Itinerario: Rifugio Nello Conti – Resceto – Massa
La lunga discesa verso il mare è il tratto che, fin dalla prima fase progettuale, mi aveva dato i maggiori grattacapi: mi preoccupava tutto quel dislivello e la scarsità di posti tappa utili per il pernottamento. Alla fine avevo annotato solo due recapiti: un bed and breakfast in posizione abbastanza strategica ma dotato di sole tre camere, tutte matrimoniali, e un unico albergo trovato nella città di Massa (dove evidentemente non c’è offerta data la vicinanza alla costa), che comunque mi avrebbe obbligato a una preoccupante discesa di millequattrocento metri di dislivello, e tanti chilometri.
Massimo, intenzionato logicamente a rincasare a Forte dei Marmi in giornata, avrebbe comunque potuto sfruttare l’autobus dal primo paesino, Resceto.
La sera della sesta tappa, chiuso in camera a Sant’Anna Pelago, mi ero deciso a prenotare per il sabato di questo mio ultimo pernottamento in albergo. Niente da fare per il bed and breakfast, come immaginavo; avevo chiamato l’hotel di Massa.
Mi ha risposto un tipo dal forte accento tedesco e dai riflessi, per così dire, un po’ appannati.
Quando, scandendo le parole, son riuscito a far capire la mia esigenza, si è messo a consultare il computer e dopo mille difficoltà mi ha detto che no, la singola non c’era. Allora gli ho chiesto una doppia uso singola. Dopo un’altra era geologica, finalmente la risposta positiva.
“Mi sa dire quanto viene camera e colazione?”
Pausa di concentrazione, e poi il responso: “Sono centotrenta oiro.”
“Ah no grazie è troppo, buonasera.”
Mi ero messo allora alla ricerca ansiosa e disperata, fra internet e telefono, di una qualsiasi soluzione alternativa che non stravolgesse il mio progetto di arrivare al mare, ed esclusivamente a piedi, il giorno successivo, la domenica. Ma senza successo.
Il sonno porta consiglio, e al risveglio avevo preso la decisione di prenotare la costosissima stanza: a mali estremi estremi rimedi e poi, in fondo, a Barigazzo me l’ero cavata solo con trentuno euro, cena compresa.
Strategicamente avevo aspettato le undici di mattina per richiamare, durante il cammino, sperando di trovare un altro interlocutore.
Un’altra voce tedesca, ma un po’ più sveglia. Forse la singola c’è, ma bisogna riprovare fra un’ora.
Dopo un’ora, poco prima di entrare nel bosco dove avrei ritrovato a sorpresa il selciato della via Vandelli, la singola c’era e l’ho fissata mentre anche il prezzo, come un titolo in borsa, era sceso a sessantacinque euro. Inutile dire il mio senso di liberazione e di festa.
Ma torniamo a noi: dunque, abbandonato il rifugio, cominciamo a scendere.
La mattina è luminosa, quasi alla pari del nitido splendore del giorno precedente.
Dopo un primo tratto su sentiero, scorgiamo un po’ più a valle la strada a serpentina, perfettamente conservata dopo quasi tre secoli. In realtà Massimo mi dice di aver letto di un’opera di restauro avvenuta qualche anno fa, e una lapide lungo il cammino conferma, e data negli anni ’90, l’intelligente operazione: lavori di muratura hanno rinforzato i bordi esposti a valle e protetto dalle frane quelli a monte.
Il colpo d’occhio della lunga via lastricata davanti a noi, che si snoda a placidi zig-zag, è impressionante.
Camminarci sopra è meno esaltante, però: il piede è sempre malfermo sopra i pur levigati massi, e non si può abbandonare una continua concentrazione.
Tuttavia, la continua pendenza permette di perdere quota abbastanza velocemente.
Una vera e propria montagna di detriti della lavorazione del marmo si mostra in tutta la sua orribile evidenza alla nostra sinistra, sul versante opposto.
L’arrivo al piccolo borgo di Resceto (quattro case, un monumento ai caduti con bandiera a mezz’asta, e il capolinea dell’autobus) avviene in tempi e fatiche molto contenuti rispetto ai miei vecchi timori: ci siamo già divorati quasi mille metri di dislivello.
Massimo ha deciso fin dall’inizio di accompagnarmi fino a Massa, e ora torna a mettersi le scarpe da asfalto.
La strada ora si incunea gradualmente in una valle boscosa, solcata da un fiume che, sempre più durante il nostro procedere, dall’alto della strada, vedremo ospitare bagnanti del sabato in costume, preparativi di barbecue, e addirittura un piccolo accampamento di tende.
Un corso d’acqua è sempre anche un corso d’aria, e la corrente fresca contrasta la temperatura che si è parecchio innalzata.
Si sta bene, e la bellezza di questo percorso fra due strette ali di bosco è una sorpresa per me, che l’avevo sempre considerato unicamente come problema escursionistico e logistico.
Un primo piccolo negozio, nel paesino successivo, dichiara in un cartello di offrire frutta, gelati, giornali e tabacchi.
Chiediamo alla signora se ha della frutta; lei si schermisce, ha solo dei meloni, evidentemente inadatti al caso nostro.
Riprendiamo il cammino, ma l’idea di un bel melone rinfrescante e rimineralizzante si rifà presto strada in noi; decidiamo di tornare alla carica ed entriamo nel negozietto.
“Volete che ve lo pulisca?”
“Sì, ma non importa che lo affetti, basta che lo tagli in due, poi ci pensiamo noi con i nostri coltellini.”
Lei capisce che ne vogliamo solo mezzo, ne estrae uno grosso dalla vetrina refrigerata, lo taglia in due parti, ne ripulisce una dai semi e ci fa il conto di due euro.
L’altro semi-melone è un po’ più piccolo, e correttamente, chiarito l’equivoco, lo valuta un altro euro e mezzo.
Intanto, una vera e propria processione di persone, spuntate da chissà dove, ha riempito gradualmente il locale prima deserto, dandoci un certo disagio per le nostre complesse operazioni.
Poi, senza che riusciamo a fermarla, la donna avvolge i due freschi emisferi in fogli di alluminio dall’enorme impatto ambientale.
Ce li affettiamo e divoriamo con grande piacere, seduti ai bordi della strada, poi spariamo le bucce sulla scarpata boscosa verso il fiume e riprendiamo il cammino rinfrescati e con le dita fastidiosamente piccicose.
Aumentano i bagnanti in atmosfera di vacanza, e la strada si avvicina sempre più alla pianura che separa i monti dal mare.
Una fabbrica di lavorazione del marmo: una grande sega automatica in piena attività sta affettando un blocco, mentre un flusso d’acqua continuo ne attutisce l’attrito, trasformandosi nella ricaduta in un lattice biancastro.
La pianura, l’aria ferma e canicolare di una mattina di fine luglio, i dintorni poi la periferia di Massa. Ora bisogna trovare la strada per il mio albergo a gestione tedesca. Per sicurezza lo richiamo, con la scusa di avvertire del mio prossimo arrivo: tutto sotto controllo.
La luce abbagliante rende però impossibile utilizzare il tablet per la mappa del percorso, bisogna cercare un posto al coperto; una lavanderia a self-service è proprio qui all’angolo che ci aspetta, deserta e dotata addirittura di sedie e tavolino.
Quando Google smette di fare i capricci, i peggiori sospetti che il nome dell’albergo (San Carlo) avevano destato nel mio amico si fanno realtà: si trova presso le terme di San Carlo, al culmine di una lunga e ripida strada, da lui e da tanti altri ciclisti preferita per gli allenamenti più duri. Qualcosa come tre / quattrocento metri di dislivello.
Massimo è desolato: “Lassù non ti accompagno!” Invece io la prendo bene, lo tranquillizzo, nei giorni scorsi ho fatto di peggio. L’attacco della salita è molto vicino, e lui mi ci guida senza bisogno di aiuti tecnologici.
Un ‘selfie’ per consacrare il nostro saluto, l’appuntamento alla sera stessa quando, con Noela, mi raggiungerà in macchina e porterà a cena in zona, e lo vedo avviarsi verso la stazione.
E comincia la mia battaglia contro la lunga salita e i suoi tornanti.
La affronto di petto, ed energie davvero inaspettate mi permettono di procedere a passo molto deciso di marcia, col tablet in mano, sfidando i minuti mancanti che Google Maps scandisce all’arrivo.
Cinquanta minuti di sfida, col panorama che torna ad aprirsi sulla città di Massa sotto il sole del pomeriggio, e il mare che si estende sullo sfondo, e giungo un po’ trafelato ma felicissimo nella piazzetta del borgo di San Carlo, in vista del mio albergo.
Entro nella sala deserta, dopo aver cercato alla meglio di recuperare un aspetto presentabile.
Mah, mi sembra la testa di un uomo, quella nascosta dal computer laggiù allo sportello dell’accoglienza, in fondo alla sala deserta.
E’ una testa rotondeggiante, sembra il viso di un hobbit.
“Buonasera” risponde al mio saluto col solito accento tedesco. “Aspetti un momento per favore” e continua a dialogare con lo strumento elettronico.
Finalmente mi degna della sua attenzione.
“Sono Selis, ho prenotato una singola.”
“Sì, vediamo.”
Lungamente vede; poi, con mio sollievo, pronuncia il mio nome (forse il cognome è troppo difficile).
“Quanto si ferma?”
“Una sola notte.”
“Ah sì, è vero. Mi dà, per favore, un documento?”
Gli porgo immediatamente la carta d’identità. Che viene osservata, fotocopiata, registrata in tutti i suoi dettagli. Due firme per favore.
“Benissimo. Le chiedo ora, per cortesia, il pagamento anticipato, perché la mattina c’è molta konfusione.”
“D’accordo, quant’è?”
“Trentanove oiro.”
Gioisco in cuor mio senza lasciarlo trapelare: il fixing odierno vede la quotazione ai minimi, quasi cento euro sotto i centotrenta di qualche sera fa!
Estraggo una banconota da cinquanta e gliela porgo. Mi dà il resto di un euro, poi torna al computer per convalidare la tessera elettronica che funge da chiave.
“Guardi che non mi ha dato i dieci euro, me ne ha dato solo uno.”
La reazione è di irrigidimento, quasi di collera: “Guardi che il prezzo concordato è questo: è scritto anche nel booking!”
Cerco immediatamente di ammansirlo, evidentemente non avevo considerato l’oscillazione di chiusura della giornata di borsa…
Mi indica il numero della stanza e le scale; devo chiedergli io a che piano si trova.
Poi aggiungo: “Scusi c’è il wi-fi?”
“Sì.”
“Mi dà la password, per favore?”
Accede al suo maledetto computer e mi stampa una lunga strisciata dove, da qualche parte che non mi spiega, è scritto anche qualcosa di simile a un nome di utente e una password.
Con molta diffidenza appoggio la scheda al presunto lettore sulla serratura della porta, che reagisce con un incoraggiante gemito elettronico.
Ma poi, come avrei scommesso, si rifiuta di aprirsi.
Mi tocca, molto controvoglia, di tornare dall’hobbit, il quale mi accoglie sorridendo, bontà sua, e mi riaccompagna su: “Sa, qualche tessera a volte non funziona.”
E invece, nelle sue mani, chissà come, funziona benissimo. Come fossi un impedito mi spiega come si fa.
Una camera piuttosto piccola, con un letto singolo (molto comodo) e dotata di frigo-bar ma non di aria condizionata, mi accoglie finalmente. Mi tolgo un po’ di roba di dosso, mi rinfresco il viso, poi provo subito a collegarmi al wi-fi. Mi si aprono tre finestre nel browser, l’ultima delle quali chiede user e password. Provo a digitarla in vari modi, niente da fare.
Resto indeciso se rinunciare e utilizzare la mia connessione, ma c’è poco campo, mi tocca rivestirmi e tornare giù col tablet.
Mostro la situazione al simpatico portiere, e lascio che digiti lui, meticolosamente (pronunciandole piano, contemporaneamente, in tedesco) le lettere e le cifre della password.
Connessione stabilita.
Ringrazio e torno su; invocando San Carlo e tutti i santi, mostro la chiave elettronica alla serratura, che risponde col solito grugnito.
Abbasso la maniglia e la porta, grazie al cielo, si apre.
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