Scenari per il dopoguerra

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Scrivo questo articolo una decina di giorni dopo i provvedimenti governativi di restrizione della mobilità per combattere l’epidemia di Covid-19, il subdolo e devastante “Carogna-Virus”, mentre le curve del contagio continuano a crescere, apparentemente senza freni.
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Per la maggior parte di connazionali, cioè i non addetti ai lavori, così come a chi non frequenta “Byoblu” o altri canali di informazione libera, il suo nome non dice niente.
Ed è un peccato, perché la competenza e la genialità che mostra lui in campo finanziario, per quanto ne possa capire io, mi sembrano ineguagliabili: averlo come ministro dell’economia significherebbe mettere il turbo.
Sto parlando di Alberto Micalizzi.

Qualche sera fa ho ascoltato le sue considerazioni sulla situazione che si è venuta a generare e sui criteri e gli strumenti a nostra disposizione, per rilanciare l’economia profondamente ferita del nostro Paese.
Prospetta uno scenario in cui, con una strategia del tutto simile a quella che sta già mostrando la Germania, possiamo dotarci di un progetto ambizioso che ci collochi fra i protagonisti mondiali della scena, oppure accontentarci di un piano minimale di ripresa che, in realtà, ci condannerebbe a restare nelle retrovie, se non a perdere uteriori posizioni.

Il video è visionabile qui; dura trentotto minuti e mezzo, vi assicuro spesi molto bene.

Chiunque ascolti gli argomenti di Micalizzi (come pure altri simili, come ad esempio quelli di Fabio Conditi, giusto per citarne uno), si augurerà che tali argomenti vengano diffusi e presi in considerazione: come si fa a non desiderare un rilancio così significativo del sistema-Italia?

Tuttavia, benché così preparato e propositivo, credo che anche lui non si liberi da una formula che sembra scontata ma che forse non lo è: quella secondo cui, necessariamente, i consumi innescano la produzione, dunque la diffusione del lavoro e infine della ricchezza.

È davvero questo, che ci sta insegnando l’epocale esperienza che stiamo vivendo?
Temo, anzi spero, proprio di no.
Perché abbiamo consumato fin troppo il nostro habitat e non possiamo permetterci di continuare su questa strada di saccheggio: non è giusto ed è la causa di squilibri e di fatale, suicida devastazione.

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Voglio ora offrire a chi legge queste righe un altro contributo, che ritengo ancora e molto più prezioso del precedente: un articolo, scritto mercoledì 18 marzo dal Direttivo del Movimento per la Decrescita Felice (clicca qui).
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Viene presa in considerazione l’attuale emergenza, con tutte le sue ricadute anche sul piano delle libertà, e del potere a cui siamo assoggettati.
E l’approccio, nell’immaginarne l’uscita, è all’opposto di quello degli economisti: si parla di “ridurre produzione e consumi” per instaurare una nuova relazione, fondata sul rispetto e l’armonia con il nostro ambiente, nonché con il nostro prossimo e ogni forma di vita.
In altre parole, immaginare e realizzare la fine del modello economico consumista (o capitalista, o neo-liberista: chiamiamolo come vogliamo), che ormai da diverse generazioni si è imposto come l’unico possibile, ma che tale non può essere.

Valori come la collaborazione, la solidarietà, la lentezza, l’ascolto, la gratuità, la cultura, l’arte, la creatività, si andranno a imporre sui disvalori della competizione, dell’efficienza esasperata, della prepotenza, della volgarità, della mercificazione, della massificazione.
Sobrietà sarà la parola chiave, e attenzione alle ricadute ambientali, sociali, di rispetto e amore per la natura e gli animali il principio guida di ogni nostra azione quotidiana, prime fra tutte le scelte alimentari, ma anche quelle di acquisto, di mobilità e di svago.
La pubblicità, di cui oggi accettiamo passivamente la presenza violenta e pervasiva, si trasformerà in modalità morbide e utili tutte da inventare.

Andrà abbandonato il principio che la distribuzione della ricchezza sia frutto del reddito legato all’attività lavorativa: ci sarà un reddito universale, a cui potrà sommarsi quello derivante dal lavoro e dall’ingegno; ma ci basterà molto meno (sia come ore di lavoro sia come reddito) per condurre un’esistenza molto più significativa, in gran parte dei casi, di quella a cui ci ha abituati l’attuale modello sociale.

La trasformazione in questa prospettiva sembra titanica, sia perché necessita di una fase complessa di transizione e di nuove regole condivise nel globo, a livello il più ampio possibile, sia perché per molti il cambiamento verrà inevitabilmente vissuto come l’imposizione di rinunce insopportabili.
C’è però un fatto positivo: a differenza dell’approccio degli economisti, in cui noi siamo spettatori passivi, con la sola speranza che i manovratori ci permettano nuove possibilità di lavoro e di ricchezza, invece nella prospettiva della decrescita possiamo cominciare da subito (e molti hanno già cominciato) a essere protagonisti, preparando la trasformazione sociale con le nostre scelte, fin d’ora impostate ai valori di sobrietà e rispetto che dovranno imporsi.

Che “dovranno” imporsi, lo ripeto, se vogliamo un futuro possibile e degno di essere vissuto.
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(Immagine iniziale da Wikipedia, alla voce “Klimt1918”)

Informazioni su Franz

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