Dalla Grande Galleria all’alto Reno – 1


Prima tappa: da Vernio al Bacino del Brasimone

La linea ferroviaria detta “Direttissima” rappresentò per lunghi anni, in coppia con l’Autostrada del Sole, la cerniera di collegamento fra il Nord e il Centro Italia.
Da quando, il 13 dicembre 2009, fu inaugurata la nuova linea ad alta velocità, i vecchi binari continuano a servire l’utenza locale nella tratta Bologna-Prato.
All’inizio di tale percorso, i treni fanno sosta in diverse stazioni del Servizio Ferroviario Metropolitano bolognese, che mi risultano molto comode; in particolare posso raggiungere quella di Bologna Mazzini in venti minuti di camminata e altrettanti di autobus.

Uscire da casa a piedi zaino in spalla ha sempre il suo grande fascino, anche se ci sono di mezzo, appunto, i mezzi, con i loro rigidi orari.
La mattina di martedì scorso, 5 marzo, dunque, prima delle otto, mi vede incamminato di buon passo verso il capolinea del 19C presso la stazione di San Lazzaro. Riesco a raggiungerla in tempo utile.
Ma l’autobus si ingolfa nel traffico dell’ora di punta, assottigliando via via il margine di tempo previsto per la corrispondenza con il treno.
L’ascensore che mi porta sopra il Pontevecchio, dove è stata incastrata la stazione di Bologna Mazzini, apre la sua porta di fronte a quelle, anch’esse aperte e invitanti, di un treno in partenza, dentro cui mi fiondo, in base anche a calcoli molto sommari sulla sua direzione di corsa. Quella sbagliata.
E così, un quarto d’ora dopo, mi ritrovo come un pesce fuor d’acqua, ma ben cosciente della mia situazione privilegiata, in stazione centrale, confuso fra la quotidiana popolazione di studenti e lavoratori pendolari.

Il progetto prevede tre giorni di cammino, da Vernio a Porretta Terme, in compagnia, da metà della seconda tappa, col mio amico Giovanni, che abita nei pressi di Porretta e che già due anni fa, sempre in marzo, mi accompagnò nei tratti finali della mia traversata, quella volta completamente a piedi e su un tracciato diverso, da casa mia in cinque giorni.

Per fortuna, come sapevo, l’attesa del prossimo treno utile è molto breve.
I tre quarti d’ora di viaggio sul regionale passano, in maniera crescente, con i finestrini oscurati dai passaggi in galleria, fino all’apoteosi dei diciotto chilometri di quella del Vernio, la “Grande Galleria dell’Appennino”, tristemente nota per gli attentati terroristici, ma di cui è davvero interessante leggere la storia (vedi qui), anche in memoria dei novantanove lavoratori che, nei lontani anni della realizzazione, ci lasciarono la vita.

Appena usciti dall’interminabile tunnel, c’è l’omonimo paese (quello dell’immagine iniziale di questo articolo), per me oggi punto di partenza.
La tappa di oggi prevede molta salita: novecento metri di dislivello, lungo una strada che Google Maps dichiara “a traffico limitato o privata”. Conoscendo i miei proverbiali limiti in campo di orientamento, mi sono attrezzato, scaricando sul mio nuovo tablet le immagini satellitari del tracciato in scala piuttosto ridotta, così da essere assistito anche in caso di mancanza di connessione alla rete telefonica.
Una piccola deviazione iniziale mi permette di fotografare l’uscita della galleria,

prima di imboccare la strada che presto sale sopra il piccolo centro abitato.

“A piedi si passa dappertutto” mi incoraggia sorridendo, con il consueto tono stentoreo della gente toscana, una signora che, dal giardino della sua abitazione, sta offrendo assistenza agli operai di un ingombrante cantiere stradale.


Il traffico stradale, che immagino di norma scarso, è completamente bloccato; so per esperienza trattarsi di una delle migliori fortune che possano capitare a un viandante che cerca la pace nel contatto con ambienti naturali.

Il primo e unico borgo posto sul mio tracciato, Cavarzano, compare presto.

La scelta dei tre giorni di questa mia camminata è avvenuta in base a ripetute consultazioni delle previsioni meteorologiche sul sito dell’ARPA regionale e il tempo, in effetti, si mantiene stabile. Tuttavia c’è una strana alternanza di aria temperata e lievi folate fredde, che mi costringono ad aprire e chiudere continuamente la cerniera anteriore del “pile”. Addirittura a un certo punto me lo tolgo, proseguendo in maglietta, ma per brevissimo tratto.

Le tracce di abitazione e attività umana non sono frequenti; il silenzio è rotto solo da un costante e discreto cinguettio e canto di uccellini che festeggiano le prime avvisaglie della bella stagione, sia pure qui molto meno precoci che in pianura.

Un improvviso grugnito nella boscaglia; lo attribuisco a un cinghiale, non senza un minimo di apprensione. Pochi attimi dopo (invece?) è una coppia di caprioli, uno dopo l’altro, ad attraversare veloci la strada.
Guardo l’erta alla mia destra, da cui provengono, e mi chiedo come potessero correre in quell’intrico e pendenza.
La pendenza della strada, invece, si mantiene costante ma non impegnativa.

La quiete e l’incanto continuano a imporsi in un teatro, come tanti ce ne sono (tutti da scoprire), certamente non lontano dalle principali direttrici stradali, che rimangono però ben nascoste dalle alture circostanti. Al di là di un po’ di sonnolenza per quella che, per le mie abitudini, è stata una levataccia, ne sono felice: è esattamente quello che cercavo per questa mia escursione inaugurale della nuova annata.

Verso lo scadere della terza ora di cammino la fatica, quasi improvvisamente, si fa sentire nelle gambe.
E’ l’una, e una sosta si impone, anche perché ho raggiunto i mille metri di altitudine dell’Alpe di Cavarzano, punto di incrocio di alcuni itinerari.


Mi siedo sullo scalino davanti alla porta di un edificio deserto ed estraggo dallo zaino dapprima una mela, che taglio in quattro fette


poi un godibilissimo panino fatto con due fette di pane di segale integrale farcite con crema di zucchine e porri.
Anche tralasciando aspetti etici di qualunque genere, non c’è spuntino carnivoro in grado di competere!
(Pubblicità “occulta”: alla COOP si trovano confezioni di pane di segale biologica a prezzi molto convenienti).

Rinfrancato dalla sosta, riprendo il cammino, ora in discesa.

La primavera, quassù, sembra davvero ancora lontana: ad esclusione dei sempreverdi, gli alberi sono spogli, in assetto invernale, così come la natura circostante, in cui prevalgono tinte smorte.

Ed ecco, inaspettato, mi appare a valle il Bacino del Brasimone, oltre il quale troverò il mio alloggio: una bella sorpresa!

Ho concordato con i proprietari del bed and breakfast il mio arrivo per le quattro: immagino che dovrò gestire una buona ora di anticipo.

La strada sembra divergere dal lago, ma la mancanza apparente di qualsiasi bivio mi fa procedere tranquillo per un certo tratto, finché non decido di consultare il navigatore.
Responso sgradevole. Mi sto allontanando dalla meta: esattamente al confine regionale fra Toscana ed Emilia ho imboccato la Via del Bosco di Sopra anziché proseguire lungo la Strada dell’Alpe di Cavarzano.
Quando riguadagno il punto critico capisco il perché dell’errore: un cancello molto austero, che ha tutta l’aria di proteggere una villa, protegge in realtà il proseguimento della strada.
Per fortuna un pertugio a misura di pedone permette di intrufolarsi.

La via, fiancheggiata da un torrente, procede lungo una gola stretta e ombrosa, in ripida discesa.
Dopo tre o quattrocento metri, nuovo cancello austero e chiuso, del tutto simile al precedente.

Recinzioni e filo spinato, manco si trattasse di un campo di concentramento, rendono impossibile superare l’ostacolo.
Non mi do per vinto: proseguo lungo il recinto, sperando in un varco.

La sede su cui cammino si restringe sempre di più, fino a diventare uno stretto scalino prospiciente un pericoloso salto nell’insenatura del fiume. Avanzo ancora qualche metro aggrappandomi alla meglio alla rete di recinzione, ma il pericolo aumenta.
Bisogna cambiare strategia: torno indietro finché non diventa possibile inoltrarsi verso il letto del torrente.

Il percorso fuori strada si rivela denso di insidie: oltre a dover guadare più di una volta, mi tocca avanzare su un terreno impervio, dove un letto di foglie secche nasconde tratti fangosi o scivolosi. Riesco ad affondare uno scarpone dapprima nel fango, poi nell’acqua del torrente, che entra fredda e insolente a bagnarmi il piede.

La spia dell’emergenza si accende nella mia mente, contestualmente all’aumento massimo dell’attenzione. E infine anche al senso dell’inutilità dell’impresa: lassù la strada è sempre superprotetta e sembra impossibile poter trovare un accesso più a valle.
Dietro-front.
Riguadagnare il cancello sbarrato mi costa fatica e attenzione, ma temevo peggio.
Devo ora risalire al primo cancello, dove avevo sbagliato strada, e cercare intanto sulle mappe di Google una via alternativa.

L’unica possibilità sembra quella di imboccare nuovamente la Via del Bosco di Sopra, poi proseguire aggirando un monte fino all’abitato di Castiglione dei Pepoli. Due ore buone, malaugurate, di cammino aggiuntivo.
Ma proprio vicino al pertugio del primo cancello scorgo delle indicazioni di un sentiero del CAI e della “Maratona dei laghi”.
Lo imbocco senza troppi dubbi.
E’ costellato di segnali frequenti e ben visibili

e tale si mantiene a lungo, anche se di tanto in tanto attraversa qualche tratto franoso.
Appena il telefono me lo permette, chiamo il Bed and Breakfast per spiegare la situazione e avvertire che tarderò di un’ora.
Il mio interlocutore si tranquillizza quando gli dico che sono sul sentiero numero 001 (anche se poi scoprirò che i sentieri qui sembrano chiamarsi tutti così…) e si offre di venirmi a prendere in macchina presso il centro dell’ENEA, che capisco ora essere la fonte di tutti i problemi. Naturalmente rifiuto.

La stanchezza si fa sentire, dovuta anche e soprattutto a quel fuoripista così impegnativo, ma sembrerebbe che ora si tratti solo di procedere con pazienza.
Una freccia mi indica una deviazione sulla sinistra verso il lago. Bene.
Il sentiero scende ripido nella faggeta e, a differenza del precedente, con pochi e sempre più scarsi segnavia, fino a perdersi completamente. Maledizione, non è ancora finita.
Nel risalire intravedo lontani, sul margine del bosco, dei cartelli indicatori. Li raggiungo a fatica: gli ultimi passi per guadagnare la strada forestale che li ospita sono i più sofferti.
Nessuno di quei cartelli che indichi il lago, ma da qualche parte mi porteranno.

Sorvolo il centro dell’ENEA, che ospitava un tempo una centrale nucleare, e oggi per me la fonte di tutti i guai.

Il percorso tende per fortuna a convergere con la via d’accesso al centro, sempre protetta da recinzione e filo spinato, fino ad affiancarvisi, per correre curiosamente parallela, entrambe su asfalto, verso il lago.
Questa volta davvero i giochi sono fatti.

Costeggiare il lago del Brasimone nella luce del tardo pomeriggio è piacevole, poi qualche centinaio di metri di salita verso Case Roncacce

mi portano a conquistare finalmente la meta agognata.

Informazioni su Franz

Per una mia presentazione, clicca sul secondo riquadro ("website") qui sotto la mia immagine...
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6 risposte a Dalla Grande Galleria all’alto Reno – 1

  1. scrive_roberta_mineo ha detto:

    Racconto di come positività e caparbietà stimolino il coraggio.
    Sui scarponi più seri sono anch’io d’accordo.

    • Franz ha detto:

      Grazie, Roberta, del tuo giudizio lusinghiero, che attribuisce un valore universale alla mia piccola avventura!
      Per quanto riguarda gli scarponi, ho risposto già all’osservazione di Amanda.

  2. Amanda ha detto:

    Ma un camminatore come te non meriterebbe un paio di scarponi più seri? Se l’acqua penetra per aver guadato un ruscello seri quelli non sono davvero, potrebbero metterti in situazioni critiche

    • Franz ha detto:

      Il tuo rilievo è premuroso, oltre che pertinente, dunque ti ringrazio.
      Devo dirti però che i miei scarponcini si sono molto offesi a sentirsi dare dei poco di buono…
      Sono infatti in gore-tex e con un’ottima, aderente suola di marchio Vibram. E, fra l’altro, sono dell’italiana fabbrica “La Sportiva”, di Ziano di Fiemme.
      Se non ci metto le ghette, però, essendo bassi, nulla possono contro le infiltrazioni dai bordi quando sbadatamente chi le indossa le inzuppa nell’acqua di un torrente…
      Se lascio a casa gli scarponi alti, che utilizzo durante le vacanze in montagna, è perché i miei viaggi si svolgono normalmente su strada (bianca o asfaltata) e preferisco affrontarli con comode scarpe da podismo, tenendo nello zaino quelle in questione (utili soprattutto in caso di pioggia), che hanno l’evidente vantaggio di ingombrare poco.

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