Dalla Grande Galleria all’alto Reno – 3

La giovane e paffuta tuttofare dell’albergo, impegnata nel bar, controlla la nostra prenotazione, poi ci chiede di aspettare qualche momento prima di portarci nelle camere che ci spettano.
Appena si libera, in prima battuta ci informiamo sull’orario della cena. “Mi dispiace, il mercoledì il ristorante è chiuso.” Vedo Giovanni molto spaesato, sia perché mi aveva garantito che l’albergo chiude il martedì (come in effetti sta scritto sulla vetrina d’entrata), sia perché me ne aveva decantato la cucina un po’ saporita, che io non ricordavo.
“Non ci sono altri posti per mangiare?” intervengo io.
“Sì, c’è il pub. Telefono subito per avvertire; mal che vada qualche tigella ve la facciamo.”
La telefonata va a buon fine: “Mi ha detto che dalle sette in poi vi aspettano!” ci comunica trionfante.
Poi ci dice di uscire, aggirare il locale e aspettarla al primo portone sulla sinistra.
Il passaggio esterno, sotto un piccolo voltone, è un ricordo di due anni fa che si riaccende, improvviso e piacevole.
Tre piani di scale ci portano alle nostre due stanze, un po’ spartane ma accoglienti, mansardate sotto travi di legno che, pur costringendomi a camminare sempre curvo, non mi risparmieranno un paio di botte in testa.

Un’ora e mezza di riposo mi è ben accetta, per smaltire gli oltre diciotto chilometri della mia camminata odierna, a insindacabile giudizio di Google Maps.
Quando usciamo, poco prima delle sette, il paese è già piombato in una dimensione notturna e straniata.

Saliamo in una zona meno centrale e più aperta, ma altrettanto deserta e silenziosa, dove si possono osservare in lontananza le piccole luci di abitazioni e agglomerati collinari.
L’insegna vistosa e luminosa del pub sembra sfacciatamente accesa solo per noi.
Entriamo nel locale vuoto e, dopo qualche attimo, vediamo comparire una giovane sorridente, che ci fa strada nella sala più grande e ci fa capire che siamo giunti ben presentati.
“Si può abbassare il volume?”
“Se volete la spengo!”
Nostra titubanza di cortesia, ma lei ci dice che tiene accesa la tivù solo per fare compagnia in cucina e spegne il fastidioso televisore, lasciandoci con i menù nella sala tutta nostra, anche acusticamente.
E’ solo il primo gesto di una gentilezza, sistematica e molto accattivante, che ci mostrerà nel corso di tutta la cena.
Abbiamo una certa età, ma entrambi non siamo insensibili a questo genere di fascinazione femminile.
“Peccato che abbia la fede”, in un momento in cui lei non c’è dico a Giovanni, meno rapido di me nel leggere questi (peraltro inutili) dettagli. Ma è poi lei stessa che, correttamente e sia pur in tono scherzoso, nomina suo marito come presente e attivo nella cucina.
I piatti che ordiniamo, oltre che curati nell’aspetto, sono buoni e non fanno rimpiangere l’esilio dal ristorante dell’albergo.
Alla fine c’è per noi anche, addirittura, un piccolo omaggio: due eleganti penne-biro con tanto di piccola luce led a pressione, a un’estremità, e sferetta di gomma dura per il “touch-screen” dall’altra (cioè in cima al cappuccio).

Castel di Casio in versione notturna torna ad accoglierci nel breve tratto verso la piazza.
La dimensione urbana di un silenzio così abissale, lontano da qualsiasi mia abitudine, mi lascia una forte impressione, austera ma non priva di fascino.

Alle prime luci del mattino mi sveglia il furioso ululato del vento, poi riesco pian piano a riprendere sonno.
Alle otto ci ritroviamo al bar, dove ci viene concessa una colazione abbondante, benché non molto varia e, quando senza fretta decidiamo di andare, un conto sorprendente: sconto di due euro, probabilmente a causa del disagio relativo alla cena, sui soli trenta a testa già pattuiti.

Terza tappa: da Castel di Casio al Ponte della Madonna (dintorni di Porretta Terme)

Appena fuori, ci si presenta senza cerimoniali l’avversario della nostra camminata odierna: continue raffiche di fortissimo vento freddo. Non ci facciamo spaventare: i chilometri previsti, anche sulla variante d’itinerario studiata dal mio amico, non sono molti: dovrebbero permetterci di arrivare intorno a mezzogiorno. Peccato che, oltre al disagio di quella forza della natura, che sembra divertirsi nell’ opporsi frontalmente al nostro cammino, le tinte del cielo e del paesaggio si presentino cupe e livide.


Ripercorriamo, inizialmente, una parte del cammino fatto ieri, passando presto per il borgo di Case de’ Moratti.
Concentrati a procedere contro vento, quasi non ci ricordavamo dell’implicito appuntamento con il signor Sauro.
E’ lui ad accorgersi di noi: da una finestra orientata alle nostre spalle ci urla un saluto.
Probabilmente era in vigile attesa del nostro passaggio, che forse costituirà un altro piccolo evento nella sua vita fatta di solitudine e ricordi (almeno nelle giornate in cui risiede qui).
Questa volta ci limitiamo a salutarci da lontano e, nel congedarmi, bado a pronunciare il suo nome.

Si procede, fra piccoli borghi colorati e bluastri scorci panoramici.




Un’indicazione stradale più che mai appropriata:

Finché non giungiamo all’inizio di una bella mulattiera in ripida discesa, vigilata da un cagnetto furibondo nei nostri confronti.


Grazie alla boscaglia circostante, il vento sembra acquietarsi un po’.
Giovanni mi racconta che di qui saliva settimanalmente la gente di Porretta per andare al mercato; tempi ormai remotissimi…
E in effetti compare presto, in fondo alla valle del fiume Reno, la cittadina termale, dove terminerà la nostra camminata odierna e la mia intera traversata.

In un anfratto della boscaglia,

fra i rami di un albero, come una magia compare anche un vistoso sacchetto bianco.
Il mio amico lo recupera e ne estrae, et voilà, un paio di scarponi più adatti per la sua discesa.
Nulla affidato al caso: nella mattinata di ieri, mi racconta a sorpresa, si era recato apposta in automobile nelle vicinanze per effettuare il deposito strategico…

La pendenza della stradina è così ripida da rendere molto veloce l’avvicinamento al nostro traguardo.
Tanto che alle undici e mezza posso documentare il raggiungimento, come due anni fa, di un fiume Reno, giovane ma già baldanzoso nel suo corso fiancheggiato da canneti, che a valle lo porterà, con uno scarto deciso, a evitare la confluenza nel Po e a farsi strada da solo fino al mare Adriatico.

La casa di Giovanni si trova poco prima del ponte che immette nel comune e nel centro abitato di Porretta.
Abbiamo tempo di riposarci un po’, prima della pizza di congedo, di fronte alla stazione.
Anche se vi ci rechiamo in macchina, scatto un’ultima foto che ritrae il caseggiato nel centro del paese, sotto un cielo ora finalmente azzurro.

Dopo la pizza, devo attendere tre quarti d’ora la partenza del treno per Bologna.
Ci siamo già salutati, e Giovanni mi ha consigliato premurosamente di salire sul treno, sicuramente già presente sul binario.
Il treno c’è, ma resterà chiuso fino a dieci minuti prima dell’orario di partenza mentre, implacabile, il vento continuerà a soffiare rabbioso sulla pensilina.

Informazioni su Franz

Per una mia presentazione, clicca sul secondo riquadro ("website") qui sotto la mia immagine...
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2 risposte a Dalla Grande Galleria all’alto Reno – 3

  1. Amanda ha detto:

    La prima foto è splendida

    • Franz ha detto:

      Non so se alludi al notturno o alla prima foto in cammino, quella del sole offuscato.
      Comunque grazie, e già che siamo in argomento: verso la fine (travagliata) della prima tappa, anche la macchina fotografica mi aveva dato forfait con la batteria scarica, e da quel momento ho dovuto accontentarmi della fotocamera, piuttosto limitata, del tablet…
      (A proposito: sto interessandomi alle possibilità di scaricare le foto digitali dalla macchinetta al tablet, in vista dei viaggi estivi in cui scriverò i racconti in itinere).

Commenti:

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