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Già da tempo, e più di una volta, avevo avvertito Massimo che questa seconda giornata di cammino condiviso sarebbe stata la più impegnativa, per i suoi venticinque chilometri di lunghezza.
Non immaginavo, però, di stare per offrirgli una massacrata non di tanto inferiore a quella mia recente da Berceto a Pontremoli, che ho potuto raccontare solo per immagini e dati statistici.
Di questa, invece (da Virgoletta di Villafranca ad Aulla e Ponzano Superiore), cercherò di riferire per sommi capi le varie fasi, anche se si sono succedute nell’abnorme durata complessiva di oltre dieci ore e anche se, purtroppo, non ho fotografie della prima ora e un quarto: me le sono giocate in un’operazione di pulizia un po’ troppo drastica.
La prima che mi ritrovo, infatti, è stata scattata quando il cielo aveva sembianze già del tutto mattutine, alle sette meno cinque:
Un quarto d’ora dopo, il sole ci dà il suo tardivo buongiorno attraverso i rami degli alberi.
Tutta la prima parte del tragitto odierno si svolge su carrarecce in mezzo al bosco e ci lascerà i ricordi più belli, che neppure i frequenti, piccicosi fili di ragnatela da sfondare potranno scalfire.
I saliscendi non sono faticosi e non c’impediscono di tenere, per un lunghissimo periodo, un’andatura vigorosa, che ci dà un senso condiviso di energia e grazie alla quale abbiamo l’impressione di dare già un primo colpo significativo alla distanza chilometrica odierna.
Quando compare il primo antico borgo (denominato Fornoli) sono già quasi le otto, cioè due ore e un quarto di cammino.
Poi, man mano che ci avviciniamo alla città di Aulla, il paesaggio si fa più vario.
Improvvisa, dirompente, da un’area recintata alla nostra destra, si manifesta una spaventosa sinfonia di abbaiare e latrare di cani.
È impressionante, e rattrista profondamente, la quantità di voci diverse, unite in un dissonante coro che sembra esprimere nient’altro che disagio, inquietudine e rabbia.
Immaginiamo si tratti di un canile, anche se non ne scorgiamo alcuna insegna, ma solo questo cancello, da cui alcuni piccoletti danno il loro ringhioso contributo al lamento collettivo.
Terrarossa e Masero sono i due borghi ancora da attraversare ormai alla periferia di Aulla.
In uno dei primi bar che incontriamo in città, alle nove, decidiamo che tre ore e un quarto di procedere convinto e ininterrotto possono per il momento bastare, e meritare una seconda colazione.
Durante la pausa rigeneratrice, ho la curiosità di consultare, nell’applicazione ufficiale della Via Francigena, il profilo altimetrico del percorso che ci attende.
A sorpresa mi rendo conto (un po’ colpevolmente trascurato prima) che, appena usciti da Aulla e fino al traguardo di Ponzano Superiore, dovremo salire di seicento metri, in due strappi, il primo di quattrocento e il secondo di duecento.
Non è una bella notizia, ma non posso immaginare che cosa davvero stia per significare per entrambi, in termini di sforzo fisico protratto.
La vita cittadina, in questa mattina di lunedì, è piuttosto convulsa, anche in viali alberati come questo.
Un grande chiosco di ortofrutticoli ci invita a fare provviste.
Nel passare per il centro, poi, finiamo invischiati in un cantiere con divieti di passaggio anche pedonali.
Otteniamo da uno degli operai una parziale deroga, ma subito dopo, per me, mentre Massimo è impegnato in una telefonata di lavoro, si somma una serie di fastidiosissimi disagi: qualche incertezza nella consultazione della mappa interattiva, poi un ostacolo da superare, rappresentato da una striscia adesiva a bande bianco-rosse del cantiere, fissata a un segnale stradale mobile di divieto di sosta.
Il mio compagno di viaggio, che mi precede sempre impegnato al telefono, ha le sue brave difficoltà a superare l’ostacolo, col corpo e con lo zaino; quando poi tocca a me, il nastro si aggancia e si appiccica allo zaino, trascinandosi dietro il pesante segnale metallico che cade strisciandomi ed escoriandomi un polpaccio, in maniera non estesa ma un po’ dolorosa.
Mi giro per rimediare al misfatto; non vedo più il nastro (che mi sta penzolando dietro come la coda di una cometa) e allora, nel rialzare il segnale, lo piazzo in mezzo, a mo’ di ostacolo.
Temo una ramanzina, ma nessun addetto ai lavori se n’è accorto.
Il gel disifettante di Massimo, dopo un po’, mi dona un “piacevole” bruciore che completa la sequenza.
Un ponte dul fiume Magra sembra delimitare drasticamente la città. Con l’intenzione di integrare la spesa, dopo aver chiesto indicazioni a un gentile passante, optiamo per un panificio.
Su consiglio del mio amico, che desiderava proprio quelli, compriamo, oltre a un po’ di pane, dei tranci di una specie di caratteristica crostata di verdure.
La salita comincia subito, al di là del fiume, e quasi immediatamente su un ripido sentiero. Sono già le undici e il sole inizia a farsi sentire.
La salita non dà tregua, bisogna prenderla di petto, caricando nelle gambe tutte le nostre energie.
Essendo ripida, in circa un’ora di faticaccia ci permette di raggiungere il pianoro che delimita questo primo strappo.
All’orizzonte, le Alpi Apuane.
Dopo esserci ripresi, affrontiamo ora un tratto molto più abbordabile, segnato però da due episodi negativi, in modo molto diverso.
Il primo ha per protagonista una capra.
Improvvisamente la nostra attenzione è catturata da un belato insistente, e amplificato, come da una cassa di risonanza, dalla scarpata arbustiva di una trentina di metri al di sopra della quale si dev’essere persa, senza più la capacità di muoversi di lì.
È un pianto straziante, continuo, che fa male al cuore.
Sulle prime, sollecito il mio amico a levarci presto di torno, non per scappare, ma almeno per togliere alla bestiola l’illusione di qualcuno che la porti in salvo.
La nostra strada, in salita, raggiunge presto il livello d’altezza da dove continua a giungere quel continuo belato.
Faccio capire a Massimo tutta l’angoscia di non poter risolvere la situazione.
Ci portiamo sul ciglio della strada, ma immaginare un passaggio da lì fino alla malcapitata ci appare impossibile.
Allora ci mettiamo a lanciarle degli urli di incoraggiamento (almeno nelle nostre intenzioni), perché trovi lei un varco fino a raggiungerci, senza per il momento immaginare che cosa poi potremmo fare.
Questo botta e risposta sonoro dura qualche minuto. Sicuramente la bestiola ha sentito che è stato raccolto il suo appello disperato, e non so se questo le basti per tranquillizzarsi e trovare da sola una via d’uscita: fatto sta che alla fine il suo pianto sembra chetarsi fino a tacere.
A noi non resta che procedere, parzialmente tranquillizzati.
Il secondo episodio negativo è un errore di percorso, che, dopo una salita e una discesa, ci riporta a un punto dove eravamo passati qualche minuto prima.
Non ci voleva, ma con l’aiuto della mappa satellitare risolviamo il problema presto, solo con un piccolo, ulteriore aggravio di fatica.
Ha inizio, intanto, una serie di contatti, via sms o a voce, con la nostra nuova padrona di casa, per aggiornarla sull’orario d’arrivo che sta sempre più slittando in avanti.
Prima dell’ultimo strappo di duecento metri di dislivello, e del valico della collina sovrastante, attraversiamo un ultimo borgo, dal nome (ancora una volta) assurdo: Vecchietto.
Una nostra vecchia conoscenza, un mirabolano, sembra volerci dare conforto per l’ultima fatica.
I frutti sono un po’ acerbi, ma il sapore acidulo è gradevole.
Ho poche immagini del resto della salita, affrontata da entrambi in modalità “stringiamo i denti, sopportiamo sfinimento e dolore ai piedi e alle spalle, e continuiamo fino a spuntarla”.
Oltre il valico, la valle ci appare così:
ma, proseguendo in discesa con le nostre residue risorse, ci aspettano due magnifiche sorprese:
il Mar Ligure all’orizzonte (e immaginiamo lo stupore, nei secoli, dei pellegrini provenienti da mezza Europa);
poi, quasi improvviso, abbarbicato come una balconata su una rupe, il bellissimo paese di Ponzano Superiore.
Un’ultima telefonata, alle tre e un quarto, ci indica quale sia il portone del bed and breakfast, di cui ci sfugge l’insegna.
Fra pochi attimi questa porta si aprirà
e apparirà la signora Olga, la nostra nuova, gentile padrona di casa.
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O poveri viandanti e povera capra
A ciascuno la sua croce… e non farei cambio con quella della capra!
L’insegna è presente sul lato della casa dove c’è l’ingresso principale, essendo voi arrivati da un altro lato, non l’avete vista.
L’insegna è un obbligo per poter aprire un b&b.
Ci tenevo a precisare l’informazione errata
Grazie della pecisazione, Olga.
Ne approfitto per dire il nome del b&b, dove ci siamo trovati molto bene: “Il viandante”.