Un Capodanno d’aria (prologo)

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Siamo fatti di fragili elementi, tenuti insieme da innata energia vitale e ciclici rituali.
E’ dal Capodanno 2010, dunque da sei anni che, in modi diversi e sempre un po’ magici, mi viene a trovare Christine; è ormai un appuntamento irrinunciabile, sicuramente per me; e mi piace pensare anche per lei, se è vero che non è mai mancata (a parte un anno in cui si manifestò molto amaramente tramite la sua assenza).
Anche lavorare col taxi per poche ore, fa parte del mio personale rito di fine anno; esordio in questa edizione per ‘Gheparda Giovanna Ezechiela’, brillante sostituta dell’indimenticata ma assai cagionevole Cavallona; e poi rincasare prima che si scateni l’insana, rumorosa e pericolosa euforia forzata e collettiva.

E’ anche piacevole, in quelle poche ore, scarrozzare per la città casuali sequenze di persone accomunate, in modi molto differenti, dall’aspettativa di attimi diversi e magari anche un po’ emozionanti, sindrome da ‘Sabato del villaggio’ per intenderci.
Un sabato del villaggio limpido: l’aria, miracolosamente tersa, restituisce le mille luci e le poche ombre con felice nitidezza, dopo l’oppressione di tanta umidità, foschia, nebbia a banchi e diffusa, da troppe sere in qua.
E intanto, in quelle corse che si succedono, va aumentando la mia ansia d’attesa per la nuova imponderabile ‘epifania’, cioè manifestazione, di Madame Christine, che lo scorso primo gennaio, cioè esattamente all’altro capo di quest’anno morente, mi riservò la dolcezza di una serata a tu per tu per strade e osterie bolognesi, e di un contatto fra due anime come mai fra di noi era avvenuto prima.

Che fai, dove sei, ormai è l’ora di chiudere bottega, e un lieve sgomento si fa strada in me sulla strada verso casa.
Qualche sms di auguri, di quelli veri, sul mio antidiluviano telefono Nokia, mentre il tablet in dotazione sul taxi continua a emettere segnali, di nuovi messaggi e commenti pubblicati su Facebook.
Pochi si sottraggono alla tentazione di scrivere frasi d’auguri, condite da immagini rubacchiate in rete o faccine sorridenti, nel desiderio di ricevere in risposta tanti riconoscenti attestati di simili auguri, e sentirsi un po’ più vivi, e partecipi, e solidali.
Qualcuno, nell’ambito del gruppo Facebook dei colleghi tassisti, lamenta il blocco dell’applicazione WhatsApp; la cosa mi riguarda ben poco, dato che i miei corrispondenti in quella modalità, appunto tramite il tablet, si contano sulle dita di una mano.

Ed è proprio per questo che, improvvisamente, rimango molto sorpreso da quel tipico fischio umano modulato elettronicamente, segnale appunto di un messaggio in arrivo.
All’uscita dalla rampa della tangenziale mi fermo appena possibile, con un lieve incremento delle pulsazioni cardiache, apro l’applicazione e leggo, in corrispondenza di un numero di telefono sconosciuto, preceduto da un’icona con i colori dell’arcobaleno:
“Ce l’abbiamo fatta anche questa volta, uff, le contact est restauré, sono intervenuta personalmente su un server in Argentina per sbloccare l’applicazione. Comment ça va?”
Digito un po’ furiosamente:
“Bene, mia cara, ero in pensiero, ma ora va meglio. Che intenzioni hai quest’anno, mia Signora di Baux?”
“Ecoute-moi, ascoltami bene. Ti farò un piccolo esame sui nostri incontri passati, sei pronto?”
“Ma certo, madame” rispondo, sperduto in quest’angolo desolato della prima campagna nell’ultima notte dell’anno.
“Ricordi che tempo faceva quando ti sono apparsa la prima volta, e sono entrata nel tuo taxi?”
“Come no, pioveva che Dio la mandava.”
“Bravo Francesco, dunque acqua, n’est-ce pas?”
“Acqua, certo.”
“E poi, l’anno seguente, ti rappelli, ti ricordi?”
“Dunque, sì, è stato l’anno di quel fantastico falò ai Giardini Margherita, e tu e io a danzare intorno al fuoco, era il Capodanno del 2011.”
“Très bien, le feu, il fuoco. E l’anno seguente?”
“Ricordo bene anche quello: mi lasciasti invano ad aspettare nello stesso prato, in una gelida e cupa notte in balia dei miei ricordi, finché non cedetti a un insano torpore.”
“Sdraiato sulla terra, n’est-ce pas? Dunque, acqua, fuoco, terra. Che cosa abbiamo lasciato in sospeso in tutti gli anni seguenti?”
“Facile, amica mia: l’aria. Manca un Capodanno d’aria.”
“Bravo, mon ami. Il 2016 sarà il nostro Capodanno d’aria, di un’aria fine e luminosa. Solamente una cosa devi dirmi: qual è il messaggio che vorresti mandare alla faccia del mondo?”
“Mah… Qualcosa come: ‘Siamo tutti dei poveri stronzi’ potrebbe andare?”
“Perfaitement, mon ami.”
“Ma quando ci vediamo, come?”
“Prima di quanto tu credi, attendimi! ”
“Va bene, ti aspetterò ancora un po’, come sempre, Christine.”

E’ passata da poco la mezzanotte, e mi chiedo con insistenza quando e come lei stia per riapparire, puntualmente, nella mia vita.
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