Mancano pochi minuti alle nove e mezza quando lascio l’albergo. La giornata è luminosa, l’aria è molto fresca e ventilata.
Due elementi impediscono di vivere l’esordio della seconda tappa con tutta l’ebbrezza che questo fantastico clima vorrebbe infondere: uno è la necessità di procedere a ridosso della carreggiata
l’altro è l’indolenzimento dietro il ginocchio, che una notte di riposo e qualche esercizio mirato non sono bastati a fugare.
Quest’ultima fastidiosa compagnia non mi lascerà per l’intera giornata, ma per fortuna il dubbio che mi complichi progressivamente il procedere verrà man mano (…pied piede?) sfatato, e mi permetterà comunque non solo una buona andatura, ma anche di godermi a sufficienza questa seconda parte della mia strana avventura di pellegrino sul margine di una statale.
Il primo piccolo evento è l’apparizione, in una villa rurale molto ben restaurata, delle insegne del birrificio artigianale ‘Statale 9’ (che è, ovviamente, il nome in codice della via Emilia).
Anche se in passato ebbi occasione di bere questa birra e non mi piacque, è comunque bello scorgere questo piccola fabbrica locale di un genere di attività che si è diffusa dappertutto negli ultimi anni, in contrasto con lo strapotere di prodottacci industriali come la Beck’s o la Heineken.
In località Ponte Samoggia una brevissima tregua all’oppressione del traffico, rappresentata da un portico che, sul fondo, dà accesso proprio al ponte sul minuscolo fiume.
Proprio mentre varco il ponte, sento suonare il telefono: è Claudio, che mi conferma di venirmi incontro in treno a Castelfranco, distante da qui otto chilometri, giusto in tempo per incontrarci verso mezzogiorno, per proseguire poi insieme nei quindici chilometri di lì a casa sua a Modena.
Mentre il sole sta piano piano scaldando l’aria così fresca del mattino, procedo, fermandomi solo di tanto in tanto per catturare immagini rurali di bellezza
e di abbandono
Ma poi, frutto molto tetro di uguale abbandono, un altro avvistamento sorprendente a lato della strada: dei pezzi di lapide funeraria dedicata a due giovani, presumibilmente morti in un incidente.
Difficile da immaginare la vicenda di quei frammenti di marmo: due ragazzi davvero sfortunati anche dopo la morte, se il ricordo tombale servisse davvero ai defunti anziché ai vivi.
L’avvicinamento a Castelfranco procede con un buon grado di sincronizzazione rispetto all’appuntamento; una bretella stradale dirotta il grosso del traffico fuori dalla cittadina, concedendomi un altro po’ di tregua dal continuo frastuono; molto più lungo del previsto si rivela tuttavia raggiungere il centro, che finalmente è testimoniato dalla comparsa di un elemento inequivocabile: il portico.
Claudio mi ha anticipato all’appuntamento di pochi minuti; lo scorgo e lo saluto da distante con un ampio segno del braccio e poi, quando lo raggiungo, ci facciamo festa. Il rito irrinunciabile del ‘selfie’ (il cui risultato, rivisto in ambiente non abbagliato dal sole, si rivelerà assolutamente mostruoso) e ci avviamo appaiati, finchè la ricomparsa del traffico non ci costringe a procedere per alcuni tratti in fila indiana, rendendo un po’ difficoltosa la spontanea conversazione fra noi.
Per il pranzo, lui ha in mente una trattoria che dovremmo raggiungere intorno all’una o poco dopo.
Nell’ora di tragitto che ci separa da quel momento, sento le gambe sempre più affaticate: oggi non mi sono mai concesso delle soste e sto marciando ormai da tre ore.
Il locale che il mio amico ricordava si rivela purtroppo soltanto un bar e per di più in disarmo definitivo.
Ma non ci scoraggiamo: prima o poi dovrà pur comparire qualcos’altro.
Infatti, poco prima di raggiungere il fiume Panaro, la lontana insegna della trattoria “Da Felice” ci conforta, anche se ci tocca superare l’intero lato dell’edificio prima di verificarne l’apertura.
Entriamo in una sala semibuia, rischiarata dal fuoco del camino e zeppa di vestigia del passato; l’atmosfera è molto suggestiva.
E’ un incontro, quello con questo locale, devvero ‘felice’: la qualità, l’abbondanza e il trionfo di sapori di piatti a base di verdure crude e cotte, curati nella preparazione e nella presentazione, riconciliano col mondo, se ce ne fosse ancora bisogno.
Alla fine, in maniera inaspettata, anche l’ammontare del conto rappresenta una sorpresa positiva.
Consigliatissimo!
Rinfrancati, in un clima ora caldo da estate anticipata, proseguiamo il cammino, superando il Panaro
per giungere poi alla Fossalta, luogo della battaglia fra Bologna e Modena cantata da Alessandro Tassoni nel poema eroicomico ‘La secchia rapita’.
Anche i soldati bolognesi, nel medioevo, avevano percorso il mio stesso itinerario, e molti per venire a morire in battaglia proprio qui.
Il confine fra le nostre due città ha diviso per molti secoli lo Stato Pontificio, a cui apparteneva Bologna, dal ducato estense di Modena e Reggio. Questo spiega le antiche rivalità, così come una certa differenza fra i due dialetti.
Uno strategico e ardito ponte ci permette il superamento, altrimenti impossibile, della tangenziale, dopodiché la periferia della città propone una specie di distretto di concessionarie di marche automobilistiche.
Di lì a poco, il tragitto ottimale proposto da Google Maps ci fa abbandonare, per me dopo due giorni di cammino, il tracciato della via Emilia.
In questo stesso fine settimana, come aveva illustrato la voce della radio o della tivù (unico neo del ristorante da Felice) sono in programma delle manifestazioni per i duemiladuecento anni di vita dell’antica strada fatta costruire da Marco Emilio Lepido.
Non lo sapevo, ed è curioso come la mia piccola impresa coincida con questa ricorrenza.
Un senso iniziale di sollievo dall’incessante colonna sonora motorizzata, lungo queste tranquille strade periferiche in un sabato pomeriggio di aprile
si tramuta poi in un vero e proprio incanto, quando l’itinerario (come in un lungo e festoso arrivo di un’importante maratona) ci propone il passaggio attraverso un vero e proprio sistema di parchi cittadini.
Nel trionfo della primavera, le fioriture, i cinguettii, le presenze umane discrete, hanno su di me un impatto fortissimo, per contrasto dopo due giorni di convivenza con lo sfrecciare rumoroso di vetture e autotreni.
Ed eccoci infine a destinazione.
Con un piccolo atto eroico rinuncio all’ascensore nei due piani di scale che ci separano dall’accogliente casa di Claudio e Daniela (e relativi giovanotti), che per una volta ho raggiunto esclusivamente con le mie gambe, al termine di un’esperienza comunque da ricordare.
Ti accolgo qui, al’arrivo, ma poi tornerò a leggere della partenza. Sei un vero viaggiatore.
Ciao.
Ben trovata, Sari! 🙂
…E scusa il ritardo, ma per qualche insondabile motivo WordPress non mi ha avvertito del tuo commento… 😦
Per quanto riguarda i miei viaggi, il prossimo è programmato per la prima metà di luglio, ma sarà veramente super! 😉
Ciao, a presto.
E la seconda impresa giunse a termine vittoriosa 😉
Già, cara Amanda, come sarebbe bello se anche le potenze militari inseguissero queste grandi vittorie …