altra, ed in più si è violato il diritto alla difesa di tutti gli altri imputati nel procedimento o in procedimenti connessi, dato che in quelle telefonate agli atti ci sarebbe potuto essere anche qualcosa a loro favore, che avevano intenzione di usare nel processo.
    Ecco perché in teoria una distruzione lecita è divenuta illecita: prima la si rende nota alle parti in causa, dopo il giudice stabilisce se cestinarla.
    Ma, a prescindere da ciò, dal pdv politico è indubbio che ci stiamo avviando verso il presidenzialismo (ahimé sospinto anche da Grillo, che tra poco dirà ‘il presidente dobbiamo eleggercelo noi o moriremo col Napolitano septies’), e siamo già immersi nel presidenzialismo de facto.
    Quindi la Consulta è stata senza dubbio orba nel non soppesare questi particolari nella sua volontà cocciuta di procedere con la distruzione di documenti davvero importanti. Un conto è censurare il lavoro della magistratura su di una figura bianca, un conto invece è censurarlo su di una figura che assume rilievi politici, no?
    Molti dei giudizi espressi su Napolitano non li condivido affatto, ma quello che c’è da dire va comunque detto, perché sai bene che non sposo mai una causa, limitandomi a restar sempre critico anche con riferimento alle mie stesse posizioni.
    Un saluto e buon 25 Aprile!

    • Franz ha detto:

      La tua analisi sulla scelta ‘tecnicamente errata’ della Corte Costituzionale, per quanto valga il mio parere, mi sembra molto corretta (peraltro avevo già letto argomenti simili in precedenza).
      Credo che però sia opportuno che traiamo delle deduzioni da quell’errore per così dire tecnico, e non ci nascondiamo il livello di inquinamento raggiunto da tutte le nostre istituzioni, anche le più alte e in apparenza inattaccabili.
      Apparirà così più che scontata la mancata elezione di una personalità di alto livello giuridico ed etico come Stefano Rodotà, che si sarebbe incuneata nel gioco di poteri che controlla il Paese (di cui il PD è compartecipe in parte sostanziosa, se non sostanziale).
      Quanto alla deriva presidenzialista della nostra repubblica, è un rischio ormai all’ordine del giorno, ma andrei molto cauto a interpretare in questa direzione il Grillo-pensiero.

      Un saluto e un ottimo 25 aprile a te!

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