All’estremità opposta del paese, cioè trecento metri più in là, c’è il ristorante; sembra impossibile in un villaggio così minuscolo.
Come mi aveva consigliato la signora, ho prenotato.
Capisco ben presto il motivo di quel consiglio: sincerarsi se l’oste se la senta di aprire i battenti.
“Anche se c’è un solo pellegrino,” lui mi rivelerà tuttavia, nella sala vuota, “io apro.”
Approccio etico, o per meglio dire confessionale, a un’attività commerciale. Mi viene il timore che non possa avere lunga vita, nel nostro mondo a misura di squali.
La cena in stile piemontese (ricchi antipasti, un primo e un dolce) comunque è ottima e abbondante. E per fortuna il conto, pur senza essere esoso, rende giustizia alla qualità.
Rientrato alla base, camminando all’imbrunire in un’atmosfera sospesa quasi onirica, poi ho i miei bravi problemi ad aprire il portone e vado a chiedere aiuto alla proprietaria.
Mi accoglie col suo modo festoso, chiedendomi come ho cenato e se va tutto bene.
“Va tutto bene, e poi stasera è anche fresco!”
“Ha visto? Si vede che il Signore ci ha aiutati” replica con un sorriso trionfale.
Aiuto… Pietà di me!
Nonostante lo stomaco un po’ troppo pieno, dormo bene, e alle sei di mattina saluto il paesaggio limpido al di là dell’inferriata e della zanzariera.
Appena uscito, mi accorgo di quanto la giornata si presenti più limpida, asciutta e, per ora, molto più fresca delle precedenti.
Impossibile resistere all’euforia, legata a un eccezionale senso di benessere profondo, che mi danno questi momenti, sicuramente i più belli e felici, finora, del mio viaggio.
Ancora il verde delle risaie, fra sistematiche opere di canalizzazione delle acque.
Qui, il percorso francigeno dalle mille sorprese attraversa lo stretto passaggio all’interno di una chiusa.
La mia ombra si concede un selfie…
La limpidezza dell’aria fa comparire sullo sfondo lontani giganti innevati.
È previsto l’attraversamento della città di Vercelli; lo smarrimento dei segnavia, che in questa zona sono meno frequenti, mi fa deviare dal percorso ottimale, fino a raggiungere una strada provinciale molto trafficata, che dovrò percorrere per un chilometro abbondante prima della città. Il tuffo nella “civiltà” è stridente.
Come tante periferie, anche quella che attraverso è brutta.
Mi chiedo, stupidamente, se Vercelli non sia tutta così.
Poi, per fortuna, la musica cambia.
Sono passate già oltre due ore dalla partenza e mi sento già un po’ affaticato; urge sosta a un bar, magari oltre il centro storico.
In extremis, prima che il fiume Sesia decreti bruscamente la fine del centro abitato, trovo un bar collegato a una sala giochi.
Il chinotto di rito, freddo ma non troppo e con brioche acclusa, è quello della San Pellegrino in lattina, di gran lunga il peggiore rispetto ai due concorrenti (Lurisia e, soprattutto, il raro Galvanina).
Leggo la composizione: disperso fra aromi naturali, correttori d’acidità, sale e quant’altro, come la famosa particella di sodio di una già vecchia pubblicità, c’è lo zero virgola zero cinque per cento (non scherzo!) di estratto di chinotto. Roba da galera.
Convinto di avere percorso solo una piccola parte della camminata odierna, consulto Google e ho la sorpresa di essere già a metà. Le massacranti marce valdostane di otto ore, con tanti duri saliscendi e segnavia scarsi, sono per fortuna un ricordo. Ormai tutte le tappe hanno una durata non superiore alle sei ore.
Riprendo il cammino.
Al di là del Sesia, che ha un bel colore pulito,
compare un’inquietante distesa, che riflette una luminosità bianca omogenea,
poi il tracciato abbandona la strada e torna a immergersi negli spettacoli verdi.
Il sole di questa limpidissima giornata comincia a essere alto nel cielo e la sua luce sempre più abbacinante.
Oltre alla luce fortissima, che un po’ intontisce, il sole ora diffonde il suo grande calore.
Avverto che il fisico è messo alla prova, ma per fortuna le energie non mancano.
Si passa sotto l’autostrada.
La destinazione odierna è a Palestro, nel bed and breakfast “La torre merlata”.
Nella telefonata di prenotazione, la proprietaria mi è sembrata molto sveglia. Durante la pausa al bar di Vercelli le ho già mandato un messaggio per avvertirla del mio arrivo intorno alle 12.30.
Ora gliene invio un altro, specificando le 12.15.
Consulto spesso l’orologio: anche se sono un po’ provato, cerco di mantenere un passo che mi permetta la puntualità.
Ormai la cittadina della famosa battaglia risorgimentale è sotto tiro, e la sua torre, dentro la quale alloggerò, è un riferimento visivo inequivocabile.
La giovane locandiera (dall’appropriato cognome Castellani!) mi accoglie molto cordialmente e, prima di mostrarmi i miei locali sui due livelli bassi della torre medievale, mi intrattiene in una vivace conversazione, che ho ancora abbastanza forze per affrontare piacevolmente.
Mostra molta passione per la sua attività: mi racconta dei lavori abbastanza recenti di allestimento in stile dei locali, poi parliamo della Via Francigena e, quando le dico dei problemi incontrati nel primo tratto (chilometraggi errati nelle guide e scarsa segnalazione lungo il percorso), con mia sorpresa mi conferma che sono cose note e irrisolte da anni. Mi spiega anche perché non ho incontrato le temute zanzare: da un paio d’anni nuove tecniche di coltivazione del riso hanno drasticamente abbassato l’utilizzo dell’acqua, l’elemento fondamentale per la loro riproduzione.
Mi fermerò qui due notti, avendo deciso di prendermi un giorno di riposo prima delle ultime sei tappe.
Quanto verde e che bell’alloggio
Alloggio suggestivo e anche fresco, indubbiamente, però…
Il seguito nel prossimo racconto! 😀