Un ospite (quasi) inatteso

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Se l’anno scorso la mia giornata di San Silvestro era stata caratterizzata da ritmi molto blandi, turbati solo leggermente da un filo d’ansia per l’ormai abituale ma sempre diverso incontro con la mia amica, musa e ispiratrice di vita dall’accento francese (tanto che un torpore rassicurante mi aveva portato ad assopirmi e a incontrarla poi nel sogno), quest’anno le cose sono andate molto diversamente.
Una moltitudine inaspettata e anticipata di messaggi augurali, sia telefonici che via internet, esigevano risposte anche complesse, e poi addirittura una visita a sorpresa qui a casa mia…: mi sentivo ostacolato a preparare come avrei voluto il cuore e la mente a questo fondamentale e ormai irrinunciabile incontro rituale di Capodanno.
Quando, intorno alle otto e mezza di sera, ho sentito suonare per la seconda volta il campanello,
mi sono detto, fra me: “Ma che succede? Che scherzi mi sta combinando quella dannata benedetta donna, nel togliermi da sotto i piedi lo spazio del nostro incontro ?”
Ma era lei.
Questa volta nuovamente in carne ed ossa.

Giacca a vento azzurra, cuffia di lana gialla e arancione, jeans ricamati con motivi floreali, guanti di lana viola e, a tracolla, un grande tascapane di lana a strisce scure.
“Bonsoir mon ami,” mi fa con l’espressione più naturale di questo mondo, su quegli occhi chiari un po’ appannati dalla nebbia gelida.
Fra lo sbigottito, il rassicurato e l’inadeguato, riesco solo a risponderle con le stesse parole, identiche al suono.
Ma una volta entrata, ancor prima di lasciarla togliersi il giaccone e i guanti, mi getto fra le sue braccia avidamente, con il cuore che batte forte.
Mi cinge a sua volta, con dolcezza, ma ben presto si scosta un po’ e: “Ti ho portato delle ‘croque monsieur’, ovviamente vegetariane,” mi fa. “Tu hai qualcosa da bere?”
“Certo, Christine, metto subito due bottiglie al fresco.”
Poi, mentre si accomoda alla meglio, le chiedo: “Come stai, se ha senso chiedertelo?”
“Oh io bene, ordinaria amministrassione, non ho motivi per lamentarmi. E mi sembra che neanche tu ne abbia, da quello che hai scritto nel messaggio di fine anno.”
“Proprio così, è stato un anno importante il mio… Ma adesso mettiti comoda, così prepariamo la nostra cenetta.”
Senza chiedere permesso, va a chiudersi nel bagno per qualche minuto, mentre io mi riprendo dalla sorpresa e cerco di attrezzare al meglio la cucina per il nostro cenone minimo.

Quando cominciamo a mangiare, e a bere i primi bicchieri di prosecco, la conversazione prende piede, ma, come per un tacito accordo, i temi restano estremamente leggeri: sembra che facciamo a chi la spara più grossa, per ridere insieme, ma anche e soprattutto per allontanare le vertigini dei discorsi più impegnativi, che sappiamo ormai inevitabili fra noi.
Cenone, dunque, a base di insalata, che da me non manca mai, e sandwich francesi riscaldati al microonde.
Oltre le finestre un silenzio vigile, prima della bagarre di mezzanotte e dintorni, i cui strepiti giungono sempre anche nella zona di prima campagna ove abito.
“Che facciamo, lo mangiamo adesso il panettone o aspettiamo? Che ore sono, le nove e tre quarti…”
“Tagliane due fette, poi le metti in un sacchetto, e infiliamo tutto nella mia borsa, insieme all’altra bottiglia. Ti ricordi il nostro brindisi intorno al fuoco del pratone, ai Giardini Margherita?”
“Vuoi andare fin là?”
“No, ma ho voglia di camminare con te nella notte, e poi brindare all’anno nuovo come quella volta.”
“Agli ordini, madame, ottima idea! Ti porterò lungo il mio abituale percorso podistico, verso i campi da golf.”

La nebbia si è miracolosamente dissolta e l’aria è limpida ed eccitante, quando, ben coperti e con due gilet gialli addosso (non in segno di rivolta ma solo per precauzione…), usciamo di casa.
“Guarda laggiù, Christine, lungo il profilo delle colline: quel puntino illuminato è San Luca!”
“C’est très joli” sussurra, poi, a voce più alta e severa: “Ci siamo incontrati anche lì, ricordi il deltaplano?”
“Me ne ricordo bene…”
“C’era un bel sole” fa lei, “e tu eri andato là per la corsa podistica della mattina di Capodanno. Peccato che ora sei diventato pigro e non la fai più.”
“Eh, amica mia, si cambia, si cambia…”
E mentre la guido di buon passo, per guadagnare in fretta la strada privata che fiancheggia il fiume Idice, le prendo la mano, e le dita dei nostri guanti di lana si intrecciano.
“Si cambia,” ripeto ancora una volta, “e tu lo sai bene!”
Il silenzio accoglie e dà spessore alla mia affermazione.

La boscaglia racchiude per un breve tratto il panorama notturno di campagna: il buio e il silenzio sembrano farsi ancora più avvolgenti.
Ora possiamo camminare più adagio; le cingo le spalle col braccio e lei ricambia subito, abbracciando a sua volta i miei fianchi, proprio come una coppia di fidanzati.
“Lo sai, ho scoperto tante cose, quest’anno: quasi mi dispiace che stia finendo. Ho scoperto che la realtà che ci appare è fatta di polvere, anzi di atomi privi di materia nella loro struttura. Siamo castelli di vibrazioni.”
(E avverto, a queste mie parole, come anche noi si stia vibrando insieme.)
“E ho scoperto anche che, probabilmente, lo stesso apparire della realtà è tutta una messinscena.”
“Bravò,” sussurra lei.
“D’altra parte tu stessa, nelle ormai mille configurazioni diverse e salti spaziali e temporali in cui mi sei apparsa, ne sei una dimostrazione.”
“Bravò, sei un buon allievo.”
“Già, e tu una buona maestra: lo so che sei tu ad avermi condotto in questo cammino di conoscenza e consapevolezza.”
Ancora il silenzio magico e straniante assiste il nostro camminare, al ritmo blando di pensieri sempre più profondi.
“Ti sono grato, Christine” e la voce mi si appanna un po’. “Tu, guidandomi come un angelo custode, mi hai regalato una visione, una prospettiva, una speranza nella vita mortale che va molto oltre, e tanta possibilità inattesa di gioia.”
Osservo i suoi occhi lucenti, chissà come, e vorrei tuffarmici dentro.
E mi salgono tumultuosamente le domande, i dubbi, le mille cose da chiarire di questo mio nuovo recente cammino per così dire spirituale.
Lei lo avverte e tace, ora.
“Le prove, i segnali,” riprendo. “Più me ne arrivano, da parte della realtà, dell’universo, e più ne bramo, insaziabilmente.”
“E io non lo sono?” chiede lei con voce quasi di bambina timida.
“Certo, amore mio, sei il mio angelo custode. E anche una bella donna molto viva al mio fianco, almeno in questa notte di fine anno.”
“Credo che il mio cammino di consapevolezza, di liberazione dalla schiavitù dei desideri che non appagano mai fino in fondo, sia ancora lungo e difficile. Lo sai come sono avido di conoscenza, ma vorrei anche degli strumenti più sicuri, più facili, di elevazione autentica, di trasformazione, di allontanamento da qualsiasi genere di paura e angoscia.”
“Non avere fretta, mon chéri, ogni cosa a suo tempo. Intanto hai imparato a ringraziare, toujours e n’import quoi, sempre e comunque, per le cose del passato e del presente, tutte. Ed è un bel passo avanti n’est-ce pas?”
“Oh sì, me ne accorgo bene. Mi sembra anzi che ringraziare per tutte le innumerevoli brutte situazioni del mio passato completi il mio compito in questa vita, come di pulizia del mio karma. E di essere ormai approdato così nella mia personale isola felice, dove potranno accadere ancora tanti eventi, ma ormai nessuno più davvero brutto o spaventoso. E, da qui, di poter essere forse in grado di aiutare gli altri a sorridere e sperare, in questo mondo pieno di angoscia, brutture, dolore, disperazione.”
“Et voilà, ecco perchè quella notte, in Piazza Malpighi, mi sono affiancata col mio taxi al tuo.”
Il senso di gratitudine, verso quell’essere enigmatico e pure tanto tangibile che sento vibrare con me al mio fianco, sento che a ondate quasi vorrebbe sommergermi.
Eppure so di dover approfittare dell’occasione per chiarire più punti, e dubbi, e aneliti che mi sia possibile durante questo nuovo e magico incontro.

Siamo giunti intanto già nei pressi dei campi di golf, gelidi e abbandonati in questa notte d’inverno, notte simile a tante altre. E all’orizzonte si odono i primi stùpidi ma pur sempre festosi botti, e si intravvedono scie luminose verso il cielo.
E così, troncando il flusso ansioso dei miei pensieri, Christine perentoriamente si stacca, da quel nostro contatto eccitante nella notte buia come una febbre, e dà mano al suo tascapane per estrarne il sacchetto con le due fette di panettone e la bottiglia di spumante.
“Vai, sei tu l’homme!” e mi porge la bottiglia.
Libero la capsula e estraggo a fatica il tappo di sughero, lasciando che parta verso il cielo come un proiettile con un piccolo botto quasi insignificante.
Lei estrae due calici, li riempiamo.
“Auguri, mio adorato angelo custode!”
“Auguri a te, François, e a chi crederà a questa favola.
Che c’est la vie, la vita mortale, né più né meno, ma aperta come una finestra sull’immenso.”
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2 risposte a Un ospite (quasi) inatteso

  1. Amanda.B ha detto:

    Ecco, ogni volta è così, sempre ad un passo da qualcosa e poi stop e il prossimo anno si deve ricominciare da zero a creare l’atmosfera.

    Auguri Franz

    • Franz ha detto:

      Uno stillicidio infernale, vero? 😀
      Quest’anno avevo poche idee e poco tempo, ma credo di essermela cavata lo stesso.
      E comunque sia (…e soprattutto), auguroni cari a te! 🙂 :-*

Commenti:

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