(da Tavullia a Morciano di Romagna)
Il proposito di sfruttare le ore più fresche del mattino, ora che il caldo, giorno dopo giorno, torna a farsi sentire, ha ceduto senza lottare alla possibilità di prendermela comoda, in vista della tappa più breve dell’intero viaggio: dodici chilometri, la metà rispetto a ieri.
Sono già passate le nove e mezza quando esco dal castello che mi ha ospitato, come un paladino.
In questo paese dolcemente appoggiato sulla collina, si ritrovano dappertutto i segni della devozione al centauro campione internazionale che, con il suo stile spregiudicato, infiamma le folle (ed evade milioni di tasse).
Prima di incamminarmi voglio comprare un po’ di frutta, per l’ormai consolidato spuntino pomeridiano.
Come ieri nel paesino di Ginestreto, percorro avanti e indietro tutto il centro abitato di Tavullia invano, alla ricerca di una bottega.
Una signora anziana sta lavorando nel piccolo giardino a ridosso della strada.
“Buongiorno, scusi, dov’è un negozio per comprare un po’ di frutta?”
“Eh non ce ne sono più, li hanno fatti chiudere… Però vede quell’insegna? Ecco là c’è il macellaio, e ha anche della frutta.”
Mi colpisce l’accento romagnolo, che qui già prevale su quello marchigiano.
E mi avvio a fare ciò che non avrei mai pensato: entrare in un negozio che vende pezzi di cadaveri di animali da mangiare.
“Le abbiamo raccolte noi dalla pianta, queste.”
La ragazza, occhialuta, mi tratta gentilmente, indicandomi le prugne rosse.
Ne prendo dieci. Quando apro lo zaino ed estraggo il contenitore, si offre di lavarmele e introdurvele lei stessa. E aggiunge anche qualche foglio di carta Scottex.
Sì, siamo già in Romagna, penso fra me, senza nulla togliere alla dolcezza garbata della gente marchigiana.
Sono già quasi le dieci e mezza quando finalmente mi avvio, come sempre, verso Ovest, con la mia ombra che mi precede e la visiera del berretto a proteggere il collo dal continuo battere dei raggi solari.
La strada è in discesa; il tenore del traffico decisamente fastidioso. Ma non mi impedisce di guardarmi intorno alla ricerca di nuovi scorci da immortalare, ancorché in mancanza dei giallissimi girasoli.
Poi, una provvidenziale deviazione indicatami dal mio assistente satellitare mi fa imboccare una strada incomparabilmente più tranquilla.
Cinguettii, animali da cortile, cani.
La felice suggestione di scoprire vie incantate, che mai avrei percorso, torna a riempirmi la mente e il cuore, mentre entro nel comune, niente meno…, di Saludecio.
L’incanto non dura molto.
Terminata la discesa, la strada ora sale, nella calura di mezzogiorno che qualche alito di vento non riesce a contrastare e in un paesaggio diventato improvvisamente brullo e aspro.
Ben presto sono costretto a fermarmi e a cercare conforto all’arsura nelle dolci prugne di macelleria.
Quando riparto, di lì a poco ho la sorpresa di rivedere, laggiù alla mia destra, un ampio orizzonte di mare.
La costa dello stivale, inclinata verso Nord-Ovest, sembra non volere lasciarmi addentrare nella penisola.
Poi, altri due spettacoli inediti: un campo di grano
e un piccolo allevamento di vacche le quali, benché recluse, se la passano indubbiamente meglio di tante loro sorelle nel mondo.
Proseguendo in salita, raggiungo finalmente la sommità di un colle e un piccolo centro abitato, ancora una volta (ma pure senza strani aggettivi) intitolato alla Madonna: Santa Maria del Monte.
Nell’insegna di una scuola leggo ‘Provincia di Rimini’.
Arrivederci Marche, ora anche il confine regionale con l’Emilia-Romagna è varcato.
Nello scendere verso Marciano, nuovi scorci panoramici mi invitano ad altri scatti fotografici.
Lo stesso invito mi proviene da un’immagine che sento amica: il tetto di un’azienda alimentare completamente ricoperto di pannelli fotovoltaici.
I chilometri che mi separano dalla conclusione di una tappa breve ma comunque faticosa sembrano non passare, mentre, come ieri, mi lascio drogare dal desiderio di una bibita al primo bar che, però, oggi non compare, mentre percorro campagne e periferie con diversi gradi di urbanizzazione.
Dovrò superare una zona di ville sparse, un’altra artigianale, ed entrare nel centro, piatto e assolato, di Morciano, per aprire trafelato la porta di un bar e chiedere se hanno un chinotto fuori frigo.
Ce l’hanno. Seduto al tavolino me lo scolo in poche sorsate, poi mi ricompongo.
Pochi minuti mi separano da lì al salvifico albergo con aria condizionata, dove oggi mi concederò, dopo la benefica doccia, anche il lusso di un sonnellino.
Ma un litro e mezzo o due di acqua nello zaino pare brutto?
Ti risponderò nel prossimo racconto…