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La partenza per il mio prossimo lungo viaggio a piedi ha già una data fissata: sabato 9 giugno. E anche un progetto già elaborato, con la solita irresistibile passione, tappa per tappa sulle mappe di Google.
Ma ne parlerò in un articolo dedicato, fra un po’ di tempo.
Oggi invece voglio raccontare, per cenni e immagini, la camminata di allenamento, zaino in spalla e calzature serie, che ho effettuato ieri, approfittando di un giorno di sole splendente offertoci da questa avara stagione primaverile.
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I dintorni di casa sono festosi, con questa bellissima luce mattutina.
Con passo veloce raggiungo in pochi minuti il centro di San Lazzaro.
Percorro la via Emilia in direzione Bologna per raggiungere la “Clinica informatica”, dove, proprio in vista della futura traversata, avevo fatto sostituire la batteria del tablet, che però è morta di morte violenta dopo un solo ciclo di ricarica.
Contrariamente alle mie speranze, il giovane medico dei computer, anziché rimontare provvisoriamente la vecchia batteria, mi ritira l’intero dispositivo.
Non mi spaventa l’idea di smarrirmi, come mia antica e consolidata abitudine, dato che l’itinerario che ho in mente è molto facile, tutto dritto; invece, a rendere la giornata più austera, è il distacco da Sua Santità la Connessione (visto che il mio telefono è orgogliosamente di vecchissima generazione). Ma la cosa non mi farà di certo male.
Ed eccomi, di lì a poco, all’interno del Parco della Resistenza, che conosco e amo da molto prima di trasferirmi da queste parti.
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Attraversata via Bellaria, imbocco la via Croara, che s’inerpica sulla collina con graduale pendenza, affrontabile con passo deciso senza andare in affanno.
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“Vietato entrare e avvicinarsi: cani addestrati” recita un minaccioso cartello su una ringhiera che nasconde completamente alla vista l’interno di quella che immagino una ricchissima residenza.
Mi chiedo come sarebbero questi luoghi senza l’oppressione e l’ossessione degli appezzamenti privati.
Ma niente, questi sono i nostri poveri principii e la nostra povera cultura capitalista, prossima ormai al capolinea.
Qualche cane non addestrato rompe comunque le scatole al mio passaggio, come pure qualche passaggio di automobili, che però calano man mano che mi avvicino al villaggio di Montecalvo.
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Come testimonia il timbro che involontariamente ho impostato sulle immagini, raggiungo il piccolo agglomerato intorno alle undici. Ho già percorso nove chilometri e il traguardo della chiesa di San Giovanni Battista si trova poco più su.
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Raggiunta la chiesa, in vetta al cucuzzolo, scatto qualche immagine.
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Quassù spirano folate di vento freddo. Corro ai ripari: felpa e blusa; poi mi siedo su uno scalino al sole (si sente piacevolmente la differenza), estraggo e addento un panino; è di segale, farcito con un’ottima salsa di olive e capperi.
Vedo sopraggiungere, trafelato, un giovane ciclista.
Mi chiede immediatamente se conosco l’altitudine del posto.
“No, mi dispiace, non me la ricordo, e non ho nemmeno il mio tablet…”
Poi si siede anche lui e familiarizziamo, raccontandoci i rispettivi obiettivi del nostro evidente essere qui per allenamento.
I suoi progetti sono, dal punto di vista atletico, ben più impegnativi dei miei: ha intenzione di correre presto a piedi una cinquanta chilometri, poi la mitica Cento Chilometri del Passatore, da Firenze a Faenza.
“Attraversa posti bellissimi” commenta.
“Sì” ribatto, “ma con quella fatica massacrante non so se si riescono ad apprezzare…”
Non c’è invidia da parte mia, solo un po’ di sano realismo. Almeno credo.
Comunque, quando gli dico di me, mostra interesse molto vivo per i viaggi che ho fatto e per quello che sto preparando.
“Vuoi delle nocciole?” e gli porgo il sacchetto.
“No grazie…, anzi sì, va là, che hanno le proteine.”
Poi si congeda, ci stringiamo la mano dicendo i nostri nomi.
“Ciao Silvio, spero che ci si riveda.”
“Ci vediamo in giro di sicuro” mi fa, allontanandosi, rapido così come era arrivato.
Sulla via del ritorno, catturo ancora un’immagine;
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non mi lascio tentare da deviazioni, con indicazioni escursionistiche, che mi porterebbero lontano.
Ma quando vedo una stretta laterale sterrata in discesa con il cartello “Via Martiri di Pizzocalvo”, rifletto e il ricordo dei miei percorsi con il taxi è netto: in questa stessa via (di cui siamo evidentemente nel selvaggio punto estremo), è ambientato uno dei miei vecchi racconti di guida notturna; ci ripasserò ora, verso San Lazzaro, in tutt’altra veste e luce.
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Prima che la strada diventi asfaltata in corrispondenza del residenziale “Villaggio Martino”, faccio in tempo a fare un altro fugace incontro: due giovanissime cavallerizze che procedono in salita, in senso opposto al mio.
Saluto con un “buongiorno” la seconda, che ha l’aspetto più autorevole, ma anche un viso di straordinaria, aristocratica bellezza.
Se la salita si era rivelata molto veloce, ancor di più lo è, naturalmente, la discesa.
E mi ritrovo nell’abitato di San Lazzaro troppo presto per una deviazione verso la clinica, a trovare il mio tablet malato.
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Le gambe però sono affaticate, mentre mi avvicino e supero (attraverso il solito passaggio clandestino) la strada ferrata. Evidentemente avevano e hanno ancora bisogno di allenamento.
Laggiù, nascosta dalle sue consorelle, ecco che, di ritorno con molto anticipo, casa mia mi sta comunque aspettando.
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Che bravo che sei. Ti ammiro per la costanza e determinazione con cui arrivi ai tuoi obiettivi.
Buon viaggio. Ciao
Grazie, cara Loretta. In effetti, da quando mi sono pre-pensionato, l’abbondanza di tempo a disposizione rende tutto più facile… 🙂
Solo olive e capperi dentro al panino dopo tutta la strada a piedi? Povere gambe!
Dimentichi le nocciole! 🙂