È piovuto tutta notte, sulle case e le ville del piccolo nucleo di Fiumicello di Campodàrsego, e le ultime previsioni dell’ARPA-Veneto attribuiscono ancora, per la mattina, l’ottanta per cento di probabilità di pioggia, in forma di rovesci e temporali.
Quando mi sveglio, però, c’è silenzio oltre le persiane e quando le apro il panorama è incoraggiante.
Bisogna fare presto, a prepararsi e a fare colazione, per sfruttare questa tregua e guadagnare chilometri, dei diciotto previsti oggi.
L’amica Barbara, di cui sarò ospite a Padova, mi aspetta per pranzo, obiettivo a portata di gambe, se le condizioni del tempo non mi ostacoleranno troppo.
Quando saluto definitivamente la gentile affittacamere mancano pochi minuti alle otto
e l’atmosfera, nell’aria fresca e limpida, e nel cielo che mostra zone d’azzurro, è di quiete dopo la tempesta.
Sono partito a passo molto spedito per le strade larghe e tranquille del piccolo centro abitato.
C’è grande armonia, tutto intorno, e, dentro me, uno stato d’animo di gioia profonda, riconoscente e festosa.
Dopo la vicina frazione di Sant’Andrea,
mi immetto, come un aereo che si è portato sulla pista di decollo, lungo un percorso rettilineo che attraverserà altri due piccoli paesi: Reschigliano e Meianiga, prima di entrare nell’area metropolitana della “città del Santo”.
Nuvoloni scuri tendono ora a infittirsi. La facilità del tragitto agevola il compito di rubare tempo e strada ai temuti acquazzoni; ad ogni buon conto, sorveglio l’andamento sulle mappe analitiche che ho salvato nel tablet.
Non sono ancora le nove e mezza quando, in prossimità di Cadòneghe, vedo rapidamente mutare il paesaggio in tonalità urbana.
Il mercato attrae la cittadinanza, animando la piazza in questo sabato mattina.
Più avanti, a Pontevigodàrzere, compare questo bel tram azzurro in sede propria.
La tentazione di ritenermi già vicino alla destinazione sarebbe forte, ma mi rendo conto che i chilometri sono ancora molti: non sono ancora giunto nel centro abitato e nella estesa periferia di Padova, poi dovrò attraversare completamente la città.
Il tempo sembra garantirmi ancora tregua, mentre continuo a sfidarlo senza rallentare.
La zona periferica, benché un po’ meno assillante di quella di Treviso, mi toglie lungamente la voglia di scattare fotografie.
Voglia che si riafferma prepotentemente quando raggiungo la lunga sequenza di corsi pedonali del centro storico.
Mi decido ad avvertire Barbara che son riuscito a viaggiare veloce e prevedo di arrivare prima di mezzogiorno.
Cerco di suscitare ricordi di luoghi frequentati nei dieci anni vissuti per lavoro, da pendolare settimanale, in questa importante città e ho la strana sorpresa di trovarne pochissimi.
Scopro oggi per la prima volta, quasi mi vergogno ad ammetterlo, quanto lunga ed estesa sia la zona pedonale nella direttrice da Nord a Sud, mentre io mi limitavo a passeggiare, di tanto in tanto, nel tratto fra le Piazze e il Canton del Gallo.
Uscito dalla zona pedonale, ho l’improvvisa vaga sensazione di riconoscere i portici sotto i quali, nei primi anni in orario serale, portavo a compimento, con uno sprint finale, il mio allenamento podistico settimanale sugli argini dei canali, e mi sembra di riconoscere anche il cortile d’entrata del residence dove alloggiavo; entro a controllare i campanelli, niente, poi, poco più avanti, il nome della strada. No, non siamo in via Belzoni.
Mi sento ospite di un bellissimo teatro e non di quella città in cui non mi calai mai come sarebbe lecito aspettarsi e dal cui ricordo (a tinte ben più opache), ora mi sento finanche espropriato.
Anni bui, dedicati anima e corpo a un’attività professionale nevrotizzante, con la coscienza di stare stringendo i denti, ancora e ancora, per un futuro in cui avrei dismesso quell’abito inautentico e avrei conquistato la libertà.
Nei panni di chi ora quella libertà e i suoi abiti autentici ha infine conquistato, al costo del sacrificio di molti anni di vita già matura, mi ritrovo a passare da estraneo, e quasi senza manco la necessità della riconoscenza, per le vie di quello stesso centro storico.
Ma Prato della Valle, che mi si spalanca davanti d’improvviso, quello sì, inevitabilmente, risuona uguale a sè stesso.
Bisogna proseguire ancora sulla stessa direttrice; per la prima volta dopo tre ore di cavalcata rallento l’andatura a un ritmo più calmo e rilassato.
Il ponte del Bassanello, con il suo contorno di invariato traffico caotico, mi fa accedere a una zona di prima periferia piacevolmente verde e abbastanza tranquilla.
Ho rimandato fin qui l’acquisto di una bottiglia di vino buono per evitarne il peso e l’ingombro, ma temo di aver esagerato.
Poi mi appare un gruppo di negozi e c’è anche, insperatamente, un’enoteca.
Ne esco con un Refosco racchiuso in una bella confezione.
Anche se quest’ultima mi intralcia le operazioni, mi concedo il lusso di risvegliare la bestiaccia per farmi accompagnare con sicurezza all’indirizzo di destinazione e così, alle undici e quaranta, suono il campanello della mia amica, poco prima che un tuono faccia sentire il suo brontolio.
Quanto ho da leggere Franz… che bei viaggi stai compiendo in questa estate anomala e ormai resa. Buona strada!
I resoconti, cara Sari, sono una parte integrante, insostituibile (…e terribilmente impegnativa) dei viaggi in “stile-Franz”, e lettori attenti e presenti come te ne sono la conferma…
Grazie, e buon settembre a te.
Praticamente sei passato sotto casa!
Mannaggia, per questa volta rendez-vous solo sfiorato! 😀