Tutti protagonisti !

salaserver

Le buone pratiche.
Così vengono da tempo definite, dai fautori della ‘Decrescita felice’, delle ‘Città in Transizione’, dell’ ‘Economia della felicità’, o comunque da chi è sensibile all’allarme ecologico, le azioni e abitudini quotidiane, personali, eseguite per minimizzare l’impatto ambientale del nostro stare su questo pianeta.

“Faccio la raccolta differenziata!”; l’ho sentito dire spesso , con l’aggiunta, a volte esplicita, a volte sottintesa, di non sapere che cos’altro fare per l’ambiente.
Chi invece si è liberato, con la conoscenza e la coscienza, dalla gabbia del consumismo che continua a imprigionare gran parte della popolazione, si rende ben conto di quanto ogni nostra azione, scelta, gesto, vada riconsiderato in funzione del relativo impatto ambientale, anzi, per meglio dire, contributo alla devastazione in corso del nostro habitat.
E’ in primo luogo con le scelte d’acquisto, che possiamo renderci corresposabili di questa corsa al suicidio collettivo, o invece aggiungere i nostri mattoncini alla costruzione di un modello di salvaguardia ambientale e, volesse il cielo, di inversione di tendenza.
Fra le scelte d’acquisto, poi, quelle alimentari hanno il massimo impatto: la rinuncia alle proteine animali è una scelta infinitamente più efficace rispetto alla pur doverosa raccolta differenziata, a differenza della quale ha anche un impatto estremamente benefico sulla nostra salute.
A parte questa sommaria scala di priorità, resta il fatto che chi, come dicevo, ha conoscenza e coscienza, tende a interrogarsi e a migliorarsi in ogni altra azione quotidiana.

C’è un ambito, tuttavia, che tende facilmente a sfuggire a questo tipo di attenzione.
Si tratta di un fenomeno relativamente recente, di cui ci siamo abituati, con estrema facilità, a essere gli attori: milioni, miliardi di attori protagonisti…
Qualcuno avrà forse indovinato: sto alludendo al cosiddetto ‘Web 2.0’, cioè la possibilità di pubblicare in rete i nostri personali contenuti, da un semplice ‘mi piace’ su Facebook, a un articolo su un blog come questo, alle innumerevoli miriadi di commenti, richieste a Google, messaggi privati, conversazioni tramite WhatsApp, immagini, filmati, che ogni secondo vengono memorizzati in un qualche server, sulla cui posizione geografica non abbiamo la minima idea.

Anche in questo caso è utile fare delle distinzioni: la quantità di memoria necessaria per un filmato è enormemente maggiore di quella per una singola immagine, che a sua volta lo è rispetto a un testo, e infine quella di un testo lo è rispetto a un ‘flag’ (termine informatico che sta per ‘indicatore’) di ‘mi piace’.
La cosa che, pensandoci, lascia stupefatti, è il senso di illimitatezza dei supporti fisici (‘hardware’) che ospitano una massa inimmaginabile e continuamente crescente, a livello mondiale, di contenuti, che non vengono cancellati e sono consultabili anche a distanza di molto tempo.

Siamo agevolati, nell’acquisire la spontaneità di questo utilizzo illimitato e gratuito della rete, da chi evidentemente ha interesse che ciò avvenga.
E questo qualcuno, questo convitato di pietra, ci trasforma segretamente da attori protagonisti a fornitori compulsivi di indicazioni sulle nostre idee e preferenze, che possono essere sfruttate a fini commerciali, per pubblicità sempre più pervasive.
Senza poi spingermi a immaginare come questo nostro collettivo vomitare notizie su noi stessi possa funzionare anche a fini di controllo sociale e politico, mi limito a osservare che comunque ci rinsalda in un’attitudine spensierata di sfruttamento di canali espressivi, di divorazione personale di spazi per l’espressione, e dunque in qualche modo ancora di consumatori.

E, per tornare al tema delle buone pratiche da cui siamo partiti, si tende anche a non considerare, per scarsa conoscenza e coscienza, l’impatto ambientale di questi giganteschi e apparentemente infiniti ripostigli chiamati ‘server’: i materiali per la loro costruzione, l’energia per il loro funzionamento, e il calore che sviluppano, contrastato da climatizzatori energivori e letali per il riscaldamento globale.

Non ho informazioni su quanto questa marea crescente e incontrastata di contenuti sia destinata a continuare, prima di una crisi nelle risorse elettroniche atte a immagazzinarla.
Sono ben certo, tuttavia, che l’idea apparente di risorse infinite, a nostro uso e consumo, sia quanto di meno pedagogico si possa immaginare in un mondo devastato dallo stesso mito.
Solo se impariamo a fare abitualmente i conti con quello che ci offre e ci permette il nostro pianeta (in rapporto a ogni nostro gesto e abitudine), prima ancora di rimediare alle devastazioni, possiamo sperare in un futuro per l’umanità.

Questo stesso articolo, come accennavo, rientra senza eccezione in tale marea di contenuti, e io stesso non mi sottraggo dall’utilizzo dei social network e degli strumenti di comunicazione che hanno sostituito il telefono o la posta.
E mi accorgo di quanto sia più difficile assumere in questo campo quelle buone pratiche (ad esempio di riutilizzo, acquisti consapevoli, sobrietà, eccetera) che da molti anni mi impegno a sostenere.
Lungi da un atteggiamento talebano di censura di possibilità espressive così alla portata di tutti, e dunque di strumenti così straordinari di conoscenza, produzione e diffusione di notizie, idee, cultura, musica e arte, penso che sarebbe auspicabile fissare un limite di spazio informatico, a disposizione di ciascun utente della rete, magari soggetto a un piccolo pedaggio finalizzato a opere di risanamento ambientale.
Quando un utente ha esaurito il proprio spazio, è tenuto a cancellare parte dei propri vecchi contenuti.
Questo semplice criterio sì, sarebbe pedagogico, ci aiuterebbe a uscire dal mito delle risorse infinite; non solo, ma innalzerebbe, in modo quanto mai utile, il livello di ciò che viene attualmente immesso e pubblicato, cioè per lo più valanghe di banalità e sciocchezze.

E non sarebbe certo un male.

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Sul tema in questione, ho letto recentemente questo articolo.

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L’immagine iniziale è tratta da: cicioni.org/notizie/250-il-cuore-di-internet

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