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Per raggiungere Viareggio e la relativa sospirata sosta di due giorni e mezzo, avevo due opzioni: abbandonare subito il tracciato francigeno puntando direttamente verso il mare, oppure seguirlo il più possibile, cioè fino ai dintorni di Capezzano Piànore.
Nella prima ipotesi, avrei dovuto affrontare un percorso di ventuno chilometri del tutto pianeggiante; nell’altra, di ventisei chilometri con diversi saliscendi.
Avevo già da tempo scelto la seconda, per limitare le deroghe all’affascinante “Cammino” che sto percorrendo.
Sono preparato dunque ad affrontare oggi un percorso lungo e impegnativo.
Un paio di stupidi errori di percorso mi costringeranno a un’altra maratona (ed è ormai la quarta) di chilometri, alla fine ventotto o forse ventinove, e di ore, nove e un quarto comprensive delle soste.
Mi occorrono i primi venti minuti di cammino per raggiungere, alle sei e dieci, il piccolo centro abitato di Montignoso.
A differenza del solito, quando la prima ora di cammino dona un senso di euforizzante scoperta, e a differenza anche dallo stato d’animo gioioso di tutta la tappa precedente, oggi sono partito senza entusiasmo, solo con la coscienza che mi aspetta una giornata lunga.
Bene o male… prepararsi al decollo.
Sono passati solo undici minuti dalla foto precedente, che mi trovo nuovamente in “modalità aereo”, questa volta su un paesaggio non ancora lambito dai raggi del sole,
che però non tardano molto a illuminare la pianura
e dopo un bel po’ anche la mia strada.
Ora si scende.
In senso opposto al mio, cioè in salita, spunta nel deserto una presenza interessante: una donna che corre a velocità sostenuta, concentrata nello sforzo con espressione seria e accigliata.
Nell’incrociarmi non mi degna di uno sguardo; siamo agli antipodi, mi viene da pensare, al mio approccio a ritmo umano e aperto al contatto con persone e cose.
Dopo diversi minuti, la sento sopraggiungere nuovamente alle mie spalle; preparo la doppietta e, appena mi sorpassa, la impallino:
Alla collezione di località dal nome improbabile si va a sommare quella di Strettoia, con la sua famosa cattedrale in stile gotico-romanico:
(O anche no…!)
E siamo tornati in pianura.
Improvviso, l’incontro con un amico generoso:
Faccio incetta, e numerosi rinfrescanti assaggi, di piccole prugne mature e dolci al punto giusto, solo molto impolverate dalla strada prospiciente.
Ed ecco ora una serie di opifici di lavorazione del marmo delle Apuane.
Un intero distretto produttivo, che trae la materia prima dalla distruzione progressiva e devastante di splendide montagne.
Ma non è certo una novità: l’uomo è un essere “lievemente” imprevidente, stupido, aggressivo e votato all’autoannientamento.
Un piccolo sentiero lungo l’argine del fiume Versilia evita di percorrere la provinciale, che corre sulla sinistra al di là della prospettiva di stabilimenti artigianali.
Ed eccomi arrivato a Pietrasanta.
All’entrata del paese una galleria d’arte espone alcune interessanti opere anche all’aperto.
Soltanto nella piazza del municipio, vegliata da questo slanciato guerriero,
scorgo finalmente la prima insegna di un bar.
Tre uomini, con berretto d’ordinanza, discutono del più e del meno, con il loro tipico e stentoreo accento toscano, con un piglio da “maratoneti della favella”, che non lascia immaginare quando decideranno di smettere.
Sono le nove e dieci: ho camminato senza interruzioni già per tre ore e venti, raggiungendo il traguardo intermedio, circa a metà percorso, in un tempo che mi fa prevedere l’arrivo intorno alle tredici.
Lo comunico a Massimo con un messaggio.
Dopo l’opportuno tempo di ritempramento (favorito da due brioche e un infuso), lascio il bar e i suoi locali “omarelli” e riprendo il viaggio, dapprima attraverso le vie del centro,
poi, più tardi, su una nuova strada asfaltata in salita.
È una salita non aspra, ma lunga, costante, rettilinea, sotto un sole già battente. La affronto con piacere: mi dà un senso di efficiente regolarità, che tende a perdurare distraendomi dai controlli del tracciato.
Mi porta fino a Valdicastello Carducci, dove fotografo la casa natale del poeta.
Prima di riprendere a salire, in direzione opposta al mare, mi sorge qualche dubbio. Consulto la mappa satellitare e ho l’amara sorpresa di essermi sobbarcato un chilometro buono di strada non prevista, in salita, che con quello in discesa per tornare indietro faranno due, con una mezz’ora di aggravio.
Ecco la deviazione che mi era sfuggita, che mi porta a imboccare un tipo di percorso del tutto opposto: saliscendi a forte pendenza su sentieri ombrosi e sconnessi.
Le deviazioni sono frequenti e spesso indicate da poco evidenti segnavia.
Come se non bastassero l’errore precedente e l’aggravio determinato dal sentiero, sono di nuovo a sbagliare strada (in forte salita) e a dover tornare sui miei passi, in accidentata discesa, accompagnato lungamente da una particolare colonna sonora.
Si tratta delle voci concitate di un gruppo di ragazzi che giocano, probabilmente a calcio.
Ne ho finalmente la prova: eccoli, su un campo perfettamente tenuto che compare come un miraggio fra la boscaglia.
Sembra un miraggio, o un sogno strano, poi, anche questo scooter solitario in mezzo a una radura.
Mi aspetto ormai di entrare nel paese di Capezzano, da cui devierò verso il mare.
Aspettativa errata (oggi la mia auto-affidabilità non eccelle…): prima che la strada asfaltata che sto battendo si impenni in una forte salita, consulto di nuovo la mappa, scoprendo che non è previsto l’attraversamento del paese, che si trova, appena oltrepassato, a un livello più basso.
A differenza di Pietrasanta, Capezzano è una piccola cittadina allungata sulla strada provinciale.
Ma mi concede una seconda sosta, a base di un’inedita Cedrata Tassoni, alle dodici e un quarto.
Ne approfitto per aggiornare Massimo sull’aggravio del tempo di percorrenza, che valuto in un’ora.
La provinciale di Camaiore, che punta verso il mio obiettivo, è un rettilineo praticamente infinito, da percorrere per lunghissimo tempo sul ciglio di una strada dove sfrecciano vetture e autotreni, fastidiosamente dalle mie spalle; ma non si può rinunciare alla continua ombra dei tigli, sul mio lato destro, che, in aggiunta a una brezza fresca laterale, rende sopportabile la marcia forzata.
Il monumento al Re Carnevale annuncia il mio ingresso a Viareggio.
Google Maps mi guida verso l’abitazione del mio amico, passando sopra il porto-canale
e poi davanti alla stazione.
“Quando vedi l’insegna del tabaccaio passa dietro il palazzo” mi ha indicato Massimo in un messaggio.
Eccola, inequivocabile, dopo una curva.
Ecco il portone. Sento chiamarmi dall’alto.
Il mio recente compagno di strada, per le prossime tre notti mio nuovo padrone di casa, ha riservato un magnifico premio alla mia fatica.
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Tu e l’orientamento due rette parallele
Eh eh eh… il lupo perde il pelo ma non il vizio, pure sulla Via Francigena, dove non si perde neanche un bambino! 😉