Itinerario: Borgatella di San Lazzaro – Botteghino di Zocca – Pianoro Nuovo – Sasso Marconi
(21 luglio 2016)
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La prima tappa del mio viaggio ‘dal Savena all’Arno’, poco più di un anno fa, terminò nella fornace di una stanza d’albergo di Pianoro Vecchio, dove passai un pomeriggio e una notte di autentico inferno.
…Scottato dall’esperienza, ho prenotato quest’anno, come primo alloggio per la mia nuova avventura escursionistica, un albergo dotato di aria condizionata.
Ed ora mi godo il fresco di questa stanza, alla ‘Locanda Tre Virtù’ di Sasso Marconi, mentre mi riposo dalla fatica su un letto che, morbido com’è, rappresenta un autentico attentato alla colonna vertebrale. Dalle mie riminiscenze di greco antico, lo definirei ‘cacopedico’…
Ma riavvolgiamo il nastro di questa prima giornata.
La prima giornata prevedeva lo stesso percorso fino a Pianoro, ma con un prolungamento di oltre dieci chilometri, di salita e discesa, fino a Sasso Marconi. Dunque un inizio decisamente impegnativo, in cui il piacere del viaggiare a piedi è stato limitato, prima ancora che dall’affaticamento muscolare e dall’indolenzimento ai piedi, dal senso costante di una verifica delle mie condizioni in prospettiva dell’intero viaggio, che quest’anno prevede undici assai sostanziose tappe.
Pochi giorni prima della partenza, avevo scoperto che Google Maps mi proponeva un itinerario più breve di oltre un’ora di cammino, e la cosa mi ha lasciato molto indeciso, ma alla fine ho preferito ripercorrere le tracce solcate un anno fa, per l’incentivo psicologico che questo rappresenta ai fini di un buon esordio. Siamo creature impregnate di ritualità, in fondo.
Dunque eccomi, proprio come l’altro anno, a solcare gli stradoni deserti fino ad accostare il cimitero di San Lazzaro, poi verso Mura San Carlo, mentre è ancora notte, con la sola differenza di una luna che sembra proprio piena e che mi sta di fronte come un faro.
Assaporo l’aria fresca, il silenzio incantato, rotto magicamente solo dai versi degli uccelli notturni.
La mia andatura, nonostante lo zaino che mi pesa un po’ sulle spalle, è molto sostenuta, interrotta solo da alcuni tentativi di fotografie notturne, con esiti fallimentari. Come l’anno scorso il pensiero di condividere l’esperienza, con gli amici che mi seguono con interesse e affetto, è una costante del viaggio; anzi, mi accorgo che questo aspetto è diventato ancora più influente, segno dell’abitudine che stiamo contraendo un po’ tutti a essere connessi continuamente, nel bene o nel male.
All’imbocco della valle dello Zena comincia ad albeggiare. La luce del giorno che cerca piano di imporsi mi sembra un’intrusa, vorrei cacciarla.
Oltre a qualche ciclista, compaiono le prime automobili, di chi prima degli altri si reca a lavorare. Mano a mano che il traffico cresce, avverto tutta l’angoscia dell’organizzazione dell’attività lavorativa, con i suoi inesorabili condizionamenti a stati di relativa ma penosa schiavitù standardizzata.
Sapere di avere un traguardo più lontano mi fa sembrare più lunga, una sorta di insofferenza, la strada percorsa con curiosità e meraviglia lo scorso anno.
Finalmente il bivio per Pianoro, e la salita si fa più decisa, mentre lo sguardo, e le fotografie, si posano su un dolce panorama collinare, colpito obliquamente da un sole neonato che per ora non invia le sue vampe anticicloniche.
Il mio passo in salita è rallentato molto, ma si mantiene comunque regolare.
Sono le sette e un quarto, tre ore dopo la partenza, quando mi sembra di essere in cima al valico che precede la discesa verso Pianoro, e festeggio l’evento allontanandomi su una laterale dalla strada ora fastidiosamente trafficata. Mi tolgo lo zaino e mi concedo una succulenta merenda.
Ecco finalmente Pianoro, laggiù. In breve tempo mi ci calo, e mi ritrovo, come l’anno scorso, nell’atmosfera particolare di un placido paese di collina che riprende il suo ritmo giornaliero.
Un bar, il mio desiderio quasi proibito, una tranquilla sosta, un tè al limone… E invece niente, lungo le strade verso la via Nazionale, poi lungo la stessa in direzione di Bologna, nemmeno l’ombra di un bar. Anzi, il sospetto di aver mancato il bivio per Sasso mi costringe ad accendere il tablet e a consultare Google Maps.
La cosa si rivela utile anche perché mi viene indicato, dopo un altro tratto della strada statale che sto percorrendo, un bivio per un piacevole percorso pedonale molto selvaggio verso il fiume Savena.
Mi ritrovo poi nella frazione di Pian di Macina, con la sua atmosfera strapaesana e, sorpresa, un piccolo agognato bar pasticceria.
Cerco di ricaricarmi, con un tè e due ottime pastine seduto all’unico tavolino interno, prima della parte finale, una lunga salita e discesa, sotto un sole che ora si fa sentire, che mi porterà a Sasso Marconi, quante volte l’ho percorsa in macchina…
La affronto con passo tranquillo, il sole mi scalda ma non mi fa sudare troppo, è quasi piacevole. Solo gli alluci cominciano a lamentare la loro schiavitù.
Il cartello che indica Sasso a cinque chilometri è una piacevolissima sorpresa, ora si scende. La discesa sembra molto più lunga, le gambe e i piedi sono molto affaticati, mentre mi ritrovo stampato sul viso uno strano sorriso estatico e un po’ ebete…
I giganteschi piloni dei ponti sul Reno meritano una fotografia come si deve, di quelle con la fotocamera (che scoprirò, ahimé, con l’obiettivo un po’ appannato).
Di lì a poco, quasi magicamente, compare l’insegna della Locanda delle tre virtù. Sono le undici e dieci, sono passate quasi sette ore dalla partenza.
Entro nella stanza fresca, accogliente. Una doccia sortisce il suo miracoloso effetto, poi mi riposo un po’ prima di ritrovarmi davanti a un succulento piatto misto vegetariano, in un tavolino all’aperto su un bel giardino interno molto verde, mentre altri commensali parlano serenamente fra loro, fra un tavolo e l’altro.
Momenti dolci…
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