“Ecor” è l’azienda gemellata con la catena di supermercati “Naturasì”, principale voce di riferimento nel campo dei prodotti biologici.
Questo è il messaggio che ieri sera ho inviato a tale azienda:
“Ho acquistato presso Naturasì due confezioni dei vostri grissini “Torinesi integrali”, attratto dall’encomiabile utilizzo di farina non raffinata.
Niente da dire sul prodotto, ma sono rimasto contrariato dalla confezione interna fatta di quattro pacchetti di plastica trasparente.
Credo che la vostra clientela sia sensibile alle tematiche ambientali, e che quindi sia opportuno eliminare completamente l’utilizzo della plastica, rispondente a logiche commerciali superate ed ecologicamente non sostenibili; peraltro il prodotto è molto secco e può tranquillamente alloggiare in una nuda scatola di cartoncino senza temere il deterioramento.”
Oggi stesso mi ha risposto direttamente il Servizio Clienti di Naturasì:
“Buongiorno Francesco, grazie per averci contattato,
comprendiamo il tema che ci pone e non possiamo che dirci d’accordo nell’impegno a eliminare la plastica dalle confezioni. Porteremo il suo pensiero al nostro Ufficio Sviluppo, per un impegno ancora più concreto.
Non esiti a ricontattare il nostro Servizio Clienti per ulteriore supporto o aiuto
Cordiali saluti”
Bene, è meno di una goccia d’acqua pura nell’oceano (…infestato dalla plastica), ma sono contento di averla fornita.
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Attenzione Attenzione!!
Dopo quasi tre anni e mezzo un inatteso ritorno!!
Clicca qui.
La lotta ai rifiuti urbani è da tempo la mia preoccupazione. E’ inconcepibile, per me, che un pacchetto di biscotti abbia tre incarti di materiali diversi per cui ho fatto una ricerca scoprendo che più incarti, nel prodotto alimentare, non servono solo a garantire “freschezza e profumi” ma a posticipare la data di scadenza della merce. Più incarti prevedono meno rese, meno consegne e quindi un risparmio per chi produce.
Avevo suggerito al colosso Hera di farsi promotore di una legge che imponesse alle aziende di mettere una sigla su ogni materiale d’incarto, questo a favore di una più agevole raccolta differenziata, ma sono trascorsi anni senza che questo diventasse ovvia regola. Forse è difficile spiegare quali materiali vengono a contatto coi nostri cibi?
Vedo che qualche azienda scrive sull’incarto dove dovrebbe essere smaltito ma la dicitura “secondo il sistema di raccolta del tuo comune” sugli incarti dubbi, aiuta ben poco. Sarebbe opportuna una sigla per agevolare e rendere riciclabile ogni scarto.
Ho letto che i sacchetti cosiddetti bio lo sono (spesso) solo per il 40% e che la plastica è aumentata da quando si è imposto il costo del sacchetto monouso. Questo era prevedibile… infatti ora il consumatore, per non incorrere nel balzello, compera frutta e verdura confezionata e questa lo è con materiali non degradabili con conseguenti danni enormi per l’ambiente e la salute.
Beh, in certi casi il detto “non prendertela troppo, pensa alla salute” qui non vale per cui ti scrivo con le sopracciglie aggrottate.
Un sorridente ciao.
Sopracciglia molto aggrottate, quando l’attenzione critica mette in evidenza le criminalità contro l’ambiente, fra cui anche i criteri ambigui di smaltimento dei cosiddetti rifiuti.
Vedo con piacere confermata, fra il tuo commento e le reazioni ricevute su Facebook, la constatazione che la diffusione, tramite i media, delle personali buone pratiche ambientali costituisce un fattore moltiplicativo della loro efficacia, grazie al “fare rete”, al buon esempio e all’imporre all’attenzione degli amici argomenti di questo genere.
Non ultima, fra le ottime pratiche, l’invulnerabile capacità di un sorriso!
Buona giornata, Sari! 🙂