La felice condizione di chi non deve lavorare permette di prepararsi e organizzarsi per un viaggio con molto anticipo.
Comprato già da tempo il biglietto Bologna-Aosta del pullman Flixbus delle sei di mattina (orario utile per poter prendere la coincidenza verso il Passo), mi sono messo a controllare quotidianamente le previsioni del tempo sulla Val d’Aosta da domenica 23 giugno, giorno della partenza, leggendole sempre, e sempre con grande conforto, sul bello stabile.
E allora, per semplificarmi la vita nei giorni iniziali del mio cammino, ho cominciato a cercare di prenotare anche gli alloggi per le prime notti, con l’emozione di sentirmi già nel pieno della nuova avventura.
Con le mie brave difficoltà, alla fine ci sono riuscito, fino a mercoledì.
Tutto sotto controllo, come piace a me (se escludiamo un fastidioso e persistente indolenzimento muscolare alla zona lombare, affrontato con frequenti stiramenti), …fino alla sera di mercoledì scorso, quando la Flixbus mi comunica, con rammarico, la cancellazione del mio viaggio, indicandomi una prenotazione alternativa, via Bergamo.
Peccato (…e rammarico al quadrato), che così salta la coincidenza verso il Gran San Bernardo.
Bisogna risolverla in fretta: decido di cercare alloggio ad Aosta sabato 22 e spostare la prenotazione del bus a sabato pomeriggio, prima che risulti completo.
Alla fine risolvo l’emergenza, ma l’aggravio economico di una notte in più, in un bed and breakfast decisamente più caro dei miei standard, mi lascerà lo scrupolo di essermi lasciato prendere dall’ansia: la sobrietà, anche dal punto di vista del portafoglio, è un elemento essenziale del mio stile di viaggio.
Scrivo a Flixbus, chiedendo il rimborso del pernottamento e minacciando cattiva pubblicità, per ora senza esiti, ma vi aggiornerò.
La notte prima della partenza dormo poco e male, assistito e vegliato da un inspiegabile malessere alla zona bassa dello stomaco. Mi alzo di cattivo umore e preoccupato di essere vittima della maledizione che compromise la partenza della mia Tirreno-Adriatico un anno fa.
Colazione leggera e lievemente anticonvenzionale: mezzo cetriolo (estratto prima di svuotare e spegnere il frigo) e qualche piccolo pezzetto di pane alla segale e salsa di olive e capperi che preparo come pan di via.
Arrivo in autostazione a mezzogiorno, con un’ora di anticipo, che poi diventano quasi due per il ritardo del mio Flixbus, correttamente segnalato dall’azienda di trasporti tedesca tramite sms.
La lunga attesa non mi è pesante: osservo l’umanità davvero varia e cosmopolita che mi sta intorno. E un benvenuto appetito mi porta a consumare uno dei due panini alla salsa. Va molto meglio.
Trovo un posto senza nessuno accanto sul confortevole bus verde e arancio di fabbricazione Mercedes.
Partenza; è bello vedersi scorrere silenziosi al di fuori dell’autostazione, sul ponte di via Stalingrado fino alla tangenziale.
Il traffico in autostrada rende lunghissimo il raggiungimento del bivio per il Brennero dopo Modena Nord, poi si riprende a scorrere silenziosi.
La rapida perturbazione annunciata per oggi si manifesta con nuvoloni scuri e pioggia sempre più scrosciante (ma niente in confronto al nubifragio con devastanti grandinate che fra poco si abbatterà su Modena e Bologna).
Il viaggio procede a una velocità di crociera che lo renderà lunghissimo, eppure non soffrirò mai la fretta di arrivare, cullato in una dimensione molto più discreta e rilassante che su qualsiasi treno abbia mai viaggiato.
Come in un film senza audio, vedo il nostro veicolo prendere l’uscita per Parma poi, di rotonda in rotonda, giungere fino alla stazione ferroviaria e all’autostazione, per una brevissima fermata.
Altra deviazione, un’ora e mezza dopo, per Milano, con una ben più lunga circumnavigazione sulla tangenziale ovest, fino alla fermata in corrispondenza della metropolitana. Lembi di campagna fanno sembrare lontanissimo il centro abitato della metropoli, poi densi centri commerciali, grattacieli, prima dell’enorme area fieristica di Rho-Pero.
Cerco di inquadrare ciò che vedo con i ricordi dei miei lunghi anni di trasferta, ricordi che sembrano voler ribollire d’improvviso.
Alla fermata, fra le persone che salgono, viene a sedersi accanto a me un giovane dalla pelle scura.
“Hallo, how are you?”
“Well” gli rispondo con un sorriso sincero, mascherando però il timore di venire stressato, di qui in avanti, da conversazioni in inglese per me molto complicate. Non succederà.
Autostrada per Torino, nuova fermata a Novara,presso il casello, dove non sale né scende alcuno.
Autostrada per Aosta, Santhià: esce un gruppetto di anziani che devono ritrovare qualcuno per andare a Biella e hanno tenuto banco con le loro telefonate.
E ora cambia, o forse comincia, lo spettacolo: si entra in Val d’Aosta, sotto un cielo che sembra indeciso se volgere al sereno o scaricare furiosi temporali.
La quiete interiore che mi ha accompagnato fin qui ora volge in un inatteso, lieve e malinconico struggimento.
È come se mi sentissi inadeguato, per accumulo ormai senile di esperienze, a nuove varianti di novità e bellezza, il cui dolce richiamo mi pare ingannevole.
Di tanto in tanto fa da contraltare a questo mio sentimento l’immagine della Dora Baltea, vivace e schiumeggiante su un letto già molto largo. Inutile tentare di fotografarla: il pullman guizza via ancora più veloce.
Riesco a fotografare invece, molto di striscio, il castello di Fenis, nei cui pressi è prevista una delle prime tappe del mio viaggio a piedi.
L’arrivo ad Aosta avviene con un’ora e venti di ritardo, alle otto in punto. Ho già avvertito i miei affittacamere di aspettarmi per le otto e mezza. Hanno insistito per venirmi a prendere in macchina, ma non ne ho voluto sapere.
Aosta mi appare così:
Il sabato sera ferve di vita nella piazza centrale, dove si svolgono, cinti da reti di protezione, dei tornei di calcetto e altri sport.
Arrivato puntualmente a destinazione, non trovo nessuno.
“Mannaggia” mi fa la signora per telefono, “sono uscita col cane! Mi aspetti due minuti.” Tempismo perfetto.
Arrivano in tre, lei il cagnetto e lui; quest’ultimo, il più trafelato, si sbraccia da lontano per tranquillizzarmi.
Familiarizziamo e mi portano in uno spazioso appartamentino mansardato.
Come amo fare in queste circostanze, regolo subito i conti per essere libero l’indomani.
Ultime luci sulla giornata:
Con la ricevuta mi portano pure la colazione, che mi serve anche, in parte, per integrare il secondo panino consumato sul finire del viaggio: una bella mela e una tisana coi biscotti.
Il materasso è comodo, ma prima dell’una di notte non riuscirò a prendere sonno, per il rumore infernale dei veicoli che sfrecciano sulla statale.
Una fantastica domenica mattina, assolata limpida e tiepida, rimuove dalla mente ogni residuo di malinconia.
I tornei in piazza continuano,
mentre gli amplificatori diffondono la voce del mio concittadino Cesare Cremonini:
“Ma com’è bello andare in giro
per i colli bolognesi
se hai una Vespa Special che
ti toglie i problemi”.
Eccola qua, a poca distanza dal Monte Bianco e dal Cervino, tutta l’arroganza provincialotta del nostro rampollo di buona famiglia…
Prima di andare a fare il biglietto per il bus (previsto alle due) e di concedermi successivamente una bella insalatona con una birra in un bar centrale, rubo un’ultima immagine a una radiosa domenica mattina in epoca solstiziale.
Sul pullmann della SAVDA sale insieme a me soltanto una famigliola di lingua francese.
Nell’ora abbondante di spettacolare salita ai duemilaquattrocento e rotti del Gran San Bernardo, mi limito a scattare solo un paio di foto, sapendo che ripercorrerò tutta la valle nei prossimi due giorni.
La lunghezza del tragitto mi mette molto sul chi vive per la prima tappa. Sapevo dei milleseicento di dislivello in discesa, ma i chilometri dal Passo fino a Gignod mi sembrano molti di più della ventina riportata da tutte le guide della Via Francigena. Temo abbia ragione il vecchio buon Google Maps, secondo cui, sia pure misurati sulla statale e non sulla rotta dei pellegrini, sono molti di più.
Decido che, all’ostello benedettino dove sono alloggiato, chiederò di poter partire molto presto, anche rinunciando eventualmente alla colazione.
Quando scendo dal caldo abitacolo del bus, il salto di quasi duemila metri si fa sentire, in primo luogo nella temperatura piuttosto frizzante.
Ma lo spettacolo è imponente.
Appena oltre il confine è posto l’imponente edificio dell’ostello.
L’accoglienza è molto particolare: una sorta di pacata gentilezza, da parte del personale, sia laico che confessionale. Mi offrono una cuccuma di tè caldo.
L’unica cosa su cui insistono delicatamente ma a più riprese, come avevano fatto in sede di prenotazione, è sulla mia rinuncia alla mezza pensione (cattivo rapporto qualità/prezzo sulle molte recensioni).
Sicuramente sta loro a cuore la convivialità… o non sarà forse, quella, la loro principale fonte di affari?
Comunque la cosa che mi sta più a cuore, cioè la possibilità di alzarmi e partire molto presto, mi viene garantita, non solo, ma mi faranno trovare la colazione.
Mi faccio accompagnare nella camerata assegnatami, dove al momento è presente solo un tipo anglofono.
Con cura organizzo il mio sacco lenzuolo e tutto il materiale pronto per la partenza ufficiale della mia nuova avventura.
A domani, spero in condizioni fisiche non troppo stravolte!
Portarsi dentro l’ imponenza emotiva dell’ inizio e’ una carica per i giorni a venire!
Proprio vero, Ceci, e ti assicuro che, in questa prima massacrante tappa, ne ho avuto bisogno, come presto racconterò.
Spettacolare il passo, io non ci sono mai passata da adulta, buon passo
L’inizio di questa camminata, paesaggisticamente, davvero strappa l’applauso.
Grazie, cara Amanda!