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Come l’anno scorso, affido il mio tradizionale (e spudoratamente immodesto) ‘Messaggio Urbi et Orbi’ a una pagina del blog, che linkerò a quello di auguri, da inviarsi tramite mail e messaggeria ad amici e conoscenti vecchi e nuovi.
E come e più che mai l’intonazione di questo scritto sarà, sulla falsariga del sottotitolo del blog, “fra l’intimista e il sociale”.
La prima impressione netta, del mio 2016, è di un anno spezzato esattamente in due metà.
Della prima non ricordo assolutamente nulla, certamente a causa dell’intensità del vissuto e della portata di novità della seconda.
Che si è aperta con un’esperienza entusiasmante: il mio viaggio a piedi (per lo più in solitaria) di cui è facile trovare, poche pagine prima di questa, un dettagliato racconto.
Era la seconda esperienza, in anni recenti, di tal genere, e l’ho sentita così profondamente mia e vitalizzante che mi sono ripromesso che ripeterò imprese simili, spesso e volentieri, nei prossimi.
Poco dopo, mi ha fatto visita un inaspettato, lungo e profondo innamoramento, che mi ha fatto rendere conto che si può ritornare adolescenti anche durante il sessantunesimo anno di età. Il pudore, in questo caso, si sovrappone al carattere intimista di queste righe: posso solo accennare che, tralasciando i momenti più travagliati, un giorno mi sono ritrovato a piangere di gioia, esperienza certamente non frequente, se escludiamo gli occhi di certi teneri anziani, capaci di inumidirsi anche solo a fronte delle piccole emozioni quotidiane.
Quasi di pari passo è poi maturata, altrettanto inaspettata, un’importantissima novità, che, se il diavolo non ci mette la coda, si materializzerà nei primi giorni del 2017. In seguito a varie considerazioni, ho deciso di vendere la licenza di taxi, e sono riuscito nella non facile impresa. Dunque sto per vivere il periodo di festività di fine anno soprattutto come una vigilia della mia vita nuova di pre-pensionato, liberato finalmente dalla schiavitù del lavoro.
Come consuntivo dell’anno che sta per finire, almeno sul piano personale (e, per ripetermi, intimista) non ho dunque da lamentarmi.
Mi sono fin qui soffermato sulle mie vicende personali decisamente più a lungo che nei messaggi ‘Urbi et Orbi’ degli anni passati.
Se l’ho fatto non è solo per la loro rilevanza oggettiva nella mia vita, ma anche per un altro fattore, che segna una certa differenza dagli anni scorsi.
E’ una cosa che mi costa ammettere, ma un resoconto sincero non può prescinderne.
E’ che ho perso una buona parte dell’antico entusiasmo nella diffusione di messaggi a carattere ecologico, di informazioni e di coscienza finalizzate alla salvaguardia della nostra casa comune che stiamo rapidamente distruggendo.
Sarà anche il procedere della mia età anagrafica, ma, all’accettazione quieta di una sorta di ineluttabilità di tali processi distruttivi, si collega un maggiore interesse a ricavarmi una nicchia di benessere per le ultime stagioni della mia esistenza, un benessere peraltro di cui credo di essere in qualche misura creditore, per la vita tutto sommato non facile che ho condotto fin qui e fin dalla mia tenera e complessa infanzia.
“Riflusso nel privato” lo chiamavano negli anni ’80; difficile evitare un senso di ripugnanza verso quel fenomeno. Penso e spero che il mio caso attuale sia differente: un tantino più accettabile dal punto di vista etico.
Questo fatto non mi ha impedito comunque di partecipare, all’inizio di ottobre, a un importante convegno internazionale sull’ “Economia della felicità”, svoltosi a Firenze, alla presenza del fior fiore dei rappresentanti del pensiero della Decrescita Felice e dintorni.
Tutti i principali interventi sono consultabili in questa pagina (clicca qui); come si può vedere, il menu è ricchissimo. Segnalo i due oratori che, nonostante tutto, mi hanno coinvolto ed emozionato: Vandana Shiva e Serge Latouche.
Resta però il fatto che sono uscito dalla lunga giornata con un interrogativo un tempo a me sconosciuto: mi sono chiesto quanto davvero tutti quegli illustri ospiti credano davvero, ancora, nella possibilità di interventi correttivi e salvifici alla tendenza distruttiva del nostro habitat, che sembra procedere indisturbata o quasi.
Sono stato fin qui sincero, quasi spietatamente, verso me stesso.
E la stessa sincerità vuole che comunque, in maniera simile agli anni scorsi, non mi sottragga dal piacere di diffondere un messaggio positivo e propositivo, con cui termino questo scritto.
Fra le pieghe del convegno fiorentino, è comparso dal pubblico un uomo e ha preso la parola. Non è stato nemmeno ripreso dalla telecamera e il suo intervento non è dunque visionabile, ma forse è stato quello che più di tutti ha fatto breccia nel mio cuore e nella mia fantasia.
Ha detto, più o meno, quanto segue:
La Terra attrae, e lavorarci è fonte di benessere.
Il “Fare” insieme unisce, il “discutere” separa.
Ma non è solo per questo che ci siamo messi a fare orti, serre e semenzai.
C’è dell’altro.
Molto di più. C’è tutto.
Tutto è nato da conferenze sulle moneta, di cui la gente al 99% non sa nulla.
Dopo molto, abbiamo trovato la soluzione:
Ci siamo messi a zappare.
Siamo matti ? Il salto logico è grosso, in effetti, ma la scelta è molto, molto ponderata.
I nostri nemici non sono la Merkel, Renzi, Draghi, Prodi, D’Alema, la Gruber, Olly Rehn, Junker. ecc.ecc. Questi sono gli scagnozzi, senza potere proprio, senza nulla, figure di una recita, spesso ben fatta:
Sono bravi attori.
Il nostro nemico, e nemico del pianeta, è il grandissimo capitale.
Le multinazionali, siano esse del denaro,
intente a farcelo mancare,
della farmaceutica, intente a farci ammalare,
delle armi, produttrici di guerre,
delle sementi, fautrici di sterilità,
di menzogna, si son comprate i media ecc.ecc.
Dobbiamo agire dove non se l’aspettano, dove fa loro male.
Non comprando più da loro.
Autoproducendo il più possibile.
Loro hanno i cannoni, ma non sono attrezzate per i moscerini. Dobbiamo rimanere piccoli, ma diventare tantissimi.
Non ci vedranno, non capiranno. Sono già morti.
Noi invece vogliamo la vita.
Una vita di fiori, di fatica felice, di comunità, di orti, di scienza applicata, di scambi locali, di qualità, di silenzi e di risate, di paese, di bellezza, di amore, di libri, di legno, di profumi, di musica, di rapporti, di vecchi e di bambini, di verdure e animaletti, di alberi, di invenzioni, di attrezzi e conserve, di piantine che germogliano, di calli, di freddo e di caldo, di acqua e camino, di vino, di piccoli progetti e grandi risa, di salute e abbracci.
Insomma, il piano è questo:
—Da un lato produrremo cibo in quantità, e in questa direzione le scadenze sono dettate dai tempi dell’agricoltura, quindi semenzai, serre, preparazione terreni, piantinai,ecc.ecc.
— L’energia, il calore, è il secondo dei bisogni primari: facciamo e insegniamo a produrre stufe con pochissimi soldi, efficienti ed economicissime da gestire.
Presto studieremo nuove tecnologie nel campo delle rinnovabili e dell’efficienza energetica: c’è molta gente che non può più permettersi energia da fonti fossili.
Neanche il pianeta può ancora per molto.
— Il tutto gestito, insieme a ogni altra competenza, bisogno, lavoro, necessità, scambio, con un’economia basata su buoni di rete. Cioè crediti che ognuno può acquisire fornendo la sua opera: dall’idraulico alle uova, dal muratore al giardiniere, dal tenere i bambini all’accompagno, dalle lezioni di inglese al mettere le guaine sul tetto.
Faremo degli errori all’inizio, molte cose le facciamo per la prima volta, ma le competenze ci sono.
— Per il quarto, e forse primo, bisogno, cioè il senso di comunità e di solidarietà, noi, oltre a divertirci, non lasceremo indietro nessuno.
Questo è sicuro.
Questo è il nostro dovere.
Vogliamo questo e faremo questo.
Avete un’idea migliore ?
Questi sono gli intenti di www.resilienze.info
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Immagine da: seejay.cloud/accademiagalli/resilienza/
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