Le prenotazioni degli alloggi nei fine settimana spesso sono difficoltose, specialmente quando si punta a dei bed and breakfast muniti di poche camere.
Muovendomi con molto anticipo, già da diversi giorni avevo risolto i non piccoli problemi relativi a queste ultime notti, al costo di una variante più a Est del percorso previsto, che doveva sfiorare prima Ferrara poi Budrio.
Ecco perché mi trovo a Molinella, alla vigilia di un’ultima tappa che sarà molto lunga.
Cambio di gestione, nel locale di cui avevo annotato il numero.
Rintracciata la nuova proprietaria, mi aveva garantito la camera, lasciandomi però in sospeso fra l’alloggio nel bed and breakfast o in un altro albergo sempre di sua amministrazione.
Ieri l’ho cercata per sapere con precisione l’indirizzo su cui puntare, ribadendo che sarei arrivato fra mezzogiorno e l’una, salvo temporali.
“Le invio un sms con l’indirizzo dell’albergo”.
Verso sera l’ho richiamata.
“Sa, ho qualche problema a inviare messaggi, le dico l’indirizzo a voce.”
Cerco la biro e lo annoto.
“Bene, grazie” mi congedo: “allora ci vediamo domani fra mezzogiorno e l’una; se ho problemi la richiamo.”
Non c’è il temporale, al mio risveglio, ma un mondo magicamente avvolto nella nebbia.
Riprendo il cammino dal ponte bloccato,
oltre il quale le occasioni per fotografie molto speciali si sprecano.
Presto però il sole settembrino ha la meglio, svelando un cielo privo di nubi, a dispetto delle previsioni, e illuminando i canali che, ancora, costeggiano o attraversano la via.
Dopo brevi tratti, comunque poco trafficati, l’itinerario di questa mattina mi ha regalato un percorso in gran parte rettilineo immerso nel silenzio più incantato, che durerà per quasi metà tappa.
Non so se si tratti del raggiungimento spontaneo di un particolare stato meditativo, o più semplicemente dei sensi resi più percettivi dalla sana attività fisica prolungata di queste due settimane, ma avverto in ogni minima sensazione uditiva e visiva un insolito, profondo e gioioso senso di benessere.
Allo stesso modo, non so se è il caso di scomodare concezioni sincroniche della realtà o più semplici influenze dell’ambiente sull’uomo, ma, come già mi capitò l’anno scorso in un paesaggio altrettanto magico nelle colline marchigiane, anche ora incrocio sulla mia strada, uno dopo l’altro, due uomini, di età matura, che emanano un evidente senso di profonda serenità.
Il primo cammina con un bastone grezzo da passeggio; non è lui a rivolgermi direttamente lo sguardo e il saluto, ma quando lo faccio io mi risponde con quieta intensità.
Lo fotografo alle spalle mentre si allontana, poi lo sento fischiare con cura una melodia.
Anche il secondo, più anziano, sono io il primo a salutare; mi risponde con un gesto della mano e una sola parola, quasi appena accennata: “Salute!”
Proseguendo, non rinuncio a catturare immagini di bellezza.
Intanto, alla confluenza con una strada provinciale, la magia è terminata, con la ricomparsa e il riecheggiare delle automobili e, ancor peggio, dei saltuari spari di un cacciatore, portatore di morte per svago in questi teatri di vita serena.
Con animo comunque grato per il lungo e inatteso incanto, bado a controllare il percorso, che sembrerebbe facile ma mi suscita più di una perplessità, finchè non scorgo una rassicurante indicazione per Molinella, con un numero molto basso di chilometri mancanti.
Annunciato da un alto argine
che poi si lascia raggiungere in prossimità di un lungo ponte,
dopo aver valicato il Boite, il Piave, l’Adige e il Po, per me è ora la volta del Reno, questo scontroso signore che si rifiuta di confluire nel Po e, con un improvviso angolo retto, disegna la sua autonoma via d’accesso al mare.
In realtà i ponti, in sequenza, sono tre e mi sembra di non capirci più niente. Soltanto il secondo sovrasta un fiume di una certa portata.
Un solo chilometro, che è anche quello più brutto e convulso del tragitto, mi separa da Molinella, dove entro intorno alle undici, a passo rilassato ma tuttavia affaticato.
Ho tutto il tempo per fare la spesa. Trovo subito un panificio, mentre per la frutta e verdura non ci sono botteghe, ormai non ne esistono più, e qui non ci sono neanche quelle dei pakistani.
Attraverso il centro con le sue torri storte e quelle dritte.
Poi proseguo sotto un sole che ora picchia forte.
Mi lascio indietro la piscina e lo stadio
e mi avvio verso la fine della cittadina, quando compare una COOP.
Entro, e acquisto un grosso peperone giallo, e una confezione di lupini per la tappa di domani, che è anche domenica.
Le indicazioni delle mappe mi portano, sotto un sole sempre più spietato, all’interno di una grande area artigianale, dove sembra impossibile possa trovarsi un albergo.
È un capitolo stridentemente diverso dalle quattro ore che lo hanno preceduto, quello che comincia ora.
E che mi vede un po’ preoccupato, alla ricerca di un indirizzo non citato nei miei tracciati.
Se non altro c’è la via del bed and breakfast originario; la imbocco e comincio a percorrerla.
Nel panorama desertico compare, in direzione opposta alla mia, una coppia di giovani, muniti di zainetto.
Chiedo a loro, vedo che si sforzano di rispondermi in italiano; li incoraggio a esprimersi in inglese.
E comunque decidono di accompagnarmi, gentilmente.
Lui di Cipro, lei olandese, stupiti di un italiano che capisce l’inglese; quanto a parlarlo (mi schermisco…), “sempre meglio degli altri italiani”, mi fanno.
Evidentemente non frequentano i giovani, penso fra me, ma non sto a dirglielo.
Finalmente, bianco, a forma di cubo, tre stelle, compare l’albergo.
Ringrazio e saluto i due ragazzi.
Sono le dodici e dieci, io sono in perfetto orario. L’albergo è chiuso e non c’è nessuno ad aprirmi.
Telefono, la signora mi dice che manda subito qualcuno, bisogna aspettare un minuto.
Mi tolgo lo zaino e mi siedo sopra il muretto, in un ambiente e una situazione irreale.
Mi richiama: la persona era impegnata e tarderà ancora cinque minuti.
Sono passati abbondantemente, quando un’auto, con una veloce manovra, si infila qui davanti.
Giovane, meridionale, efficiente e garbato, mi conduce su per le scale al primo piano, apre la porta della mia camera, su un letto matrimoniale disfatto.
Dopo un consulto telefonico, mi riporta al piano terra: “Le diamo una camera quadrupla” mi fa.
Troppa grazia.
Apre la porta e questa volta i letti sono privi di lenzuola.
Mi promette di mandarmi appena possibile la signora delle pulizie.
Intanto gli chiedo se c’è il wi-fi.
Mi riporta al primo piano, a consultare direttamente la password sul router.
Gli chiedo anche se è possibile fare colazione molto presto.
Mi dice che non sa se c’è la colazione, io non ricordo se fosse concordata. Ora, mi fa, vado a registrare il suo documento poi le so dire.
Bene. Rientro in camera, giusto in tempo per accorgermi che non posso nemmeno fare la doccia, perché non ci sono gli asciugamani.
Lo richiamo a voce alta dalla porta e per fortuna c’è ancora.
E viene giù con gli asciugamani e le lenzuola: non mi sembra vero, gli dico che ci penso io a rifare il letto.
Dopo la doccia dai consueti prodigiosi effetti rinfrancanti, sposto il letto e mi metto a prepararlo, quando sento bussare.
Ha il documento e la ricevuta; mi chiede se posso saldare il conto, così domattina sarò libero di andare quando voglio, chè tanto la colazione non c’è.
Ne sono quasi sollevato. Pago i quaranta euro: “Speravo mi facesse uno sconto per i disagi” mi limito a contestare.
“Se torna, le faremo un buon prezzo.”
Lo saluto e mi chiudo definitivamente dentro la mia stanza a quattro posti letto.
Ma come li hai pescati questi?
Le prime foto di oggi sono davvero molto belle
Ho avuto occhio, dici, a pescare il jolly?
Il problema all’origine, comunque, è il cambio di gestione, con subentro di questa manager multiproprietaria (o solo multipasticciona).
Sempre graditi i tuoi complimenti! 🙂