Dal Savena al Tirreno – Seconda tappa

Itinerario: Sasso Marconi – Monte San Giovanni – Savigno
(22 luglio 2016).

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La stanza di questo albergo ha qualcosa di tradizionalmente e molto dolcemente casalingo: il comò dai tre grandi cassettoni ondulati, sopra la cui vasta superficie troneggia un vaso zeppo di sgargianti fiori di plastica; accanto, un altro tavolino di legno in stile antico, alto, scheletrico, che sorregge un piccolo televisore di quelli di una volta, col tubo catodico; un divano letto ai cui piedi sta una cassapanca cubica di un insolito colore azzurro, che è poi anche la tinta dominante alle pareti…
Stranamente non si soffre troppo il caldo, anche senza aria condizionata, e questa volta il lettone, con le sue lenzuola linde, è proprio confortevole, sostenuto al punto giusto.

Su quello cacopedico, la scorsa notte, scomodo com’era, ho dormito pochissimo, e mi sono alzato presto, senza tuttavia accusare le due successive notti quasi insonni: miracoli di questa speciale vacanza…!
Colazione alle sette, prima non la servivano, ho scacciato dal mio animo la recriminazione di non poter sfuttare le ore più fresche di una giornata prevista molto afosa: prendiamola con calma, perché no?

E alle sette e venticinque è cominciata la mia seconda marcia di avvicinamento al percorso dell’antica Via Vandelli, che raggiungerò fra altri due giorni a Pavullo nel Frignano.

Avevo comprato la cartina dei sentieri anche di questa zona, in fase progettuale, ma avevo poi dovuto arrendermi all’evidenza: da Sasso Marconi a Pavullo bisogna camminare su strade asfaltate. Quella di oggi, in particolare, tendevo a considerarla un male necessario: molto lunga e poco attraente.
La sorpresa è stata dunque grande quando, dopo le prime ore di cammino, mi son ritrovato felice, a dubitare di poter replicare, per tutto il resto di questo mio viaggio, il senso di gioiosa scoperta e il puro piacere dell’escursionismo che stavo sperimentando…
Il merito è in parte del senso di confidenza nei miei mezzi acquisito ieri, dopo l’impegnativa prima tappa, ma soprattutto è di quel diabolico strumento chiamato Google Maps, che, accantonata l’inutile cartina dei sentieri, mi ha guidato nella definizione del tracciato.

In particolare, di una sua opzione: nel chiedergli di indicarti i percorsi ottimali fra due diverse località, gli si può dire: guarda che vado a piedi. Quello che allora estrae dal cilindro, ho scoperto oggi, può essere davvero magico e imprevedibile.

Non importa essere tassisti, a Bologna, per sapere che dalla Rotonda Biagi di Casalecchio si divaricano due strade, la Porrettana che segue il corso del fiume Reno a sinistra, e la Bazzanese, con le sue successive derivazioni, a destra. E che per svalicare da una all’altra bisogna passare per Mongardino.
Avevo in tasca un foglio, l’avevo preparato ieri sera trascrivendo la lista dettagliata di indicazioni stradali fornitami, appunto, da Google Maps, per andare a piedi da Sasso Marconi a Savigno, e seguendole ho scoperto che fra le due direttrici in questione c’è un mondo, e tante piccole strade quasi deserte che permettono di evitare quell’unico percorso abituale. Unico prezzo da pagare, dislivelli più ripidi e continui, in salita e in discesa.
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la bella p
È un prezzo che paga volentieri chi si sente in buone condizioni di allenamento, ma soprattutto è qui proprio per fare escursionismo, nella sua accezione letterale.
E così, percorrendo in salita e discesa misteriose strade chiamate via Castello, via Rasiglio, via Scopeto e altro ancora, ho solcato vaste zone di scarsa e interessante urbanizzazione, mentre quasi come un bambino mi sentivo pervaso da sensazioni felici.

il castello p

Tanto che a un certo punto ho provato il desiderio, istintivo e gratuito, di comunicare a qualcuno il mio stato d’animo. La scelta, fra le persone in grado di capirlo, è caduta su mio fratello, a cui ho mandato un breve sms gioioso, stemperato, per così dire, solo da una finale battuta scherzosa. Dopo pochi minuti la risposta, sulla stessa lunghezza d’onda.

Anche con il foglietto-vademecum, tuttavia, si può sbagliare strada, e invece dell’attesa deviazione per Via Ca’ di Fabiani, salendo ripidamente, mi son trovato presso l’entrata di un minuscolo cimitero, dopo di che la strada diventava sterrata, in discesa e, quel che è peggio, preceduta da una buchetta delle lettere privata.
Google Maps aiutami tu! Accendo il tablet e vengo a capo della mia deviazione errata. Meno di mezz’ora di percorso aggiuntivo, che comunque mi peserà nella parte finale, interminabile.

la gialla p

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Proprio là dove la rete di vie secondarie si butta, arrendendosi, sulla Fondovalle del Lavino, quella che porta a Tole’, compare, invitante, un chiosco di frutta e verdura molto ben fornito.
Senza esitazione vado a fare acquisti. La signora, particolarmente rispettosa, mi invita a osservare e scegliere con comodo. Decido per sei albicocche e altrettanti panciuti fichi color ruggine.
Le chiedo se posso fare una foto alla baracchina.
Accetta e si mette sorridendo in posa.

la fruttiven p

Con molta spontaneità iniziamo a dialogare. Ha lo sguardo profondo, la faccia e le spalle appena un tantino larghe le conferiscono un senso di equilibrio e profondità.

Mi dice che sicuramente sono passato dalla loro azienda agricola, quell’inconfondibile casa gialla.
Mi parla della ricerca del silenzio, sfondando davvero una porta aperta. Mi racconta del recente innamoramento di suo figlio di otto anni per la montagna.
È un incontro bello e insolito, per comunanza di idee e di sentire. Cosicché alla fine mi viene spontaneo e gratuito dirle che mi farebbe piacere che leggesse il mio diario di bordo, basta avere un accesso su Facebook. Conferma di averlo, così le lascio il mio nome e cognome, che lei annota. E, nel salutarla, le chiedo anch’io come si chiama. Mi risponde, amichevolmente, col suo nome di battesimo.

Il bello e imprevisto incontro segna nettamente, come l’intervallo di una partita di calcio, l’inizio della seconda parte della lunga tappa di oggi.
A differenza di tutto il percorso fin qui, ora bisogna risalire, con pendio continuo e appena percettibile, una strada larga, percorsa da un traffico rapido, in una valle aperta e urbanizzata, quasi costantemente.
E l’afa ora picchia.
Cerco di prendere la situazione di petto, con un’andatura molto decisa, per abbattere in fretta i molti chilometri ancora rimanenti. Ad aiutarmi le ‘droghe pesanti’ appena comprate, che consumo quasi completamente, a passo di marcia.

Ancora due incontri, estemporanei.
Un giovane nero cammina in direzione opposta alla mia, trainando un carrello pieno, probabilmente, di tutti i suoi averi. Mi guarda un po’ sfuggente; sono io, nell’incrociarlo, a rivolgergli un sonoro “buongiorno!”
“Ciao” mi fa, abbandonando solo in parte la sua espressione diffidente.
Più avanti, vedo rallentare e arrestarsi una vettura che sta scendendo, sulla corsia più lontana rispetto a dove cammino.
È una giovane donna, mi chiede se voglio un passaggio.
Devo avere un aspetto piuttosto trafelato, perché sia disposta a invertire la marcia solo per aiutarmi.
Rimango un attimo spiazzato. “No, cammino volentieri!” le dico poi, riuscendo appena in tempo a ricambiare la sua generosità con un sorriso altrettanto gratuito.

La prevista deviazione a destra non arriva mai. Decido di fermarmi sotto una quercia, per tornare a consultare il mio assistente telematico.
Manca ancora più di un chilometro.
Le mie condizioni, e relativa baldanza, hanno ora un vistoso calo; procedo molto più cauto.
La deviazione è una strada in salita che porta dalla Valle del Lavino a quella del Samoggia.
L’affaticamento ormai vistoso non mi impedisce un passo lento ma cadenzato, che mi accompagna fino al valico.
In discesa sono sempre più stremato, ma riesco ugualmente ad apprezzare un panorama di un’ampiezza spettacolare.
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il palo p

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Passato finalmente il fiume mancano solo due chilometri a Savigno, ma è per me una via crucis che sembra non finire mai.
Il paese, in cui non sono mai stato, è un po’ defilato rispetto alla Fondovalle.
E per questo si presenta con un’atmosfera dolcemente quieta.
La stessa che ha cullato il tempo speso a riavermi dalle sette ore e un quarto di fatica, e poi a dedicarmi a questo lungo racconto.

Per tutto questo tempo, e ancora adesso che sono le dieci di sera, la colonna sonora non è stata di motori, ma di pensionati che combattono la noia, fuori dal bar della pensione, discorrendo pacatamente, ma ad alta voce, in dialetto.
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Informazioni su Franz

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