Dal Savena all’Alto Reno: epilogo

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Due sere dopo il mio rientro da Porretta, cerco di fermare il tempo, divoratore di tutte le esperienze, con qualche riflessione su quella che ho appena concluso.

E la prima che bussa alla mia coscienza è relativa all’aspetto climatico.
Rispetto ai due viaggi a piedi precedenti, la grande novità di questa (oltre alla percorrenza più breve) era appunto quella stagionale: mi piaceva poterla concludere in inverno, almeno stando al calendario delle stagioni astronomiche.
La scommessa è stata vinta, con un aiuto da parte del clima che posso ben definire spudorato: si è messo stabilmente al bello (e che bello: giornate limpidissime) dal primo all’ultimo giorno utile.
Nelle ore centrali della giornata, poi, complice anche quel po’ di quota collinare e di montagna che enfatizza l’escursione termica, ho vissuto la sorprendente sensazione di un’estate anticipata.
L’emozione di camminare in maglietta, su strade asfaltate, con la luminosità e soprattutto il calore del sole che riportavano ad altre stagioni, in contrasto con gran parte degli alberi ancora spogli, mi resterà a lungo impressa.
Spero che non aver dovuto fare i conti con nuvole, pioggia e aria fredda non mi abbia viziato troppo per il futuro.
E comunque, come ho confidato alle persone più care, di luce e calore sentivo un bisogno impellente, per cominciare a ricaricarmi dopo un inverno complesso, sotto tanti aspetti.

La seconda considerazione che mi viene da fare è il senso di conferma, netto, di questo tipo di esperienza.
Mi sembra, sempre di più, di aver scoperto una dimensione così vitale, autentica e salutare, che non potrò più farne a meno per il futuro, tanto più grazie alla totale libertà che ho felicemente conquistato dalla schiavitù del lavoro.
Forse, col tempo, dovrò scendere a patti con l’esigenza di spostarmi inizialmente da casa con mezzi pubblici, ma certamente limiterò il più possibile tali trasferimenti e comunque, per i prossimi progetti che ho in mente, il problema per ora non si pone.

E a proposito di conferme, ho ritrovato perfettamente certe sensazioni provate negli altri due viaggi, legate al continuo avvicendarsi e accumularsi, strada facendo, di paesaggi e situazioni.
E’ un po’ come leggere un libro, riga dopo riga, pagina dopo pagina: il ritmo umano e fisiologico del cammino porta ad avere i sensi aperti alla ricezione di quello che si svolge intorno; e il passare dei giorni, vissuti così, genera presto un senso quasi inestricabile di accumulo di ricordi a breve. Quanto provato solo due o tre giorni prima sembra lontanissimo.
Penso che sia un fatto molto salutare, legato all’improvviso e continuativo abbandono delle consuetudini quotidiane.

Ho rivissuto anche, nella terza lunghissima tappa, un senso di accumulo esagerato, di paesaggi e situazioni.
Non rinnego l’esigenza di progettare tappe lunghe (superiori ai venti chilometri di saliscendi), senza le quali verrebbe meno l’intensità di stare compiendo la piccola impresa di una traversata importante.
Dovrei però riuscire a non complicarmele ulteriormente con errori di percorso che, grazie alla stampa molto dettagliata delle mappe, questa volta pensavo che avrei evitato.
Resto tuttavia contrario all’utilizzo di attrezzi tecnologici più sofisticati rispetto al mio tablet: in fondo mi piace così.
E’ importante comunque progettare anche tappe più leggere, di decompressione, come si sono rivelate la quarta e la quinta (ed ultima) affinchè l’esperienza resti piacevole e non diventi stressante.

Altro aspetto che si è imposto, più che mai, è l’amore per la fotografia, sia a scopo documentativo (a corredo cioè del diario di bordo) che puramente espressivo.
La possibilità di eseguire scatti a volontà, che ai tempi della pellicola certamente non esisteva, ha dato anche il vantaggio di poter fare progressi in breve tempo, nell’attitudine a cogliere e perfezionare le inquadrature più significative. E i risultati incoraggianti confermano nella continua appassionante ricerca di spunti.

Vorrei affrontare ora un’altra impressione, un po’ strana a dir la verità.
E’ da meno di due anni che sono diventato un appassionato viaggiatore a piedi. Ma, chissà perché, mi sembra che la mia esperienza sia di genere diverso da quella di altri viaggiatori di cui in passato mi è capitato di seguire le tracce (o anche solo qualche eco): alludo a due personaggi della radio, Claudio Sabelli Fioretti e Sergio Valzania, e a uno scrittore, Enrico Brizzi.
Faccio davvero fatica a interpretare questa sensazione; mi viene solo da pensare che, in questo campo, ognuno abbia un suo approccio e un suo stile, che lo differenzino da qualsiasi cliché. In particolare rivendico, come mie caratteristiche, un’importante componente sportiva e un’ancor più imporante componente solitaria, che scende a patti solo nelle tappe conclusive, che ho sempre condiviso con uno fra i miei più cari amici (due volte Massimo e una Giovanni).

Le ultime considerazioni che voglio fare riguardano l’aspetto comunicativo.
In tutte e tre le mie esperienze, la possibilità di interagire con gli amici in modo intenso e quasi in tempo reale, grazie a Facebook (e ora anche al blog), è stato un motore trainante.
Spesso, ancora una volta, mi è capitato di collezionare ed elaborare mentalmente ciò che stavo provando (e di scattare fotografie) in vista della relativa narrazione.
Rispetto ai viaggi precedenti, questa volta, come immaginavo, non ho avuto mai la sensazione, febbrile ed eccitante, di venire sommerso dai commenti. Probabilmente per la minore importanza dell’impresa affrontata, o magari anche per la mediazione tecnica del racconto, che questa volta ho affidato in prima battuta al blog, per poi linkarlo su Facebook.
Resta però netta, e molto gratificante, l’idea di essere stato accompagnato, giorno dopo giorno, dall’interesse vivo e affettuoso di tante amiche e amici.
Che sono stati, ancora una volta, un elemento costitutivo ed essenziale di questa bellissima esperienza.

Informazioni su Franz

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2 risposte a Dal Savena all’Alto Reno: epilogo

  1. Amanda ha detto:

    Bilancio più che positivo dunque

Commenti:

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