Ancora qualche difficoltà di troppo, in questa sesta tappa, la seconda nella pianura veneta.
Esco alle otto dal mio alloggio; come ieri, l’aria non è limpida e ci sono un po’ di arabeschi nuvolosi nel cielo.
Questa volta non ho difficoltà a imboccare l’itinerario corretto.
Mi accorgo di cammminare senza lo slancio che vorrei: evidentemente sto scontando la fatica di ieri.
È la classica ora di punta, lo si avverte nel convulso sottofondo acustico, di chi va o viene da Treviso, che dista pochi chilometri da qui.
Per fortuna esistono le piste ciclabili.
L’itinerario dovrebbe evitare la vicina città, tagliando a Ovest in direzione dell’aeroporto, ma non riesco a individuare la deviazione giusta e mi rassegno ad assecondare la corrente, come in un fiume attratto dalla forza centripeta.
Senza questo errore, la giornata avrebbe avuto probabilmente un decorso molto più semplice, almeno nella prima metà.
Faccio comunque di necessità virtù, approfittando del primo sportello bancomat e poi del primo supermercato.
Spesa ridotta al minimo, per non appesantire lo zaino: alcune prugne (a maturazione medio-alta…), una salsina di olive e capperi e due bustine di semi di zucca sloveni. Non è dato sapere perché non si trovino mai quelli nostrani.
Non essendo stagione per le nostre noci, ecco esposte quelle della vicina Australia…
Se, come sarebbe giusto, il prezzo tenesse conto dell’impatto ambientale, costerebbero venti volte tanto e, come sarebbe giusto, nessuno le comprerebbe. E finalmente smetterebbero di essere commercializzate e dunque di volare per mezzo mondo.
Imbracciato lo zaino, proseguo lungo lo stradone principale per un tempo infinito, immerso nel movimento e frastuono nevrotizzante, e ripetutamente bloccato da una congiura di semafori rossi.
Uscirne sembra facile, ma non lo è affatto.
La bestia oggi è un po’ meno vorace di corrente elettrica, grazie alle buone condizioni di connessione, ma non cambiano i suoi assurdi tempi di risposta.
Ogni volta che faticosissimamente ottengo la videata con l’itinerario, la catturo con uno “screen shot” per potermi sconnettere immediatamente.
Ma di lì a poco ricado sempre nuovamente nel dubbio.
Lo spettacolo d’arte varia, poi, dà il massimo quando, sulla mappa opportuna, non viene indicata correttamente la mia posizione per un tentennamento cronicizzato della funzione satellitare.
Ripeto l’interrogazione indicando una laterale di fronte e ho una strana sorpresa: l’itinerario cambia completamente e percorre a lungo una via minore, quella per Boiago.
Colgo al volo l’occasione e mi ritrovo di colpo nella quiete della prima campagna.
Sono già le undici e un quarto, sto tenendo una velocità oraria terribilmente bassa, ma finalmente sono uscito dalla bolgia.
Bisogna trovare l’accesso al percorso della vecchia ferrovia Treviso-Ostiglia, trasfornato in pista ciclabile proprio come la Calalzo-Dobbiaco.
Ci riuscirò solo con l’indacazione fornitami da un gentile signore, comparso sul proprio terrazzo esattamente per questo…
Una lunga, ombrosa galleria di alberi dà il via e il benvenuto alla seconda parte della mia odierna giornata di cammino.
Procederò come un lento ma inarrestabile treno, ora,
con la compagnia di saltuari ciclisti, podisti, csmminatori. Ben altro genere di traffico.
Una foto alla vecchia stazione di Quinto di Treviso, al di là della parete di giovani alberi.
Poi, davanti a me e sempre più vicino, sarà impossibile evitare il sorpasso, lo vedo procedere, con un grande zaino pieno di oggetti esterni (fra cui svettano un piccolo mandolino e un tamburello), a passo molto misurato, anche a causa dei suoi piedi nudi.
Sarei pronto a scommettere che questo hippy fuori dal tempo mi rivolgerà la parola, e ne ho poca voglia; mentre lo affianco, invece, si limita a salutarmi con un bel sorriso sul suo viso sereno e giovanile.
Poi, mentre già l’ho rapidamente allontanato dopo il sorpasso, lo sento cantare con voce impostata e, forse, anche un po’ di esibizionismo.
A lungo andare, in direzione ostinata e diritta, subentra una lieve ossessione, unita alla difficoltà di capire a che punto mi trovo.
Mi decido a risvegliare la bestia, alimentandola anche, visto lo scarso segnale, con il piccolo supporto di energia aggiuntiva.
Mancano otto chilometri, cioè quasi un paio d’ore. Speravo meglio, per le mie condizioni di affaticamento e di arsura.
Sono indeciso se fare tutta una tirata o andare a cercare una sosta ristoratrice in un bar.
All’altezza di Santa Cristina propendo giustamente per la sosta.
Uscito per una delle strade che di tanto in tanto tagliano la pista, trovo subito una coppia presso il garage della loro villa e chiedo se c’è un bar vicino.
Ho fortuna, c’è.
Le strade del paesino sono pervase da una quiete ben lontana dal frastuono delle prime ore di cammino.
Nel bar, gestito da una piccola ragazza cinese, chiedo un chinotto e una presa di corrente.
Nessun problema per la seconda; il primo devo barattarlo con quest’altra bibita, rigorosamente fuori frigo.
In bagno lavo le prugne e, già che ci sono, le mangio. Non sono australiane, ma non sanno di niente, tipica frutta da supermercato.
Dopo la breve sosta riguadagno, con le gambe indolenzite, la sede della vecchia ferrovia, che, nel tratto per me conclusivo, mi regala i paesaggi più belli.
Non bisogna sbagliare l’uscita dalla ciclostrada.
Scopro, sull’ultima mappa scaricata, un riferimento prezioso: un piccolo torrente in corrispondenza con la strada da imboccare.
Ed eccolo!
Senza bisogno di risvegliare l’animale, riesco a seguire passo passo, curva dopo curva, il percorso di avvicinamento al mio agriturismo.
Il silenzio incantato della campagna mi permette di ascoltare il suono dei miei passi.
Bisognava aspettare il finale di questa lunga sesta tappa per ritrovare, pur in condizioni di grande affaticamento, le sensazioni più magiche che talora mi regala il mio peregrinare.
Non dura molto: una piana con alcune case sulla destra e una grande fabbrica sulla sinistra mi conduce all’incrocio con la via di Scandolara, dove presto compare la mia altezzosa residenza odierna.
Francesco….racconto molto intenso non privo di sfumature ed emozioni. Conosco abbastanza bene sia Treviso che Padova per esserci capitata svariate volte. Di certo non le ho girate in bici ma a piedi si un totale. ….alla prossima tappa😜😜
Grazie del complimento, Lorena.
Sicuramente di Treviso, come me, non ricorderai gli stradoni trafficati di periferia!
Della Treviso Ostiglia ho fatto: numero uno la biciclettata con la Fiab per chiederne l’adattamento a pista ciclabile, numero due il tratto, quando finalmente è stato aperto, sempre in bici da Camposampiero a Campodoro e poi a piedi a primavera è un ottimo percorso per raccattar bruscandoli 😊
L’ho detto, io, che avvicinandomi a Padova avrei scatenato una valanga di tuoi ricordi! 😀
Molto meritorio aver ottenuto quella bella, e ora assai sfruttata, pista ciclabile.
C’era un tipo con un cestino, questa mattina, che raccoglieva furtivamente non bruscandoli ma sassi! 😮
Sassi?
Ho curiosato velocemente con lo sguardo nel cesto: sì, erano sassi arrotondati, di grandi dimensioni.
Credendo fosse un addetto ai lavori l’ho salutato rispettosamente. Dal tono della risposta non era un addetto ai lavori…