“Signore…!”
Mi volto e vedo due donne sulla quarantina, vestite bene, che mi chiamano.
Sono quasi le otto e da un quarto d’ora mi sto dirigendo, dalle quiete vie di Sarzano, verso larghe strade e grandi rotatorie che conducono alla statale “16” per Ferrara, che funge anche da Tangenziale Est di Rovigo.
Mi dirigo verso di loro.
“Guardi,” mi avverte con inattesa premura la portavoce, “che le conviene passare di qua, per questa pista ciclabile” e mi conferma che sfocia su un passaggio pedonale proprio nella mia direzione di marcia.
Per breve tratto possiamo procedere affiancati.
Mi chiede se sto percorrendo il Cammino di Sant’Antonio; spiego loro quello che sto facendo e mi ascoltano con interesse.
“Noi invece stiamo andando a lavorare…”
“Spero che almeno vi piaccia il vostro lavoro!”
“Sì,” risponde molto convinta, “lavoriamo qui all’Azienda Sanitaria Locale.”
Magari una delle due, ripenserò, odia il suo lavoro, ma in presenza dell’altra non può dirlo…
Si congedano un po’ prima del necessario, poi le vedo dirigersi sulla scalinata e nel palazzo che le inghiottirà per un’altra lunga giornata lavorativa.
Altrettanto lunga e complessa, molto più delle aspettative per una tappa comunque prevista di ventisei chilometri, sarà oggi la giornata del Camminatore a Vuoto.
Accedo alla statale poco prima di questa enorme torcia elettrica all’insù.
La carreggiata, a quattro corsie, è priva di banchina. I veicoli mi sfrecciano vicini, frequenti, urlanti, ossessionanti.
Il sole ha cominciato la sua parabola settembrina in un cielo un po’ velato dalla foschia.
Oggi, che la tappa è lunga, mantengo un passo cadenzato, senza forzare l’andatura.
Dopo una prima ora di ossessione, cerco riparo proseguendo all’interno di un’esteso centro commerciale che si affaccia completamente sulla statale.
Dopo averlo percorso tutto, per circa duecentocinquanta metri, ho la brutta sorpresa di non vedere alcuna possibile via d’uscita: un canale e una scarpata invalicabile mi separano dalla carreggiata.
Dietro front, e mezzo chilometro da sommare al totale odierno.
Una situazione simile mi si presenta poco dopo, per aver tentato un altro percorso alternativo, ma questa volta riesco a rimettermi (letteralmente) in carreggiata con un passaggio alpinistico sopra l’alto guardrail,
al di là del quale, poi, la campagna si mostra così:
Alle dieci e mezza, cioè quasi tre ore dopo la partenza, la strada è diventata a due corsie, ma la bolgia non è calata: una vera prova di resistenza.
Decido di meritarmi una sosta rigenerante in un bar.
Un cartello segnala che l’apertura estiva è spostata alle dieci, ma la porta è chiusa e non c’è anima viva.
Ci riprovo poco oltre, in un bar-trattoria sul lato opposto.
Ci sono due auto parcheggiate e la porta è aperta, su un locale deserto.
Il banco si presenta un po’ desolato: dentro una teca c’è un’unica mezza torta margherita, ma meglio che niente.
È comparsa una signora; le chiedo un tè al limone e una fetta di quella torta.
“No, mi dispiase, non facciamo colasioni.”
“Non voglio mica far colazione, non mi può dare un tè e una fetta di questa torta?”
“No, guardi, sè un poco stantìa…”
“Ah vabbè, sarà per un’altra volta”, mentre il pensiero vola inevitabilmente alla mitica “Luisona” del Bar Sport di Stefano Benni.
Salta fuori il marito, impietosito, alla moglie: “Faghegli un tè…”
“No, grazie, se non c’è niente da mangiare, no.”
Questione d’orgoglio.
Con fare umile e dispiaciuto mi dice che questa è soprattutto una trattoria, ma duecento metri più avanti sulla destra troverò un altro bar.
Duecento metri più avanti, ma anche quattrocento, c’è solo la mia voglia inappagata di una sosta al chiuso.
Intorno alle undici, l’attenzione è catturata da un giovane dalla maglia fluorescente e con lo zaino come me.
Da una radura oltre il lato opposto della strada anche lui mi chiede, a voce alta, se sto facendo il Cammino di Sant’Antonio.
Con l’aiuto dei gesti gli dico che no, sto facendo una cosa mia, poi gli faccio cenno di aspettarmi che lo raggiungo.
Curiosi di questo insolito incontro, ci scambiamo informazioni con intensità da addetti ai lavori.
È partito da Padova e, lui sì, sta facendo quel cammino (che io scartai, nel tratto fino a Bologna, per la frequenza di posti tappa in strutture religiose, oltre che per la mia prevista deviazione a San Lazzaro).
Quando gli dico che ero alla vana ricerca di un bar per una merenda, mi offre delle ottime prugne regalategli da un contadino.
Ha uno zaino di quattordici chili, peso esattamente doppio del mio, e sconta oggi i trenta e passa chilometri percorsi ieri.
Ci vorrà un po’ di tempo, e di strada che imbocchiamo insieme, perché mi confessi il suo piano complessivo, coltivato da molto tempo, ed esordio per lui in questo genere di viaggio, reso finalmente possibile dopo la laurea in ingegneria: dopo Bologna, affrontare la “Via degli Dei”, poi da Firenze immettersi sulla Francigena fino a Roma, niente meno.
Oggi si fermerà a Ro, poco dopo l’attraversamento del Po, e un paio d’ore di cammino prima della mia destinazione a Tàmara di Copparo.
Ci confrontiamo su tante cose, comprese le rispettive e non del tutto coincidenti posizioni politiche, mentre siamo costretti a procedere in fila indiana lungo la statale, che continua dopo oltre tre ore a ossessionare entrambi.
Ma finalmente c’è la deviazione su una strada molto più tranquilla e panoramica.
Ed è con questo mio nuovo giovane amico che, intorno a mezzogiorno, imbocco il lunghissimo ponte che attraversa il Po e il confine fra Veneto ed Emilia.
Sull’altra riva troviamo un sentiero che scende e ci permette di visitare la ricostruzione di un “mulino del Po” di letteraria (e televisiva) memoria.
Poi riprendiamo il cammino, fino alla vicina deviazione per Ro, dove i nostri itinerari si dividono.
Ci salutiamo e abbracciamo come vecchi amici, ripromettendoci di restare in contatto, anche se non è escluso tornare a incontrarsi casualmente nei prossimi giorni.
Poi, subito dopo e quando sono già passate cinque ore dalla mia partenza, saldo un certo conto in sospeso…
Dopo la breve pausa, mi ingarbuglio nei rapporti complicati con il tablet, a cui chiedo a più riprese, finchè non sono soddisfatto del risultato, di registrare e trasmettere su Facebook il consueto breve video.
L’attività convulsa manda in crisi il mio vetusto compagno di viaggio telematico, che perde provvisoriamente l’uso della voce.
Stanco e stressato mi dimentico di verificare passo passo l’itinerario, e continuo anzi a scattare fotografie al bel paesaggio padano.
Quando finalmente rimetto gli occhi sulle mappe, non trovo più rispondenze e mi accorgo di essere fuori strada, dunque in emergenza.
Anche perché il segnale è scarso e la bestia, che sono costretto a risvegliare, mi risponde poco e male.
Da quel poco, però, capisco di aver davanti ancora quasi un’ora e mezza di cammino.
Il modo migliore per ritrovare la retta via è tornare indietro fino a trovare, a destra, Via Fienilone.
Le gambe rispondono bene, sorprendentemente attive.
C’è una strada sterrata sulla destra, ma non è provvista di indicazione col nome.
Sto per rassegnarmi a chiedere nuovamente aiuto all’animale, ma poi preferisco interrogare un agricoltore, che gentilmente, a bordo del suo trsttore, mi dà una serie di indicazioni preziose.
Imbocco la strada sterrata, che scoprirò essere proprio via Fienilone, e so di doverla percorrere per tre chilometri fino al paesino di Saletta e poi di dover priseguire fino a Tàmara.
Per ironia della sorte, dopo aver penato così a lungo sulla statale infernale, ora mi trovo, appesantito da ormai otto ore di cammino, in luoghi silenziosi, belli e incantati.
Fino a Saletta reggo bene, confortato dalla coscienza di aver ritrovato la via, ma poi, nel tratto finale, comincio ad avvertire dolore alle spalle.
Ma per fortuna non dura molto.
Avvistato (con l’aiuto dei passanti) l’ufficio postale di Tàmara,
percorro gli ultimi metri con gli occhi aperti fino a individuare il mio bed and breakfast.
Termina così la tappa più lunga e complessa di tutto il viaggio.
Tutte le rimanenti tappe saranno brevi, salvo l’ultima, domenica prossima, che mi riporterà a casa.
E meno male che un pezzo era in compagnia cosa che di solito rende più lieve il cammino
Torno volentieri su questo argomento.
Essendo vissuto sempre da solo, mi riesce molto più facile affrontare le difficoltà inevitabili in questi miei viaggi contando unicamente sulla conoscenza dei miei limiti e delle mie risorse, mentre una presenza al mio fianco mi costerebbe molta più apprensione e aggravio di fatica di quanto aiuto potrei riceverne.
In questo caso, però, l’incontro ha avuto il merito di costituire una distrazione salutare dal protrarsi ossessivo del percorso in pessime condizioni ambientali.