Dunque due giorni dentro una torre, con le uscite, nel caldo soffocante di Palestro, ridotte al minimo.
Questa è la saletta a pianterreno, prima della piccola sala colazioni (mentre la camera è al primo piano).
L’arredamento e le finiture denotano una cura enorme nell’offrire suggestioni di epoche antiche.
La quiete dei dintorni, il fresco garantito dagli spessi muri, e un lettone molto comodo, hanno ovviato agli spazi un po’ angusti e alla mancanza di una cucina, o almeno di un forno a microonde.
E l’incontro con la giovane e vitalissima Ambra, la castellana di cognome e di fatto, con cui ho fatto amicizia, hanno completato l’opera.
Non mi sono annoiato.
Oltre al rituale bucato di metà viaggio (…in realtà sono già a tre quinti!), ho prenotato gli alloggi per tutte le tappe rimanenti, comprese le ultime tre, in cui sarò affiancato da Massimo ed Elena, il primo un veterano nel ruolo di scorta, la sua compagna invece un’esordiente.
Un paio di missioni alimentari nell’unico minimarket, anche perché l’unico pizzaiolo ha chiuso una settimana per sfinimento, e poi finalmente ho avuto il tempo di risolvere il vecchio problema dei sussidi elettronici di navigazione.
Già da qualche giorno avevo scaricato l’applicazione OruxMaps, trovandola subito estremamente complicata.
Ora riesco a caricare le tracce GPS delle tappe, fornite dal sito ufficiale, dentro le cartelle dell’applicazione, ma poi non trovo il bandolo della matassa per associarle a mappe utili ad attivare la funzione di navigatore.
Mi viene in mente che, parlando con la coppia di giovani incontrati sul cammino, mi avevano accennato a un’applicazione specifica per la Via Francigena.
L’idea non è… peregrina; trovo l’applicazione e la scarico, e scopro che ha la funzione tanto agognata: un segnalino che ti accompagna sulla linea del percorso, su mappe molto chiare, o se ne allontana quando sbagli il sentiero. E funziona anche senza connessione ad internet.
Averla avuta nelle prime tappe mi avrebbe evitato diversi grattacapi.
Riesco a essere più mattiniero del solito: alle sei e venti mi incammino per le vie della cittadina, che è già in provincia di Pavia, quindi in Lombardia, ma appena oltre il confine col Piemonte.
L’aria è molto fresca.
Ancora canali e relative macchine.
Eccola laggiù, la mia torre merlata, testimone residuale e ben conservata della fortificazione medievale di una terra di confine.
Un leprotto, mimetizzato con il terreno, si lascia fotografare prima di scappare a zampe levate.
L’itinerario odierno attraversa due paesi, prima di puntare sulla città di Mortara, destinazione finale.
Il primo si chiama Robbio.
La chiesetta romanica di San Pietro, sempre a Robbio.
Benché deserto, un insolito tratto asfaltato tra i campi.
Ancora tante risaie, qui in Lomellina, ma avverto che il paesaggio è cambiato.
Mentre nel vercellese l’impressione era di stare dentro un parco naturale, ora, invece, sembra di essere entrati in latifondi padronali, nel mezzo di una campagna più brulla e simile alla Pianura Padana della mia Emilia.
L’aria si mantiene fresca, i chilometri e il tempo volano, con l’impressione di una piacevole passeggiata.
Il secondo paese si chiama Nicorvo.
Sul muro di un’azienda di materie plastiche c’è una meridiana, a produrre uno strano connubio di culture.
Come testimonia l’ombra dell’asta (misteriosamente tarata sull’ora legale!), sono le dieci passate: tre ore e tre quarti sono volate senza fatica, ma ugualmente l’insegna di un bar mi induce a fare una sosta.
Non avendo sudato e per evitare un nuovo chinotto truffaldino di San Pellegrino, ordino un caffè d’orzo in tazza grande, ove poter inzuppare una mia piccola scorta di biscotti.
Qui, e anche fuori nei dintorni del bar, non c’è campo, evento fortunatamente insolito durante tutto il mio viaggio; non posso dunque valutare quanto manca all’arrivo, ma continuo a pensare che oggi arriverò presto e senza fatica.
Ancora un lungo rettilineo asfaltato, su una provinciale.
Tre strane persone, due uomini bianchi e una donna nera, sono chini sulle piante di riso. In chilometri e chilometri di risaie non ne avevo ancora visti; li fotografo di sfuggita, con un qualche sospetto che stiano svolgendo un raccolto clandestino.
Il tracciato abbandona la strada deviando proprio verso di loro, ma il segnavia è ben poco evidente.
Continuo sull’asfalto finché non mi viene voglia di controllare, e il responso della mia nuova tracciatura è immediato e perentorio.
Dietro front e passaggio rasente ai tre raccoglitori.
La prima persona a cui passo vicino è la donna; evito di salutarla per quel poco di conoscenza che ho della cultura musulmana. Saluto invece, poi, uno degli uomini, che, nel rispondermi, mi sembra un italiano e fuga anche buona parte dei miei sospetti.
Nei pressi di questa grande cascina, ho ancora bisogno del mio nuovo efficiente navigatore, per scegliere il sentiero fra tre tracce possibili.
Quando imbocco quella giusta scorgo il segnavia su un paletto fortemente inclinatosi verso terra. Cerco di ripararlo alla meglio, per evitare difficoltà a futuri viandanti non attrezzati tecnologicamente.
Anche se l’aria oggi è più fresca, col passare delle ore il sole ha ripreso ad abbacinare lo sguardo e a picchiare con i suoi raggi bollenti.
Sto impiegando più tempo del previsto e Mortara non appare ancora all’orizzonte.
Ho quasi il sospetto che si sia inceppato il navigatore.
Ecco finalmente un centro abitato.
Ma si tratta di Santa Maria del Campo, una frazione da attraversare prima della città.
Anche oggi mi tocca mantenere un passo sostenuto nonostante l’affaticamento: ho già avvertito del mio arrivo la signora incaricata di farmi entrare nella “Foresteria di Re Artù”, che è un residence non presidiato.
Finalmente l’abitato di Mortara,
il suo centro storico,
e le bandiere sopra il portone di Re Artù.
Sono le dodici e trentacinque, sei ore e un quarto dopo la partenza dalla torre di Palestro.
Chiamo nuovamente la signora.
“Arrivo subito” mi risponde con accento inglese.
Mah, forse la “mondina” avrebbe gradito un discreto saluto che passare per trasparente
Capisco la tua solidarietà di genere, carissima, ma posso assicurarti che, fra la mondina nera e il sottoscritto, a passare per trasparente è stato quest’ultimo!