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Dopo il breve ma profondo sonnellino, mi sono messo d’impegno alla stesura del diario di bordo; il tempo a disposizione, nelle intenzioni, doveva permettermi di pubblicare due diverse giornate, riallineando finalmente quella raccontata con quella appena vissuta.
È stato invece un incubo, protrattosi fino a notte con la realizzazione di uno solo dei due capitoli.
La pessima connessione, sia direttamente sia tramite wi-fi, sia in camera sia in giardino, rendeva estenuanti il caricamento di ogni fotografia e i salvataggi parziali del lavoro.
Dopo questa battaglia, temo che il tempo globale dedicato ai racconti di questa avventura abbia superato quello dell’effettivo cammino!
Ma continuo a crederci, incentivato, oltre che dal sostanziale piacere di quest’attività, anche dall’interesse partecipe di chi mi segue, principalmente tramite Facebook.
Alle sette di questa mattina avevo fissato l’appuntamento per la colazione: non ho insistito per arrangiarmi prima, in autonomia, perché comunque dovrei riuscire a compiere la tappa di montagna che mi aspetta entro l’ora concordata col gestore dell’Ostello di Cassio, cioè fra mezzogiorno e l’una.
Nel grande e aristocratico soggiorno, il tavolo vicino all’angolo cottura (nella foto, dietro la seconda colonna di destra) è già apparecchiato, con una certa arte ma ben poca sostanza: unica nota d’interesse, tre graziosi barattolini di confetture fatte in casa.
Non c’è anima viva.
Cerco il pentolino per mettere a bollire l’acqua del tè, ma invano.
Sfacciatamente, provo anche ad aprire i numerosi cassetti e le ante dei vari mobili, trovandoli pieni di ricchi servizi e suppellettili, ma privi di pentolini.
Mi rassegno a usare, scomodamente, quello della caffettiera.
Effettuato il non facile travaso, mi accomodo e comincio a masticare, indisturbato, due prugne “capitalizzate” dallo spaghetti-party di ieri, poi qualche fetta biscottata con le confetture, buone, non troppo dolci.
Ho già quasi finito quando compare il co-protagonista di ieri, con un barattolo di biscotti, che saranno parzialmente “capitalizzati” a loro volta.
Prima di rientrare in stanza per gli ultimi preparativi, scatto un’altra immagine a questo salone d’altri tempi.
Tutto, in questa “Casa delle viole”, parla un linguaggio di antica, ricca nobiltà e amore per la cultura: libri di vario genere sono disseminati vistosamente in ogni dove.
Con un piccolo tuffo al cuore, allineati su un ripiano, ho rivisto i volumi rosso carminio dell’enciclopedia a dispense “Universo” della De Agostini, ma la collezione si fermava alla lettera “n”.
Nel mio bagno, poi, oltre a quella vasca dal sapore antico, trova posto, incredibilmente, un lampadario di cristalli.
E poi c’è lei, la regina di tempi ormai fuggiti, ora costretta a sopportare le sfuriate della figlia adolescente, che mi hanno fatto da colonna sonora ieri pomeriggio durante la mia battaglia.
Noto, solo ora nel lasciare la stanza, due grandi ritratti fotografici in bianco e nero di un giovane viso di donna, di una bellezza particolare, semplice e raffinata.
Nel regolare il conto, non esoso, così com’era avvenuto ieri scambiamo qualche parola; è un sottile piacere ascoltare la sua voce fluente e semplice, anche nel lamentare i suoi recenti acciacchi, o affermare che si sente bene solo al mare, e quando può preferisce ormai la riviera romagnola alla Versilia di Forte dei Marmi.
“Non le ho potuto fare nemmeno una torta, sa abbiamo appena aperto e c’è molto da mettere in ordine.”
“Sarà l’occasione per tornare.”
“Con piacere” ribatte d’istinto.
E si va, verso nuovi scenari da scoprire, giorno dopo giorno.
Il sole sta già riprendendo a inondare la Valle Sporzana.
Dovrò risalirla con pendenza a tratti molto più aspra di ieri, poi continuare fino a raggiungere la statale della Cisa, ove, in una Casa Cantoniera riqualificata, a ottocento metri d’altitudine c’è l’Ostello di Cassio, un posto tappa quasi obbligato per i viandanti francigeni.
Come sempre, l’itinerario s’intrufola in percorsi alternativi alle strade principali.
A scoprire un campo da calcio in condizioni un tantino più ruspanti di quello di ieri presso Fornovo.
A tratti la strada si fa irto sentiero,
poi un tratto pianeggiante
precede, annunciato dalla torre campanaria della pieve romanica,
il piccolo borgo di Bardone, che raggiungo alle nove, dopo la prima ora e mezza di cammino.
Dopo un’altra mezz’ora,
è la volta di Terenzo.
Bene, fin qui abbiamo scherzato, sembra dirmi ora il percorso, che abbandona la Valle Sporzana e s’impenna verso la Cisa.
Il fisico è messo alla prova, in quest’unica tappa di salite importanti.
Il bosco, che impedisce l’accesso alla precedente brezza fresca, sembra trasformato da amico protettivo in severo allenatore.
Ma finalmente, annunciato da qualche scorcio d’azzurro in fondo al folto dei rami, il lungo strappo termina in una radura, utile a riprendere fiato.
Bisogna ora raggiungere il castello di Casola
e poi, addentrandosi nuovamente nel bosco in un sentiero in discesa a precipizio,
l’abitato di Casola Villa.
“Che bella distesa di pane, è per le galline, vero?”
Il mio interlocutore, di cui si vede solo l’ombra, conferma con bonomìa: “Eh sì, in effetti sono spettacoli che in città non si vedono…”
Resto subito attirato dal suo modo molto quieto di parlare, con quel bell’accento parrmense, che trascina a lungo le vocali accentate, e si mangia le ‘erre’ ancor più di me.
Senza congedarmi, vado a fotografare una bella casa fiorita lì di fronte.
Caso vuole che sia proprio casa sua.
“È la più antica del villaggio, vede quest’incisione?” e mi mostra una specie di bassa pietra miliare con un numero romano, appena percepibile, che decifriamo in 1420.
Commentiamo i sentieri d’intorno; gli dico che in quello a precipizio, che è affiancato da un altro, manca un segnavia.
Lui mi dà indicazioni per il prosieguo: mi dice che bisogna attraversare in salita la pineta, poi si raggiunge la statale.
Mi consiglia di non abbandonarla più, fino all’ostello “perché i pellegrini che strada facevano? Certamente la più corta…!”
“Quanto mancherà, una mezz’ora?”
“No, da qui ci vuole un’ora.”
La salita nella pineta è nuovamente molto impegnativa
ma ecco finalmente, laggiù, la statale,
cioè anche il punto più alto dell’escursione, che ora procederà in discesa, con bei panorami aerei.
In breve tempo sono in vista dell’abitato di Cassio
e a mezzogiorno e un quarto, molto soddisfatto per un’escursione che mi ha messo a dura prova senza tuttavia presentare mai criticità, compare, inequivocabile, la sagoma della vecchia casa cantoniera ristrutturata.
“Signor Andrea sono arrivato.”
“Bene, la vengo a prendere subito col taxi” ribatte scherzosamente.
“Benissimo” rispondo, senza aver capito la battuta.
In realtà, quando arriva, mi fa salire per accompagnarmi nella vicina dependance, un appartamentino a mia completa disposizione di fronte al bar dove lavora lui, come mi spiegherà solo alla fine.
Dopo la bella faticata, si sta per aprire un’altra pagina del tutto speciale, con protagonisti il mio alloggio e il suo straordinario gestore.
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Dura, dura la salita
Eh sì, lo cantava anche Gianni Morandi! 🙂