Un misto di delusione e irritazione segna l’inizio di questo secondo giorno, quando apro la porta-finestra e vedo e sento il ticchettio della pioggia: le ultime previsioni sul decorso di questa importante perturbazione mi avevano fatto sperare di partire all’asciutto.
Mentre faccio colazione, poi, la signora rincara la dose: “Hanno scritto che durerà fino a mezzogiorno.”
Inutile prendere tempo, anche perché oggi mi aspettano ventisei chilometri di cammmino.
Regolati i conti e completata la bardatura da pioggia, esco che sono già le nove meno dieci.
Ripercorro in discesa la strada fino a Perarolo e questa volta entro in paese, là dove un Boite limaccioso e furioso sfocia nel Piave.
Costeggiando quest’ultimo, come sarà per tutto il tragitto odierno, mi addentro in un nuovo lungo tratto della vecchia statale di Alemagna, eletta, quando presente, a sede del grande percorso ciclabile fra Cortina a Venezia.
La strada mi ha accolto con un grande privilegio: essere per lungo tratto, nel verde turgido di pioggia, l’unica presenza in movimento, oltre al fiume più in basso. Non un veicolo, non un ciclista, solo io, che riassaporo la lieve e profonda ebbrezza già provata in passato, quando, nelle prime ore di una nuova tappa, si è privi dei segni di affaticamento.
Poi compare il viadotto della nuova statale.
Cammino spedito, l’efficienza oggi è fondamentale, e in breve raggiungo il punto in cui procedono affiancati, nell’ordine: il fiume, l’attuale statale di Alemagna, quella vecchia su cui sto procedendo e, più in alto a ridosso della scarpata, la ferrovia.
Ora il silenzio è rotto dal rumore del traffico vicino, ma la soddisfazione di dominare la scena indisturbato dall’alto non è affatto male…
Intanto la pioggerella non accenna a smettere.
E si procede, senza tregua, fra caseggiati colorati, fumi di una fabbrica attiva anche la domenica del controesodo, e la vista di piccoli centri abitati.
Il nastro d’asfalto ora si avvicina al fiume,
ora permette la vista sul versante opposto,
per poi raggiungere Termine di Cadore, che sembra proprio un malato terminale, per il suo stato di abbandono, eppure conserva una sua antica grazia, accessibile ormai solo a chi percorre questa vecchia strada dimenticata dal traffico sfrecciante.
Immediatamente alla confluenza con la nuova, si dipana a valle una pista ciclabile in sede propria.
Intanto sta finalmente smettendo di piovere.
Sono affaticato dal ritmo di marcia senza tregue, e già da molti chilometri isolato, fra montagne che inibiscono il segnale della TIM.
Ma mi sono ripromesso di tener duro senza fermarmi fino a Longarone, dove peraltro mi aspetto di ritrovare la connessione.
La stretta valle del Piave si apre gradualmente, col paese di Longarone sullo sfondo, nella piana che fu teatro di un’indimenticabile tragedia della follia umana.
La grande via ciclabile ha preso una strana deviazione al di là del Piave.
L’ho ignorata, e ora, estratte e mangiate al volo due ottime pagnottine artigianali imboscate a colazione, raggiungo un parco alla periferia di Longarone.
Finalmente mi spoglio dagli involucri impermeabili.
Finalmente posso interrogare Google Maps.
E, a sorpresa, il responso sulla strada rimanente è molto migliore delle mie aspettative. Siamo a due terzi: quattro ore spese e solo due mancanti.
Pochi minuti, poi sono di nuovo in moto, alleggerito nell’abbigliamento.
Fra varie opzioni, scelgo a questo punto la più sicura, cioè di rassegnarmi a percorrere quest’ultima parte sul ciglio della nuova statale.
Nell’avvicinarmici, non posso fare a meno di fotografare la diga del Vajont, salda e superba testimonianza dell’umana stupidità criminale.
Delle ultime due ore della lunga tappa odierna, ho solo tre testimonianze fotografiche, che mostro qui di seguito.
La segnaletica per l’imbocco dell’autostrada mi permette di fare il conto alla rovescia.
Salvo una piccola deviazione finale, che mi porta su una strada a monte, parallela alla statale, nel piccolo e silenzioso abitato di Pian di Vedoia.
Sarebbe anche suggestiva, se non fossi sfinito e non temessi di starmi allontanando dal mio albergo.
Domando a un podista di passaggio che, senza fermarsi, mi rassicura: “Prenda la prima a sinistra”.
E, per fortuna, non sbaglia: proprio alla confluenza con la statale 51 di Alemagna vedo la salvifica insegna dell’hotel.
grande Franz , dalla Versilia siamo ( sono ???) tutti con te
Ah, adesso capisco chi era tutta quella gente! 😀
Abbraccio collettivo.
Faè ricordo di una gita con la Prof di fisica al liceo. Nell’ordine visita alla fabbrica della faesite che da faè prende il nome, pranzo al memoriale della tragedia del Vajont a Longarone, visita ad una turbina elettrica per la gioia della Prof, cazzeggio tutto il giorno
Il cazzeggio nelle gite scolastiche dovrebbe essere patrimonio dell’UNESCO… 😀
Mi fa piacere sollecitare i tuoi ricordi, man mano che mi avvicino alla tua città!