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Fra i tanti tipi umani che ogni giorno carico in groppa alla Cavallona, quello del depositario di informazioni esclusive è tristemente frequente.
Se un giorno inventeranno la possibilità di rivedere brani del proprio passato, sarà molto divertente ammirare la loro espressione tronfia e insindacabile, mentre sentenziano frasi come quella che ascoltai meno di un mese fa: “Quest’anno il gran caldo non viene più.”
In tempi neanche troppo lontani, avrei stentato a credere di poter passare una serata di lavoro come quella di domenica, con il termometro sul cruscotto, a mezzanotte, intorno ai trentasette gradi, e nello stesso tempo un cielo limpidissimo e un livello di umidità insolitamente basso grazie a un vento continuo e asciutto. Pianura padana o Africa subtropicale?
In giornate d’emergenza climatica come quelle che stiamo vivendo, e che le previsioni annunciano tutt’altro che passeggere, ci si rende conto che il clima influisce sempre sul nostro umore e percezione della realtà, ma che in fondo sono rari i periodi in cui impone la sua presenza in maniera tanto invadente.
Sicuramente c’è chi ancora mette in dubbio lo sconvolgimento climatico, anche in questi anni in cui i fenomeni non sono limitati ai ghiacciai alpini ma sempre più tangibili, sulla nostra pelle, sulla nostra vita quotidiana; ma ancora più sicuramente c’è chi (la quasi totalità della gente) non conosce, o finge di non conoscere, la vera gravità dell’allarme globale sul futuro prossimo del nostro habitat terrestre.
E’ proprio dell’animo umano, in fondo, rifuggire dall’ascolto di voci minacciose, e tale propensione è poi incentivata e viziata dagli organi di informazione, manovrati da chi, detenendo il potere, ne è reso miope e avidamente abbarbicato allo status quo.
Non fa piacere a nessuno l’idea di modificare lo stile di vita, a livello di abitudini quotidiane, per scongiurare catastrofi annunciate: meglio fidarsi di un pigro istinto di sussistenza, quello che ti suggerisce bonariamente che i rimedi si trovano sempre, in un qualche modo.
Neanch’io devo essere immune da tale sindrome, magari anche accentuata dal lento accumulo degli anni di mia spettanza anagrafica.
Me ne sono accorto pochi giorni fa, quando la mia consueta (e sempre preziosa) visita quotidiana al blog di Beppe Grillo mi ha riservato un testo che, come esordisce esso stesso, non fa piacere leggere: questo.
Citando ‘Nature’, cioè la rivista scientifica più autorevole che ci sia, il post pubblicato da zio Beppe, a firma Marco Di Gregorio, ci indica che lo scioglimento dei ghiacciai siberiani, e il surriscaldamento globale che ne è causa, sta procedendo più veloce delle peggiori previsioni.
Al di là e in forza del suo contenuto, quel breve articolo è stato un interessante banco di prova su me stesso e il mio impegno ecologista, che in fondo ha sempre costituito una delle principali ragioni di esistenza di questo blog. Gli ho dato una scorsa veloce, quasi infastidita; è dovuta poi passare almeno una giornata perché lo rileggessi con la dovuta attenzione, e a tutt’oggi non ho ancora cliccato sui link alle fonti di approfondimento.
Ma se non altro, come dicevo, mi ha imposto un esame di coscienza, che spero di estendere ora a chi legge queste mie parole: perché questa stanchezza, mi sono chiesto, perché questo mio quasi rifiuto?
Certo, negli ultimi anni molte cose sono cambiate nella sensibilità comune alle tematiche ambientali, qualche nuova buona pratica è timidamente cominciata a diffondersi, espressioni come “chilometro zero” non sono più esclusive del mondo dei motori, l’alimentazione vegetariana ha conquistato una diffusione prima sconosciuta, e poi ci sono i Gruppi d’Acquisto Solidale e mille altri fermenti.
Ma se da una parte il mio cammino mi ha insegnato come una vita piena e felice sia del tutto compatibile con la consapevolezza delle ricadute ambientali di ogni nostro gesto, vedere quanto tale atteggiamento sia ancora abissalmente lontano da una pratica collettiva e condivisa è scoraggiante, e porta con sè un segreto invito alla rassegnazione.
Chi è che si dà la briga di pensare a quanto petrolio, acqua, energia, altre risorse naturali, e a quanto effetto serra sia nascosto nell’acquisto di fazzoletti di carta, di una bottiglietta d’acqua o di una banana, o di un paio di scarpe, o di un gelato (per non parlare di una fettina di carne o di un hamburger), o quanto di tutto ciò sia racchiuso nel gesto semi-compulsivo e sconsiderato di accendersi un’altra sigaretta, o nella molto più giustificata accensione di un condizionatore per difendersi da questa canicola insopportabile, ovvero in azioni apparentemente innocue, come asciugarsi le mani in una toilette, o salire su una scala mobile o su un ascensore, o accettare un lucido volantino pubblicitario o un altro sacchetto di plastica, o fare una gita, anche breve, anche con mezzi pubblici. E via dicendo.
Praticamente nessuno se ne cura, se escludiamo pochi fanatici o fissati. Eppure, se non impareremo ben presto a farlo tutti, individualmente e collettivamente, le speranze di salvezza sembrano davvero poche.
E’ vero che dare risalto alle notizie positive ha un’efficacia di contagio di gran lunga più utile, rispetto all’effetto deprimente di quelle allarmistiche, ma, quando la realtà è quella che stiamo vivendo, sarebbe solo un pietoso inganno insistere sempre e solo su quanto di buono, nella società in cui viviamo, si sta muovendo, pure in modo sottovalutato e soffocato dal quotidiano scandalo della corruzione politica ed etica. In altre parole il pensiero positivo, che è normalmente prezioso per affrontare una crisi epocale come l’attuale, non deve oscurare voci di allarme purtroppo tanto attendibili come quella in questione.
E così, per questa volta, dedico a quell’allarme il mio post, quando sarebbe stato certamente più piacevole approfondire le tematiche di una realtà sociale, economica e politica in grande subbuglio, e teatro di formidabili e inediti contrasti (oltre che di ulteriori relativi allarmi). Non mancheranno il tempo e la voglia di riprendere tali argomenti, ma senza mai correre il rischio di perdere di vista il contesto di allarme epocale che la storia ha riservato alla coscienza di chi può e vuole recepirlo.
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Immagine tratta dal sito delle previsioni meteo ARPA
L’ipotesi Gaia è una teoria di tipo olistico formulata per la prima volta dallo scienziato inglese James Lovelock nel 1979 in “Gaia. A New Look at Life on Earth”, trovando poi numerosi consensi nel mondo scientifico, ma non tutti coincidenti col suo vitalismo.
Nella sua prima formulazione l’ipotesi Gaia, che altro non è che il nome del pianeta vivente (derivato da quello dell’omonima divinità femminile greca, nota anche col nome di Gea), si basa sull’assunto che gli oceani, i mari, l’atmosfera, la crosta terrestre e tutte le altre componenti geofisiche del pianeta terra si mantengano in condizioni idonee alla presenza della vita proprio grazie al comportamento e all’azione degli organismi viventi, vegetali e animali. Ad esempio la temperatura, lo stato d’ossidazione, l’acidità, la salinità e altri parametri chimico-fisici fondamentali per la presenza della vita sulla terra presentano valori costanti. Questa omeostasi è l’effetto dei processi di feedback attivo svolto in maniera autonoma e inconsapevole dal biota. Inoltre tutte queste variabili non mantengono un equilibrio costante nel tempo ma evolvono in sincronia con il biota. Quindi i fenomeni evoluzionistici non riguardano solo gli organismi o l’ambiente naturale, ma l’intera Gaia.
Mi sono limitato a citare Wikipedia, che ospita anche qualche bufala immane (ma nessuna dura più di pochi giorni, perché anche Wikipedia come Gaia gode di una serie impressionante di feedbacks e retroazioni correttive) insieme ad accumuli virtuosi di informazioni vere e preziose.
Nel cercare tracce di Gaia in Wikipedia, mi è venuto da pensare che Wikipedia rappresenta un campione non rappresentativo, un sottoiniseme improprio, una categoria minoritaria dell’intera umanità.
Se gli utenti di Gaia trattassero la propria struttura contenitiva come quelli di Wikipedia trattano la loro, non avremmo la spada di Damocle di una crisi ecologica irreversibile, che rischierebbe inoltre come tutte le crisi di avere un andamento epidemico caratterizzato da una progressione geometrica.
I tuoi post sono piccoli fari di informazione e stimolo al fare (pur se è difficile immaginare cosa, e se ci si indigna si passa anche da comunisti, vetusti brutti grigi plumbei e fuori moda) che si leggono e si commentano tutti d’un fiato.
Anche se scritto “tutto d’un fiato” il tuo commento ha la consueta ricchezza di contenuti, nonché di (sempre graditi) complimenti.
Mi piace il parallelismo fra il mondo fisico e il mondo di Wikipedia, e piacerebbe molto anche a me che i due sistemi si somigliassero anche nella cosiddetta resilienza, termine di moda che, che come saprai, indica la capacità di curare spontaneamente le ferite, per così dire.
Già, che fare? direbbe qualcuno.
E’ proprio il senso di drammatica insufficienza dell’impegno personale, che ha generato in me, e credo in molti altri, quel demoniaco invito alla rassegnazione di cui dicevo.
Ma non dobbiamo stancarci di remare, anche quando le correnti contrarie sembrano sovrastare le nostre forze.
Forse le cose cambieranno, e sarà bello aver remato.