3-5: Verso la Romagna

Quando sabato mattina le previsioni del tempo hanno dato semaforo verde fino a giovedì prossimo, ho vissuto un paio d’ore d’intenso conflitto, fra l’inerzia di un aprile freddo e piovoso e la voglia di reagire, finalmente, a quella sorta di accettazione passiva e deprimente di lunghi mesi di limitazioni governative.
L’ha spuntata la seconda, felicemente, ma febbrilmente, per la necessità di organizzare tutto in meno di quarantott’ore.

E alle sette di stamane, con lo zaino quasi pronto, l’itinerario (fino al mare in quattro giorni) fissato da tempi lontani, gli alloggi per le tre notti prenotati e quel po’ di preoccupazione per gli allenamenti scarsi sopraffatta dall’eccitazione di una nuova scommessa, eccomi in cucina a fare una strana colazione svuota-frigo e carica-calorie: un’abbondante insalata (finocchio, cipolla, mela) rinforzata con diverse patate lesse non sbucciate, spezie, olio buono, e accompagnata da un incredibile bicchiere di vino bianco!

Sono appena passate le sette e mezza quando scatto, come altre volte in passato, la rituale foto di quell’evento che adoro: una partenza a piedi dal portone di casa.

Il sole è velato da una nuvolaglia sparsa e lattigginosa; una brezza molto fresca e continua mi soffierà in senso contrario per gran parte di questa prima tappa.

Il peso dello zaino è molto limitato, a livelli da record; in pochi minuti raggiungo la provinciale trentuno, cioè il tratto iniziale degli “Stradelli Guelfi”, ove una colonna di veicoli si dirige verso Bologna, in senso opposto al mio, per l’inizio di una nuova settimana lavorativa.

Il rumore frastornante del procedere, poi dello sfrecciare, di autovetture e autotreni sarà la sgradevole costante delle prime ore di cammino, come avevo messo in conto: questa non è certo la Via Francigena…

Ecco il ponte sull’Idice:

ed ecco la trattoria dove tante volte, nei mesi scorsi, son venuto ad asportare il mio pranzo domenicale (“Buongiorno signora, sono Francesco, volevo prenotare il solito per le dodici e trenta…”):

Lo scenario visivo e acustico della strada mi porta a dubitare, ancora una volta, e tanto più dopo il trauma globale della cosiddetta pandemia, che velocità e rumore siano davvero un connotato inevitabile del nostro vivere associato, o non piuttosto un’aberrazione che accettiamo acriticamente.

Cerco di distrarre lo sguardo su paesaggi tecnologici:

o agresti:

Quando si può, abbandono il ciglio della strada asfaltata

pagando però la maggior sicurezza con la minore propulsione che il terreno erboso offre ai miei passi.

Sono le nove quando una piadineria m’informa che, con perfetta puntualità, sto per entrare nel piccolo centro, in gran parte artigianale, di Ponte Rizzoli.
Qui abita un mio vecchio amico, Pigi, grande attore dialettale e burattinaio; ieri l’ho cercato invano per telefono; ora ci riprovo.
Questa volta mi risponde, ma è in procinto di uscire per un impegno.
“Peccato, comunque vediamoci presto, stiamo così vicini…” (ovviamente non a piedi!).

Tratti di cielo azzurro si alternano alle nuvole, che comunque tendono a spargere una luminosità opaca sulla scena.
Soltanto verso i colli, laggiù, le tinte sono più intense.

Dopo Ponte Rizzoli non ci sono altri agglomerati, per lunghi chilometri di rettilinei, ossessivi per chi cammina, con la brezza fredda che gli si oppone.
Cerco distrazione nelle immagini da catturare.

Un carro agricolo, dopo molte manovre, si è orientato verso il campo, poi, come un’arma spaziale, ha estratto gli alettoni che ora spargono ordinatamente chissà quali schifezze.

Cammino ormai da oltre due ore e mezza e la fatica, fisica e mentale, ora si fa sentire.
Dovendo rinunciare alla sosta in un bar, mi lascio attrarre da un grande albero, adocchiato da lontano, che domina una stradetta laterale in terra battuta.
Riposerò un po’ le gambe e farò il punto della situazione con Google Maps.

La risposta dello strumento è incoraggiante: sono a due ore e dieci dal traguardo, decisamente oltre la metà di un percorso di ventitrè chilometri e trecento metri.
Mi concedo diversi minuti di relax, poi, prima di riavviarmi, telefono alla mia affittacamere per avvertirla che arriverò alle tredici e trenta, e non alle quindici come le avevo detto.

La sosta mi ha fatto bene: il passo è nuovamente spedito e il morale è buono.
Le distese spietate di questi lembi meridionali di Pianura Padana continuano a dominare il paesaggio.

Il minuscolo borgo di Poggio Piccolo, oltre all’evento di un bar (a cui rinuncio senza rimpianti),

ne segna un altro molto più gradito: la deviazione di gran parte del traffico verso un’importante zona artigianale, quella dove sorge un cosiddetto “outlet”, molto conosciuto dalle nostre parti.

Questo collasso visivo, e soprattutto acustico, rappresenta il momento fin qui più emozionante, a cui farà seguito anche un graduale intensificarsi delle luci, dei colori e della temperatura.

Dopo diverse ore di fondamentale monotonia, mi rendo conto una volta di più di come la variabilità, che finisce sempre per imporsi, costituisca l’ingrediente più prezioso di questo genere di pellegrinaggi, anche in assenza di particolari incontri.

Le indicazioni stradali, intanto, fanno un lento conto alla rovescia dei chilometri al paese di Castel Guelfo, al di là del quale mi aspetta l’agriturismo “Il pero tondo”, che appuntai come strategico già tanto tempo fa.
Alla Coop di Castel Guelfo, se non sarà chiusa per pranzo, comprerò una birra, da accompagnare ai miei due panini.
Un cipollotto, quasi offertomi in dono dalla campagna lungo il cammino, ha trovato inoltre un alloggiamento di fortuna nel marsupio e potrà, opportunamente affettato, arricchire felicemente la farcitura dei panini.

Come un rettifilo finale di una maratona, un lungo viale alberato, con un’invitante pista ciclopedonale sulla destra, mi conduce verso il paese.

Siamo in Emilia, e nel tranquillo centro di Castel Guelfo non può mancare un bel portico,

poi, dopo questa curva, come indicato dal mio navigatore, mi aspetta la Coop, che trovo aperta e ben poco frequentata.

Il peso della “weiss” da mezzo litro e di un’arancia formato XL (che arricchirà la colazione di domattina), unitamente alla fatica, rendono il mio passo molto più lento, nell’uscire dal ridente paesino in direzione del “Pero Tondo”, in prossimità del torrente Sillaro, che segna il confine fra l’Emilia e la Romagna.
Ma non rinuncio, con questa bella luce meridiana, a catturare due ultime immagini.

Ancora una curva ed ecco finalmente il mio agriturismo,

dove, dopo lunghe operazioni di registrazione, la gentile signora mi accompagna, salendo due micidiali rampe di scale, alla mia silenziosa e luminosa cameretta.
Qui mi aspetta un parco ma gustosissimo pranzo (pane di segale, paté di pomodori piccanti, cipollotto a fettine),

a benedire il riposo (per oggi…) del guerriero.

Informazioni su Franz

Per una mia presentazione, clicca sul secondo riquadro ("website") qui sotto la mia immagine...
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8 risposte a 3-5: Verso la Romagna

  1. nickangera ha detto:

    Grande Franz. Una colazione che dovrebbe essere la norma!
    Ho incominciato anch’io a camminare. Lunedì poco meno di 10 km e oggi un po’ di più.
    Bello leggerti e risentirecaria di libertà.

    • Franz ha detto:

      Ciao Nik!!
      Per la colazione, passi l’insalata mista, passino le patate bollite con buccia, ma almeno il bicchiere di vino devi lasciarmelo, come stramberia! 😀
      Mi conforta molto il tuo gradimento sul racconto, di una giornata di cammino complessivamente monotona e non troppo felice. Temevo di essere stato prolisso e noioso.
      Bravissimo, convalescenza rapida e all’insegna della forma fisica!

  2. daniele morotti ha detto:

    Buon viaggio,Franz!Ehm…ti risparmio commenti su colazione e pranzo….

    • Franz ha detto:

      Grazie, caro Daniele!
      Quanto alle… bizzarrie alimentari, sono un pregio o un difetto (secondo i punti di vista) di un incallito spirito solitario….

  3. Amanda ha detto:

    Eppur si muove!

Commenti:

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