La saletta a pianterreno dell’ostello, attigua all’atrio, al refettorio e alla cucina, aveva un discreto circolo d’aria, ieri sera mentre scrivevo il mio quotidiano diario di bordo.
Terminate le operazioni al tablet intorno alle dieci, quando non c’era più in zona nessuno, sono salito in camerata per andare a dormire.
I tre giovani coinquilini stranieri erano già tutti in branda. Le finestre, chiuse, lasciavano comunque passare un forte rumore continuo di scroscio, dovuto al ramo torrentizio della Dora,
utilizzato di giorno come palestra di canoa. Sembrava quasi di sentire una ventola di condizionatore al massimo dei giri.
Amaro inganno: l’aria era torrida. “Qui è impossibile dormire” mi dico senza un attimo di indecisione.
E torno giù, a sdraiarmi sul divano, sopra la maglietta usata come lenzuolo minimale.
Capisco che ora il problema non sarà né il caldo, né la scomodità dei braccioli, ma il timore che qualcuno della gestione mi veda e si spaventi, o magari mi costringa a tornare su.
Sembrerebbe che la notte non ci sia presidio, ma non si sa mai.
Cerco di rilassarmi, ma per due volte balzo a sedere, nel sentire aprirsi il portone. Falso allarme: sono altri ospiti che non passano dalla saletta ma salgono direttamente le scale, verso un’altra camerata.
E alla fine mi appisolo.
Alle cinque e mezza, proprio l’orario ideale per la mia sveglia, uno dei tre giovani mi passa davanti per la colazione, svegliandomi di soprassalto.
Ma ben riposato e felice di aver superato anche questa nuova sfida.
Mi attardo nelle operazioni mattutine, compreso radermi una barba di tre giorni, e rispondere a un questionario sul tratto piemontese della Via Francigena.
Nell’uscire, consegno quest’ultimo sul tavolo dell’accettazione e non resisto alla curiosità di sbirciare quello che, nella versione in inglese, ha compilato uno dei tre mancati miei compagni di stanza.
Età: 18
Provenienza: Michigan, U.S.A.
Media chilometri percorsi al giorno: 32
Data inizio: 15 maggio
Località di partenza: Canterbury
Località di arrivo: Rome.
Storie da un altro pianeta, ove degli alieni dormono in condizioni ambientali assurde…
Quando esco sono già le sette e mezza.
Nuvoloni solcano il cielo; l’aria è molto fresca.
Passo sopra la Dora Baltea, di cui ho seguito giorno dopo giorno il corso e la sua trasformazione da torrente alpino a nobile fiume, che si dirige ad alimentare il Po.
Una lieve ombra di struggimento mi prende, sapendo che è l’ultima volta che la vedrò in questa occasione.
Quaranta minuti buoni mi ci vogliono per uscire dall’abitato di Ivrea.
Il sabato mattina è tranquillo e popolato, immagine ricorrente, da cani e padrone a passeggio.
Ne scorgo un’altra accoppiata, una volta finalmente in mezzo al verde.
Mi precedono per lungo tratto, marciando alla mia stessa velocità, fino ad arrestarsi in riva a un lago, dove, tramite l’irresistibile lancio di un bacchetto di legno, il quadrupede viene costretto a una rinfrescantissima nuotata.
E si procede, in mezzo a una natura silenziosa e amica, ritrovando finalmente un animo leggero e felice che le grandi difficoltà dei giorni scorsi avevano in gran parte inibito.
Un nuovo esemplare di mirabolano, generosamente fornito di frutti maturi, mette alla prova la mia abilità ormai consumata e famosa di ladro vegano.
“Faccio il pieno di frutta” esclamo a una giovane coppia di escursionisti che, proprio come quel disperato che mi intimò di non rubare, stanno transitando nello stesso momento.
Finito il raccolto, mi ritrovo sulle loro tracce, a un’andatura che in breve tempo mi permette di raggiungerli.
“Anche voi francigeni?” sono io a rompere il ghiaccio.
Mi rispondono che stanno solo facendo un allenamento. Sono di Ivrea e, fra una settimana, partiranno per il Gran San Bernardo, per percorrere lo stesso mio itinerario fino alla loro città.
Li metto in guardia sui chilometraggi ingannevoli.
E ci scambiamo impressioni su mappe, applicazioni e quant’altro.
Lei ha fatto il Cammino di Santiago e mi riferisce che, là, le possibilità di alloggio a prezzi molto bassi sono all’ordine del giorno.
Si finisce a parlare della cosiddetta “Credenziale del pellegrino”.
Si tratta di un fascicoletto predisposto alla timbratura nei posti tappa e utile per attivare le convenzioni con gli alloggi.
La si richiede versando cinque euro all’associazione ufficiale della Via Francigena, cosa che anch’io avevo fatto, salvo poi, preso dalla smania di ridurre allo stretto indispensabile il bagaglio, decidere di lasciarla a casa.
“Mi sembrava di dover fare la raccolta punti della COOP”, spiego loro, denunciando che ho già avuto modo di notare, con disappunto, come quel pezzo di carta sia in realtà richiesto frequentemente.
“Ho l’impressione che, dietro, ci sia del business. Cinque euro son pochi, ma moltiplicati per migliaia hanno il loro peso…”
Avverto che non mi seguono, su questo piano, lei soprattutto, presa com’è dal mito del pellegrinaggio.
Provo a cercare terreno comune sulla ricchezza di esperienza del viaggiare a piedi, con gli occhi aperti sul variare continuo di ambientazioni e situazioni.
Silenzio; anche qui diffidano dal darmi corda.
Mi ricordano molto quel neolaureato, di esplicita fede leghista, diretto da Padova a Roma, che incontrai l’anno scorso nel mio viaggio di ritorno a piedi dal Cadore.
Ci inerpichiamo verso la chiesa dei Santi Pietro e Paolo.
“Proprio oggi è la loro festa; è il ventinove giugno, no?”
Lui controlla la data e conferma, lasciando che il discorso cada nuovamente.
Di fronte alla chiesa c’è un tavolo di legno con due panche. Si siedono per riposarsi ed è l’occasione buona per congedarci, senza neanche esserci presentati.
La tappa di oggi è la più breve finora; inoltre ho la netta impressione che il percorso sia molto più efficiente del solito verso la meta, che oggi è il paesino di Piverone.
Sto camminando da più di tre ore e l’abitato di Palazzo Canavese sembra capitare ad hoc per la consueta sosta al bar.
Non è cosa: si trstta di un paese agonizzante e privo di bar.
Alcuni indizi, confermati dalla consultazione delle mappe, mi fanno capire che la meta è già vicina e oggi si potrà fare tutta una tirata.
Una strada in salita, nel cui verso opposto vedo sfrecciare, uno dopo l’altro, molti ciclisti, mi fa giungere all’ostello di Piverone alle undici e un quarto, dopo sole tre ore e tre quarti di cammino.
Invece di suonare, chiedo a un passante se c’è un bar in paese.
“Sì, più avanti, nella piazza.”
Sotto l’insegna di bar-trattoria stazionano seduti i soliti uomini sfaccendati.
Oggi mi vanno tutte bene: per la prima volta trovo un chinotto non gelato.
“A che ora apre questa sera la trattoria?”
“Alle sette” mi risponde gentilmente la cameriera.
“Bene. Alle sette in punto sarò da voi.”
Che “leggerezza” di tappa
…e anche piuttosto gradita, ti dirò!