La ricaduta

cavalla malata.
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Uno dei periodi più sereni della mia vita recente è stato interrotto da un nuovo sommarsi di vicende stressanti legate al funzionamento del mio mezzo di lavoro. Una riedizione, ridotta ma neanche tanto, della Cavalloneide, a pochi mesi di distanza; ma questa volta, per buona sorte di chi legge e di chi scrive, non ne farò una blog-novela a puntate, limitandomi, per quanto riguarda la cronistoria della vicenda, a un elenco molto sintetico.

Sul finire di aprile, un difetto trascurabile nell’alimentazione a metano aumenta gradualmente di intensità, fino a rendere inevitabile l’intervento del mio nuovo meccanico, il signor F.
Quest’ultimo diagnostica un problema serio alle valvole della testata.
Ci accordiamo perché io lasci la Cavallona davanti all’officina dopo la serata di lavoro della domenica successiva, ma già il venerdì sera il difetto rende impossibile continuare a lavorare, anche sfruttando l’alimentazione a benzina.
Il sabato, non senza difficoltà, riesco a prenotare un taxi di scorta; nell’andare in sede per il trasloco dell’equipaggiamento, in tangenziale mi accorgo di stare correndo con una gomma quasi a terra; vista la breve distanza, dirotto la Cavalla zoppa davanti all’officina.
All’inizio della nuova settimana, il signor F. mi comunica che, a una successiva indagine, è in realtà risultato crepato uno dei pistoni: l’intervento di riparazione dovrà essere commissionato a un’officina specializzata, e sarà lungo. Dunque, alla spesa per l’intervento si sommerà per me il costo dell’auto di scorta, di quasi cinquanta euro a giornata.
Cerco di reagire positivamente, sfruttando l’elasticità del mio lavoro, che (almeno rispetto ai miei standard) permette di aumentarne le quantità quando necessario, e mi ci coinvolgo con abnegazione e passione, e la soddisfazione di un notevole incremento in termini di incassi.
Anche l’auto di scorta, poi, improvvisamente mi segnala un guasto: surriscaldamento del radiatore, necessario spegnere immediatamente il motore. Che, con i clienti a bordo, non è una cosa esattamente simpatica.
Per tutti i giorni successivi dovrò prevenire tale situazione aggiungendo spesso dell’acqua: si tratta infatti di una perdita, come nella miglior tradizione della Cavalloneide.
Il signor F. intanto mi chiama per tranquillizzarmi: i lavori procedono bene e cercherà di consegnarmi l’auto a metà della settimana successiva.
Il lunedì della nuova settimana mi cerca un collega, bloccato da giorni per mancanza di auto di scorta, e mi propone la condivisione giornaliera; preferisco evitare l’enorme fastidio e consegnare la mia la sera stessa.
Rimango così esule in casa, senza lavoro e senza automobile, in attesa della telefonata liberatoria del meccanico.
Il mercoledì, sulle cinque del pomeriggio, stanco di attendere e inquieto, decido di chiamarlo io; la Cavalla è quasi pronta ed è già andata in moto. Resto cauto e diffidente, ma l’indomani mi conferma che è pronta.
La vado a ritirare, portando con me una bella mazzetta di euroni, e la carta di credito per integrare la spesa; l’impiegata però non c’è e il pagamento viene rimandato.
Per prima cosa, quando finalmente torno in sella, mi accorgo che il climatizzatore butta dentro aria caldissima. A più riprese ritenterò, con lo stesso risultato.
La serata è calda e umida, devo abituarmi a lavorare con i finestrini parzialmente aperti; grazie al cielo nessun cliente di questa mia giornata di ritorno al lavoro se ne lamenta.
Oltre al disagio climatico, proprio sul finire della serata, si manifesta di nuovo il difetto originario. Decido, nell’andare a letto sfinito e demoralizzato, che tornerò dal meccanico nel primissimo pomeriggio.
Il signor F. rimane sorpreso e preoccupato, e prende subito in consegna la Cavalla malata. In brevissimo tempo mi segnala che il difetto è dovuto a una bobina, sostituita la quale il motore riprende a funzionare benissimo. Quanto al climatizzatore, dice che con tutta probabilità bisognerà sostituirne il compressore, ma poi ci mette le mani, e in poco più di un quarto d’ora sistema anche quello.
Sebbene diffidente e con apprensione, riprendo a lavorare, e il sollievo di poter accelerare senza alcun problema, e sentire il clima interno fresco e secco, è un piacere profondo e tuttora vivo, a ormai molti giorni di distanza dall’accaduto.
Anche l’esborso, che passerò a saldare l’indomani, risulterà ragionevole.
Se da una parte il sollievo è grande, dall’altra non si è spento il coinvolgimento di tutte le mie energie sul lavoro, con l’obiettivo di rimediare all’emorragia finanziaria.
L’altro ieri, già stanco sul finire di un’altra serata intensa, nel tornare verso il centro da via San Donato, scelgo il percorso meno frequente: proseguo per la stessa via anzichè prendere lo stradone della fiera, spinto da un presentimento che di solito si rivela positivo, e cosciente dell’effetto misterioso che può avere ogni decisione apparentemente innocua sulle esperienze di lavoro e di vita che ne seguono.
Questa volta però finisco, di lì a non molto, in un episodio che sarebbe stato meglio evitare.
Sto concludendo il trasporto di una signora in uno dei locali nelle strette e ben illuminate vie del vecchio ghetto ebraico; un odioso SUV parcheggiato sulla sinistra mi rende difficile superare due biciclette ormeggiate sul lato opposto. Procedendo adagio evito la prima, ma la seconda è proprio in mezzo alla strada; una ragazza gentile presente in loco prende l’iniziativa di spostarla per agevolarmi; procedo ancora lento ma deciso, finché vedo che la stessa ragazza sgrana gli occhi e storce la bocca, guardando la bicicletta dietro, la prima, che, nella nuova manovra, ho schiacciato contro il muro, senza accorgermene acusticamente anche a causa della musica dell’autoradio.
Regolo i conti con la mia cliente, che per fortuna è già a destinazione, poi vado a verificare il danno arrecato. La bici, di un bel modello bianco, ha la ruota anteriore deformata.
Compilo un biglietto, con la promessa di pagare la riparazione, il mio nome e il mio numero di telefono per essere ricontattato nel pomeriggio successivo.
Sfinito dalla stanchezza, amareggiato e impaurito, rientro a casa con il telefono spento, per evitare che mi chiami subito il proprietario.
Riesco a dormire e a tranquillizzarmi un po’, ma la paura di avere a che fare con un tipo aggressivo, o magari con un attaccabrighe che mi faccia pagare l’accaduto oltre il dovuto, mi fa stare molto sul chi vive.
Finché nel pomeriggio, intorno alle tre, mi arriva il seguente sms:
“Buongiorno signor Francesco. Sono il proprietario della bici. La ringrazio innanzi tutto per l’onestà. Domattina la porterò a riparare e le farò sapere. Grazie e buona giornata” e poi la firma con il solo nome, un nome che sembra uscito da un antico poema cavalleresco.
Con la sua portata di nuovo, grande e profondo sollievo, è questo, penso e spero, l’episodio finale di una lunga vicenda, che ha reso un po’ meno bello per me un luminoso e caldo mese di maggio, ma forse, come ogni contrattempo grande o piccolo, sarà servita a insegnarmi qualcosa.
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Immagine da: animali.net/forum/threads/503-la-laminite-%C3%A8-contagiosa

Informazioni su Franz

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