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Da qualche tempo l’invasione del vocabolario italiano da parte di termini inglesi è diventata frenetica e parossistica. Si tratta, per la quasi totalità, di sostituzioni inutili, che tolgono anziché aggiungere sfumature, dettagli e precisione al significato di parole e locuzioni, e che nello stesso tempo modificano il ritmo piano, musicale e ponderato della nostra meravigliosa lingua con quello stringato, rapido e sbrigativo che appare dimostrarsi più consono ai tempi attuali.
Il vezzo ha contagiato un po’ tutte le categorie dotate di una certa visibilità: politici, giornalisti e intrattenitori a vario titolo, con effetti dirompenti.
Invece di vergognarsi, si fanno belli di operare in tal senso ogni qual volta ne abbiano la possibilità, con nuove invenzioni o il semplice ribadire espressioni di moda, perché il termine inglese regala un alone di consolidata importanza alle loro affermazioni.
Gli esempi possibili sono un’infinità: mi limito a citare quello che ho scelto come titolo di questo articolo (ma, a proposito, non posso fare a meno di notare: vogliamo mettere la ricchezza del sostantivo ‘articolo‘ rispetto al ben più utilizzato ‘post‘?); ‘selfie’ è spuntato dal nulla di recente e ha fulminato e ridotto all’agonia il corrispondente italiano, che, per chi non lo sapesse, è ‘autoscatto’, cioè la tecnica che permette di scattare fotografie a sè stessi senza l’aiuto di un fotografo.
La violenza perpetrata contro il ritmo proprio della nostra lingua, che veicola i significati con la sua inconfondibile chiarezza e musicalità, è particolarmente evidente quando il termine usurpatore è costituito da un solo fonema: in questi casi si generano, oltre che fratture di ritmo, delle autentiche difficoltà di comunicazione, anche perché la pronuncia corretta di quei monosillabi segue regole fonetiche lontane dalle nostre abitudini.
Come nel caso dei programmi che si possono installare sui telefoni multifunzione di ultima generazione, e che vengono (purtroppo) comunemente chiamati ‘app’, termine, fra l’altro, che suona alle nostre orecchie quasi sovrapponibile all’inglese ‘up’, che ha tutt’altro significato.
Ovvero nel caso degli aeroporti che fungono da scalo principale di raccordo per le destinazioni del proprio Paese (ma il termine spesso deborda anche in ambiti assimilabili), che, come molti sanno, sono chiamati “hub”, un termine dalla sonorità poco chiara e troppo breve per quello che esprime.
Di pari passo, va affermandosi l’uso di sigle e acronimi di cui si potrebbe fare a meno, ma che rispondono alle stesse caratteristiche di rapidità.
A volte sono il concentrato di locuzioni inglesi, come per il termine ‘sms’, che, se andiamo a scavare, è anche sbagliato, perché significa ‘sistema di messaggio corto’: ai miei amici io invio messaggi corti (dunque, piuttosto, ‘sm’), e non il relativo sistema; in realtà, se questa specifica battaglia non fosse già persa, preferirei comunque chiamarli messaggi verbali, o messaggi testuali, se non vogliamo coniare il termine ‘telemessaggi’. Quello che posso fare, tuttavia, è cercare, quando ne invio uno, di scrivere in italiano, e non in quello strano linguaggio tronco e crittografato che tende a imporsi e a debordare poi anche nella lingua comune: ho visto di recente un’insegna, ahinoi, di un ‘parrukkiere’.
La brutta tendenza a comprimere brevi locuzioni in sigle riguarda comunque non solo quelle inglesi, ma anche quelle nostrane, come nel caso dell’Anidride Carbonica, purtroppo sempre più spesso sostituita, senza alcuna necessità, dalla propria formula chimica, ‘CO2′. Attendo con raccapriccio il giorno in cui anche l’acqua diventerà comunemente H2O.
Dunque, tutti a modificare e impoverire il nostro modo di parlare, in ossequio ad alcune religioni del nostro tempo: la tecnologia, una nevrastenica rapidità, la cultura anglo-americana, il conformismo.
Arginare questa deriva appare come un’impresa titanica, una lotta contro i mulini a vento; credo tuttavia che sia una piccola ma quotidiana battaglia di civiltà giusta da sostenere, nei limiti del possibile e senza cadere nella leziosità (propria di certe operazioni lessicali, ad esempio, dei nostri confinanti francesi).
Battaglia di civiltà, certo, ma anche, prima di tutto, rivendicazione di libertà dalle convenzioni.
A questo punto il discorso scivola, quasi senza volerlo, su un’altra battaglia, che ne è parente stretta: quella del tempo da attribuire ai nostri gesti quotidiani, per farli diventare espressione autentica della nostra personalità anziché movenze scattanti e affannate di automi.
Da un po’ di tempo mi capita di osservare soggetti compulsivi nella rapidità dell’azione: la cassiera della banca che svolge un’operazione, lo sconosciuto alla guida che scatta al semaforo di città, il conduttore radiofonico che parla troppo in fretta.
Del tema della lentezza ho già scritto in passato; qui mi preme soprattutto specificare il concetto come ‘tempo appropriato’ per ogni gesto, azione, progetto, impresa. E sottolineare ancora una volta un argomento che mi è caro e che da molto tempo domina la scena della mia vita quotidiana: quello del giusto spazio da dare al riposo, come pure al silenzio, ma anche (ed è forse l’obiettivo più difficile di tutti) all’inefficienza, per poter condurre una vita piena e ricca di significato e di salute.
Ribelliamoci al disumano modello di convivenza rumorosa fra automi scattanti e iperproduttivi; rivendichiamo il tempo e il silenzio di cui abbiamo bisogno come nutrimento essenziale.
Sarà una conquista per la nostra vita e un atto politico del tutto rivoluzionario.
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Immagine da: notizienazionali.net/notizie/arte-e-cultura/1433/litaliano-e-le-lingue-altre-a-confronto-nellevento-dellaccademia-della-crusca
Auguri di buona Pasqua e di una bella primavera. Ciao Riri52
Auguri a te, cara Riri, di serenità e luce.
Io credo che la lingua si debba necessariamente evolvere.
Una lingua che non è in grado di accogliere nuovi termini, per forza di cose muore. Purtroppo il lassismo nostrano fa sì che molti termini ormai si importino tali e quali alla loro forma d’origine senza italianizzazione.
Certo, occorre dire che i francesi, dall’alto del loro sciovinismo, sono sempre risultati ridicoli nel trasformare a forza ogni sostantivo straniero. E non vorrei nemmeno che si tornasse ai tempi grigi in cui il povero filosofo Bacon diventava Bacone. Solo, sperduto, tra migliaia di colleghi dai cognomi ‘barbari’ rimasti intatti, gettava nel panico migliaia di studenti che iniziavano a credere che fosse italiano.
Poi, c’è pure da dire che l’Italia ha perso il primato in ogni campo: gli studenti di economia, biologia e medicina ormai studiano libri in inglese, perché certi termini sono intraducibili. Persino nel diritto, dove ancora ci si riempiva la bocca di latinorum come Ratzinger durante le omelie, ormai si biascicano nozioni nate oltreoceano, visto che le nuove forme contrattuali vengono ideate altrove.
A noi non rimane altro che inseguire, o vedere martoriata la nostra povera lingua dalla kkkkkasta ( 😉 non potevo non punzecchiarti sul punto) di ignoranti italioti!
Sono d’accordo con te, una lingua è tenuta a evolversi continuamente e fisiologicamente; ma quello che ho notato, e cercato di esporre, è un acuirsi patologico dell’importazione di termini inglesi di cui non c’è alcun bisogno, e che anzi hanno un significato meno ricco e preciso del corrispondente italiano.
La kkkkkasta, guidata da quell’avventuriero ragazzotto toscano , ne sta dando un pessimo esempio.
Grazie del tuo intervento, come sempre colto e colorito, insomma davvero smart e gorgeous! 😀
Bello l’articolo, interessante, acuto. Per me che son professoressa d’italiano dovrebbe rappresentare un buon livello di soddisfazione. Se non che, mi è spesso capitato, sui social network, di significare con un solo segno diversi livelli di significanti e d’interpretazione. Prosa e poesia rimarranno comunque.
Grazie delle parole di stima, e un benvenuto a te!
Grazie soprattutto dello stimolo di approfondimento, che raccolgo, anche se resta in me molto forte il timore che prosa e poesia, che in effetti conoscono un periodo di grande frequentazione attiva, siano destinate a misurarsi con una lingua non solo trasformata e imbastardita (cosa in fondo da accettare in nome dell’apertura al cambiamento), ma soprattutto impoverita nella sua capacità espressiva.
Pargolo, sono orgoglioso di te più che mai, ed in questo caso un poco anche di me stesso, di miei antichi pallini o manie…
Devi avere qualche fan (pardon, ammiratore) attivo in TWITTER: mi consta infatti che questo tuo articolo venga diffuso anche in quel canale, tramite “links” (si può?).
Grazie di questa perla!
Grazie a te, caro Maestro Poli; ogni tua manifestazione di gradimento (o addirittura di entusiasmo) relativa ai miei scritti è per me una soddisfazione speciale!
Quanto a “links”, penso che sia uno di quei termini tecnici che si sono già imposti: nessuno si sogna di utilizzare la corrispondente locuzione italiana “collegamento ipertestuale”, se non in trattati sull’argomento stesso. Però quella “s” in fondo la toglierei proprio, seguendo la regola di ignorare declinazioni estranee alla nostra lingua (e, già che c’ero, anche quella di concedermi, in questo stesso periodo, un bell’anacoluto). 🙂
Ciao,
Che tristezza leggere dei ritmi veloci della cassiera in banca.
Un mondo che ben conosco dove i tagli al personale e la disorganizzazione portano i dipendenti a correre per eseguire una mole di lavoro superiore al dovuto. E basterebbe proprio poco, dare invece un’immagine di calma, sicurezza, serietà un po come erano le banche di un tempo per cambiare anche l’opinione negativa di molti sui servizi bancari.
E questi sms?
Leggo in un commento che gli anziani non sono aperti alla novità, cosa che peraltro misuro quotidianamente , nella maggior parte dei casi, col mio lavoro.
Ma i messaggini sono già obsoleti, vecchi e superati Anche se offerti in quantità industriali da costosi canoni mensili, offrono solo 160 caratteri e nulla più.
Whatsapp e Skype sono il passo avanti ad esempio. Immagini , numero illimitato di caratteri, telefonate senza scatti facendo il minimo abbinamento.
Le compagnie telefoniche sanno bene che tra poco i loro faraonici guadagni crolleranno ma ciò non avverrà fino a quando si invieranno sms e si telefonerà “normalmente”.
Mi sembra che non siano solo gli anziani a non accorgersi di questo.
Forse sono uscito un poco dall’argomento anche se auto al 100% le affermazioni lette.
Scusate anche gli eventuali errori ma scrivere con lo smartphone è difficilissimo 😆😆😆
Ciao, carissimo, che piacere ritrovarti in queste pagine!
Ti conosco certamente alleato, nella sacrosanta battaglia contro la frenesia e la nevrosi, come pure contro l’ipocrisia e l’ingiustizia di inutili costi per servizi di comunicazione potenzialmente già superati.
Quanto ai rapporti fra banche e clientela, sono purtroppo falsati dall’immagine di associazione a delinquere, che chiunque è un po’ informato attribuisce giustamente ai più importanti gruppi bancari; è chiaro che gli impiegati non hanno colpa di questo, e spesso si tratta, come dici tu, di soggetti a loro volta sfruttati in maniera disumana, a cui dover fare da emissario di gangster presso la clientela non può che peggiorare la situazione di lavoro.
Ultimo dubbio: ma questi diabolici telefoni di ultima generazione, che rendono così difficile la digitazione di testi, costituiscono davvero un passo avanti nel progresso???
Ai post l’ardua sentenza.
Eccomi qua carissimo Franz, puntuale, a replicare ai tuoi “articoli” e non “post”, sempre così ricercati e profondi.
Eccomi qua per ribadire, come te, la musicalità della nostra lingua. Mi ricordo ancora quando alla fine degli anni novanta mia madre mi regalò il primo cellulare e quando inviavo un messaggio dovevo dire “sms”e non “mess.” perché non ero alla moda. Da allora queste forzature sono entrate sempre più in fretta e prepotenti nel nostro linguaggio quotidiano.
Diversi fattori concomitanti hanno reso inarrestabile, questa invasione, senza ritegno, di terminologie anglosassoni. L’arrivo sempre più massiccio di popoli stranieri nel nostro territorio, importatori dei loro dialetti, si sono, nel tempo, miscelati con il nostro italiano. L’evolversi velocissimo della comunicazione, tecnologie e strumentazioni: il Web, Internet, Facebook (ha dato il colpo di grazia). Le digitali…poi la valanga oceanica degli smarth phone, che finchè erano prodotti solo dalla “Apple” a prezzi alti era un prodotto di nicchia (che pochi se lo potevano permettere) quindi di diffusione contenuta. Successivamente la Samsung, entrata in competizione, ha fatto prodotti di elevata tecnologia a prezzi molto più bassi, dove facendo pacchetti concorrenziali con Wind a prezzi popolari ha sbancato tutto creando…un’invasione “barbarica”. Il bello è che all’altro antipodo siamo un popolo di “ignorantoni” non sappiamo “quasi” leggere e scrivere, ma dobbiamo avere in mano una “Ferrari” per dimostrare che siamo bravi a far tutto perché dobbiamo apparire intelligenti a tutti i costi. Leggiamo pochissimo, non conosciamo la grammatica italiana, …l’uso della terza persona, ecc.. Prendiamo i giovani: di età tra i 15 e i 30 anni più o meno: tanto inglesizzati, ma se li metti a scrivere una lettera non sanno da che parte girarsi e non importa conoscere il linguaggio burocratico di un ufficio. Se ci metti pure che siamo il popolo più anziano al mondo concludiamo il quadro. Non si spiegherebbe perché tanta ignoranza ci abbia portato all’attuale putrefatta situazione politica. Perché i più giovani se ne fottono di tali politici che ci governano vanno su facebook si chiudono nel loro mondo e chi è dentro è dentro e chi è fuori è fuori. Gli anziani restii e paurosi di tutto dei cambiamenti poi non ne parliamo. Se ascoltano e si fanno imbambolare da Renzi e compagnia. Forse la nostra generazione è quella che si salva perché riesce a ragionare con il proprio cervello, spirito critico, che ce la mette tutta per cercare di cambiare le cose, togliere il marcio. Sappiamo barcamenarci tra il nuovo e il vecchio…mi sento fortunata di avere avuto dei valori di portarli avanti di sapere guardare avanti nel futuro si, ma anche indietro, nel passato. Ciao alla prossima.
Condivido in larga misura la tua analisi, carissima Trudy, e mi ha fatto sorridere la correzione che dovesti subire per adeguarti al termine “sms”, come pure la definizione di “putrefatta” della nostra situazione politica.
Tristemente vera anche la tua colorita descrizione di tanti giovani (ma per fortuna non tutti!) formatisi con le rivoluzionarie tecnologie e restati ignoranti in tanti campi della cultura elementare.
L’unica cosa su cui non mi trovi d’accordo è la commistione della nostra lingua con quella delle varie etnie di immigrati; non mi sembra che ci siano influssi arabi o dell’Est Europa nel nostro linguaggio parlato.
Quello che domina è l’inglese, sicuramente a causa della diffusione di strumenti tecnologici internazionali, ma certamente anche per ragioni di moda e sottomissione culturale al mondo anglo-sassone.
Ciao, e grazie!
Leggo e condivido in …..silenzio. Ciao
Credo che tu sia una delle massime autorità in materia di silenzio e di ascolto!
Ciao, Loretta.
L’ha ribloggato su senzasalutaree ha commentato:
La lingua è una cosa fondamentale, le parole, i sinonimi hanno un valore enorme, rappresentano tante sfumature del pensiero e dello sentire. Perdere la possibilità di rappresentare quelle sfumature significa perderle.
Grazie del contributo e della citazione nel tuo blog!
articolo: (4 significato Zingarelli 1996) scritto piuttosto ampio che in un giornale, una rivista, un bollettino e sim. tratta un determinato argomento.
Se condivido praticamente tutto ciò che hai scritto, permettimi, caro Franz di dissociarmi sulla questione post vs articolo. Io non scrivo articoli, perché non ho una rivista, nè un giornale, ma una specie di diario di bordo e molto spesso riporto brevi impressioni, non qualificate, su fatti a cui assisto o di cui leggo o vengo a conoscenza. quindi “posto” e non pubblico 🙂
“Mi consenta…”, come diceva una volta il vecchio delinquente: mi consenta di dissentire.
Un diario telematico è secondo me inscrivibile in quell’ “e sim.” della definizione che citi, tanto più se consideriamo che si può ben parlare di pubblicazione, nel senso letterale del termine.
Il sostantivo “articolo” rende molto bene la fisionomia di un brano pubblicato in un blog, nella sua caratteristica di “articolarsi” in una serie, minimale o complessa che sia, di concetti concatenati. Invece il termine “post” è riduttivo e banalizzante, nel suo significato di appunto, nota, promemoria.
D’altra parte deve pensarla come me anche chi ha prodotto la versione italiana della piattaforma che ospita questo blog, WordPress, dove appunto viene utilizzata costantemente la parola “articolo”.
🙂
Sono pianamente d’accordo con quanto scrivi. Purtroppo il costo dei messaggini telefonici ha indotto i giovani ad usare abbreviazioni che ora vengono usate anche quando si scrive in altro spazio. E si usano i segni matematici e le K al posto della ch… come dici bene nel tuo articolo, Pensa che ho letto, in un forum, la parola “forse” scritta “phorse”.!!! C’è da chiedersi come possano svolgere un buon compito in classe questi nostri ragazzi.
E fra i miei coetanei? C’è forse la voglia di sentirsi giovani e… si copia dai nipoti.
Però c’è chi resiste alla buona scrittura… tu, io, e chissà quanti altri.
Sempre puntuali i tuoi interventi. Ciao
Ciao cara Sari.
Il “phorse” è davvero straordinario; fra l’altro ricorda, in inglese, un cavallo…
Non direi che il costo dei messaggini telefonici sia influenzato dalla loro lunghezza, e dunque penso che all’origine di quella tipica maniera un po’ geroglifica di comunicare ci sia solo e semplicemente la fretta, che, come si sa, è una cattiva consigliera.
Credo che il compito degli insegnanti, soprattutto quelli di lettere, sia oggi più delicato e importante che mai, nell’instillare amore per la buona letteratura.
Ti ringrazio di farmi sentire, insieme a te, parte della società molto esclusiva dei buoni scrittori!
Un salutone.