Come sempre, trascrivo in anteprima sul blog l’articolo per la rivista della Co.Ta.Bo. che ho appena terminato e inviato per la prossima pubblicazione.
Per una volta, anche perché a corto di nuovi spunti di fantasia, ho approfittato del pubblico abbastanza nutrito della rivista, che fra l’altro è generalmente benevolo nei confronti dei miei scritti, per rifilargli a tradimento una piccola bordata a carattere ecologico (e nascostamente autobiografica), che sicuramente piacerà meno dei consueti soavi raccontini…
Il collega vegano
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Il locale era un po’ chiassoso, nella serata di punta del venerdì.
Armando, in arte Capànnori-10 (*), lasciava andare la testa a sensazioni un po’ vaghe, alternate all’intenso e inebriante sapore del mascarpone al cioccolato, degno finale di un’ottima cena solitaria e parzialmente trasgressiva, come quasi tutti i venerdì si concedeva.
Nelle altre sere di lavoro, infatti, portava con sé e si fermava qualche minuto a consumare (peraltro con vantaggio di tempo, denaro e salute), le insalate vegane che preparava con cura prima di uscire per il suo turno di lavoro: patate lesse, porro, mandorle, spezie e olio di semi di lino; oppure pane integrale di farro (comprato in uno dei mercatini contadini dell’associazione ‘Campi aperti’) inzuppato in un minestrone di verdure cotte e crude, noci e olio di oliva a marchio IGP; oppure ancora riso integrale o altri cereali, sempre con ottime verdure biologiche di stagione.
Era diventato vegetariano, poi gradualmente vegano (che significa rifiuto non solo di carne e pesce, ma anche di latte e derivati, uova e derivati), spinto dalla sua antica consapevolezza sulle ricadute ambientali di ogni nostra azione. “La vera politica” ripeteva, “si fa con il portafogli e le scelte d’acquisto.” E aveva appreso già da molto tempo quanto il modello di alimentazione basato sugli allevamenti sia divoratore di risorse (acqua e foraggio per gli animali, mentre ogni giorno muoiono di sete e di fame circa ventiquattromila esseri umani, soprattutto bambini, un’enorme strage quotidiana ignorata sistematicamente dai media), di ambienti (foreste distrutte per nuovi pascoli) e, conseguentemente, degli equilibri climatici necessari alla vita dell’uomo.
Solo in un secondo tempo, soprattutto dopo un incontro pubblico col dottor Vasco Merciadri, aveva appreso quanto l’alimentazione vegana sia anche la più adatta fisiologicamente al nostro organismo, e ne aveva sperimentato i benefici sulla sua stessa salute, confinando definitivamente al passato raffreddori, influenze, allergie e altri acciacchi.
A differenza della maggior parte del popolo vegano, che aveva visto diffondersi sorprendentemente negli ultimi anni, Armando però non era intransigente: si diceva che qualche trasgressione, come quella del venerdì, non inficiava il suo modello che, rapportato su scala mondiale, sarebbe stato del tutto sostenibile e avrebbe evitato tutte le catastrofiche conseguenze di quello attuale, comprese le orrende crudeltà inferte agli animali negli allevamenti intensivi.
La sua cena del venerdì, in locali sempre diversi che scopriva tramite ‘Tripadvisor’, era composta quasi sempre da una pastasciutta, un contorno e un dolce; i piatti di carne proprio non lo attiravano più.
In questo modo si era fatto una certa cultura su trattorie, osterie e ristoranti, cosa che gli permetteva anche di indirizzare con piacere, e senza superflui scrupoli ecologici, i suoi clienti che gli chiedevano consiglio.
Parlava delle sue scelte alimentari solo nei rari casi in cui una conversazione con i passeggeri lo portasse spontaneamente a farlo, e aveva notato che, così facendo, aggiungeva valore ai suoi discorsi e interesse autentico negli interlocutori.
Quel venerdì, dicevamo, Armando si stava concedendo pigramente qualche minuto di benessere e senso di svagatezza, alimentata dal sapore paradisiaco di quel mascarpone; sapeva bene che il lavoro non sarebbe mancato, nelle ore dopo la mezzanotte, tanto che, nonostante la pausa, era quella solitamente la sua serata settimanale più redditizia.
Una ragazza dai capelli corti e dalle braccia completamente tatuate, seduta a un tavolo non lontano, improvvisamente si mise a cantare un’antica nenia nella lingua di un qualche Paese lontano, accompagnata alla chitarra da un giovane barbuto, e la sua voce si impose sul brusio di fondo.
Armando si lasciò rapire da quella nuova suggestione, ponendosi in religioso, totale e devoto ascolto di quella voce e presenza affascinante.
Ben presto se ne accorse anche lei e gli rivolse completamente il suo sguardo e il suo sorriso, mentre il capo si muoveva soavemente in accordo con la melodia.
Fu solo la durata di una canzone, prima che sia lei che Armando tornassero ai pensieri, ai rapporti e alle cose della loro quotidianità, ma bastò tuttavia a fargli perdere del tutto il senso del tempo, e di tutte le ansie sue e del mondo intero.
In quella voce melodiosa, in quel contatto di sguardi e di anime, la vita vibrava ancora, intatta nella sua imprevedibile magia.
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(*) La cittadina di Capannori, in provincia di Lucca, è da molti anni un esempio di buone pratiche ecologiche collettive.
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Immagine da: campiaperti.org/2013/10/07/petizione-per-un-mercato-di-campiaperti-in-piazza-verdi-2/