“Le faccio i complimenti, signora, per l’ottima gestione dell’hotel.”
Sono le otto e mezza, quando varco la soglia di un albergo di altissima qualità a prezzi modici. Se programmate una gita al castello di Fénis, andateci; si chiama “Comtes de Challant”.
Poco prima, con ‘nonchalance’, avevo lasciato la sala che sembravo Benigni quando esce dal supermercato nel film “Johnny Stecchino”, con tutte le tasche e il marsupio pieni zeppi di frutta fresca e secca (da segnalare, questa volta, i grappolini di squisita uva da tavola), fette di ottimo pane semintegrale e fettine di caprino, insomma tutto l’approvvigionamento per una giornata di cammino intenso.
E prima ancora, era stata questa l’immagine del buongiorno dalla terrazzina della camera:
La prima parte del percorso odierno è una marcia di avvicinamento di un’ora e mezza, per ritrovare il tracciato standard francigeno, che corre sull’altro versante della Dora; avvicinamento ottimizzato per guadagnare terreno, fino alla località di Chambave.
Gran parte di questo tragitto avviene su una nuova graditissima pista ciclabile in sede propria, che inizialmente costeggia un lungo e vivace canale,
offrendo, sul lato opposto, una bella vista su grandi prati solcati da una ferrovia non elettrificata.
Un sole un po’ velato e molto afoso, nonostante l’ora mattutina, mi guarda frontalmente da Est.
Una curiosa sequenza di ponti appena sopraelevati sul livello dell’acqua:
prima di riaccostarsi per un breve tratto, dalla parte opposta, alla fascinosa Signora della valle.
Un po’ furtivamente, catturo l’unico gruppo di pedalatori che mi capita di incrociare,
prima che il mio percorso abbandoni la pista ciclabile per sfruttare un ponte sulla Dora, poco dopo aver valicato quello su un suo furioso affluente.
L’incontro a Chambave con l’itinerario francigeno avviene in maniera piuttosto eloquente…
Cerco di cogliere l’atmosfera di antica e suggestiva quiete di questo paesino,
superato il quale, il percorso piega a sinistra impennandosi improvvisamente a monte.
È la prima salita impegnativa che incontro, dopo tanta discesa dai nevai del Gran San Bernardo, e la fatica viene amplificata dal clima cocente.
In tempo abbastanza breve si guadagna altitudine e panorama.
Placatasi finalmente la salita, riprende il gioco che ho imparato a conoscere, cioè l’attraversamento di minuscoli borghi per viottoli stretti e tortuosi.
È già quasi mezzogiorno quando raggiungo l’abitato, e poi il centro, di Châtillon.
Sono passate già tre ore e mezza dalla partenza e mi sento molto trafelato.
Si impone la sosta di metà percorso a un bar.
Quello che vedete in primo piano è il solito succo di frutta, a fronte di chinotti ancora una volta presenti ma rigorosamente gelati.
Mi sto gelando anch’io, sotto la corrente di un ventilatore: mi accorgo di avere la maglietta insolitamente fradicia di sudore.
Estraggo dallo zaino quella di ricambio, vado in toilette e la indosso, dopo essermi rinfrescato e asciugato alla meglio.
Buone notizie mi arrivano da Google: ho già fatto più di metà dei ventuno chilometri previsti.
La realtà si presenterà poi, invece, molto, ma molto diversa…
Per pochi metri mi addentro nel centro storico, poi la Via Francigena fa un secondo scarto a monte, sulla sinistra, passando prima dalla chiesa parrocchiale, poi sempre più su.
Si riprende già a sudare…
In uno degli ultimi lembi un po’ edificati lungo il sentiero vedo un tipo, sulle prime mi sembra malinconicamente un bambino, che sta giocando da solo a bocce.
Sferra senza successo una bocciata proprio mentre sopraggiungo.
“Mancata!” gli faccio.
Si gira con un sorriso; non è un bambino, ma un uomo sulla quarantina, dal fisico molto asciutto.
“Bisogna allenarsi di più” rincaro scherzosamente.
Lui gradisce: “Eh sì,” ribatte, “ogni cosa nella vita è frutto di molto lavoro…”
Sono attimi giocosi che precedono la parte più sofferta di questa mia terza giornata di cammino.
Il tragitto, ancora una volta marcato da segnali a singhiozzo (a volte fin troppi, a volte assenti o sostituiti da frecce multicolori, o indicatori di altri lunghi itinerari) continua a salire sempre più.
Consulto gli strumenti cartografici a disposizione e decido di tornare indietro, alla ricerca di una deviazione verso una strada che corre più bassa nella direzione giusta.
La trovo, e dopo un po’ che la percorro ho la lieta sorpresa di ritrovare i segnavia con l’effigie del pellegrino.
Ma i guai non sono finiti.
Riportato nella boscaglia, seguo in discesa un sentiero sempre più infrascato, per finire poi nuovamente su una strada regionale. È quasi un sollievo: di qui Google Maps mi porterà a destinazione, e al diavolo il pellegrino stilizzato nei segnali.
Con questa decisione, e la sensazione di aver sprecato un sacco di tempo e fatica, procedo con ritrovata baldanza.
Tanto che a un certo punto, guardando in alto, intuisco che il sentiero francigeno non può essere lontano, vista la scarpata più sopra, e la tentazione di provare a raggiungerlo nuovamente mi si riaffaccia.
“Sono o non sono Indiana Franz?”.
Mi butto a quattro zampe, superando piccoli salti e recinti, nella risalita e alla fine, faticosamente, lo ritrovo.
Proseguendo, capisco che è associato a un percorso molto ben segnalato, con tanto di tempi di percorrenza, che, dopo aver aggirato in modo aereo l’abitato di Saint Vincent, porta alla chiesa di Montjovet, non lontano dal mio bed and breakfast “Chez Milliery”.
Mancano, secondo i segnali, oltre due ore alla meta.
La fatica è già tanta, ma ora almeno mi sento sicuro sull’itinerario.
Un percorso estremamente vario, che alterna zone abitate con strade asfaltate a stradine nei boschi.
E ancora molti massacranti saliscendi.
Ve lo racconto per immagini:
Come un bambino, prima di fotografarlo, mi lascio inzuppare da quel potente getto d’acqua, ed è gioia pura.
Non solo, ma per recuperare il cappellaccio che mi è volato via, mi tocca fare il bis della fantastica doccia.
E la faticaccia volge al termine: eccomi in vista di Montjovet.
Ho avvertito la signora Ornella, che mi ha dato appuntamento nella piazzetta della frazione Vignola, e, quando la vedo arrivare, vuole assolutamente portarmi lo zaino fino alla graziosissima casetta, dove mi offre un’intera caraffa di tè freddo (ma non troppo) e dolce (ma non troppo), e una piacevolissima chiacchierata.
Tutta la fatica si è gia magicamente dileguata.
Quanta meraviglia!
Credo che, a me per primo, la gioia di quella doppia doccia fredda sotto il getto, e di quelle molte tazze di tè freddo, abbiano da insegnare qualcosa!
Paesaggi incantevoli, e lieto fine
Anche nel più… canonico dei cammini, le avventure e le emozioni non mancano mai!